Il gruppo di Novara abbandona ogni velleità di espansione per tornare a focalizzarsi solo sui conti. L’obiettivo è il rientro dall’indebitamento A Novara continuano a nutrire ambizioni importanti. Nonostante la difficile congiuntura di mercato, che sta dando filo da torcere al mondo dell’editoria; l’affaire Generali rilevatosi un buco nell’acqua, il terremoto in Giappone che farà perdere appeal agli affari in Asia, il gruppo De Agostini ha messo in conto di realizzare nell’esercizio in corso ricavi pari a 4,8-5 miliardi di euro, ossia tra il 10 e il 15% in più rispetto a un anno fa, a fronte di un Ebitda a quota un miliardo di euro (+8-12%). Dall’altra parte, nel primo trimestre 2011 i risultati appaiono incoraggianti: i ricavi sono cresciuti a doppia cifra, del 22%, a 1,1 miliardi di euro, e l’Ebit addirittura del 54% a 103 milioni. Poco importa se, come riconosce il direttore generale della società, Paolo Ceretti, il bilancio 2010 è stato “double face”, ossia a due direzioni. Scorrendo con l’indice il conto economico emerge che i ricavi sono saliti del 4% a 4,3 miliardi di euro, dai 4,1 dell’esercizio passato, con una marginalità in forte miglioramento (il risultato operativo si è attestato a 428 milioni, il 73% in più rispetto ai 355 milioni realizzati nel 2009). Ma sul fronte utile è tutta un’altra storia. Il gruppo, infatti, ha chiuso in rosso, con una perdita di 551 milioni di euro. Erano 215 milioni nel 2009. A incidere sul risultato è stata soprattutto la voce Generali, in cui il gruppo De Agostini aveva investito il 4 dicembre 2006, acquistando una quota del 2%. Operazione avvenuta a un prezzo di carico di 25 euro per azione, per poi fare dietrofront. De Agostini ha, infatti, svalutato la partecipazione nella compagnia triestina, al prezzo di 14,21 euro per azione, ossia allineandola al valore di quotazione del 31 dicembre 2010. La mossa, corretta, ha comportato una perdita al conto economico di 404 milioni. Da qui la decisione di abbandonare la strada dell’espansione, per focalizzarsi su quella del rientro dell’indebitamento. «Riteniamo che nel 2010 sia stato toccato il picco e che nei prossimi anni il rientro sarà fattibile grazie ai flussi di cassa generati dagli investimenti», ha detto Ceretti, scartando ogni nuova velleità di internazionalizzazione. Dal 2006 ad oggi il gruppo ha visto balzare l’indebitamento da 2,9 milioni di euro agli attuali 4,5 milioni, ma anche il giro d’affari è salito, e non di poco, passando da 2,8 a 4,3 miliardi di euro..