Sanzioni solo in caso di coinvolgimento diretto dei vertici

di Debora Alberici

Legge 231 applicabile alle holding solo quando l’amministratore di queste è direttamente coinvolto nell’affare illecito o è complice di chi ha commesso i reati. Un generico riferimento al gruppo non è sufficiente ai fini dell’accusa. A questa conclusione è giunta la Cassazione che, con la sentenza 24583 del 20/6/2011, ha respinto il ricorso della Procura di Bari che si opponeva alla decisione del Gup con la quale sono state assolte alcune società finite nel mirino degli inquirenti per una maxi inchiesta sulla sanità pugliese. Insomma per l’applicabilità della tanto discussa legge sulla responsabilità amministrativa degli enti ai grossi gruppi Piazza Cavour ha fissato alcuni stringenti paletti: prima di tutto il coinvolgimento diretto dei vertici della holding. In proposito gli Ermellini hanno messo nero su bianco che «in effetti la holding o altre società del gruppo possono rispondere ai sensi della legge 231 ma è necessario che il soggetto che agisce per conto delle stesse concorra con il soggetto che commette il reato». In altri termini «non è sufficiente un generico riferimento al gruppo per affermare la responsabilità della società ai sensi della legge 231/2001». Ma questa non è l’unica condizione da soddisfare. Secondo gli Ermellini il gruppo deve aver ottenuto dall’affare illecito qualche utilità. «L’altro elemento richiesto», si legge in sentenza, «è che il reato presupposto sia stato commesso nell’interesse o a vantaggio dell’Ente, interesse e vantaggio che debbono essere verificati in concreto, nel senso che la società deve ricevere una potenziale o effettiva utilità, ancorché non necessariamente di carattere patrimoniale, derivante dalla commissione del reato presupposto». Infine l’ultima condizione è che i vertici del gruppo abbiano commesso dei reati contemplati dalla 231. Questa era l’unica condizione che si era verificata, essendo stati gli imputati accusati di corruzione. Dunque, la quinta sezione penale della Suprema corte, ha confermato l’assoluzione della holding anche perché «non vi era alcun elemento per ritenere», e di questo aveva già dato conto il Gup, «che i soggetti in posizione apicale dell’ente, fossero essi amministratori di fatto o di diritto, avessero agito oltre che nell’interesse proprio o di terzi anche nell’interesse concorrente dell’ente». Nel giro di sei mesi questa è la seconda decisione della Corte di cassazione che, in tema di responsabilità degli enti, deposita una decisione meno severa nei confronti delle aziende. Già a gennaio, con la sentenza numero 2251 un altro Collegio di Piazza Cavour ha escluso che nel processo instaurato per l’accertamento della responsabilità da reato dell’ente sia ammissibile la costituzione di parte civile, sottolineando come la mancata disciplina dell’istituto nell’ambito del dlgs 231 non costituisca una lacuna, bensì la conseguenza di una consapevole e legittima scelta operata dal legislatore in ragione del fatto che la persona giuridica è chiamata a rispondere non del reato, bensì di un autonomo illecito.