Aliquote ferme per le plusvalenze calcolate fino all’applicazione della legge. Mentre i prelievi sulle transazioni di borsa finiranno nell’imposta sui servizi. Sulla Finanziaria Berlusconi già annuncia il voto di fiducia 

di Andrea Bassi

 

Dopo un acceso Consiglio dei ministri fiume, il governo ha dato il via libera alla manovra finanziaria e alla legge delega sulla riforma del fisco. Quest’ultima, per ora, prevede solo una serie di principi che dovranno essere attuati in tre anni attraverso l’emanazione di decreti delegati. Ma alcuni punti essenziali sono già definiti con maggior precisione rispetto alle indiscrezioni della vigilia.

 

A partire dalla tassazione delle rendite finanziarie. La nuova aliquota potrà arrivare fino al 20% (dunque potrebbe essere anche più bassa). Non toccherà i titoli pubblici «ed equivalenti», che quindi resteranno tassati al 12,5%. Un trattamento di favore sarà riservato anche agli investimenti in previdenza complementare (già oggi l’aliquota è dell’11%), ma non viene specificato quale sarà il livello di tassazione. La novità più importante, tuttavia, è che l’aliquota del 20% sui capital gain probabilmente non sarà retroattiva. La delega, infatti, lascia la «possibilità di introdurre un regime transitorio volto a consentire l’applicazione delle aliquote delle ritenute e delle imposte sostitutive sui redditi di capitale e sui redditi diversi di natura finanziaria maturati fino alla data di entrata in vigore della nuova disciplina».

 Insomma, chi ha titoli in portafoglio con plusvalenze non si affretti a incassare per usufruire dell’aliquota attuale. I suoi capital gain calcolati fino all’entrata in vigore della legge saranno comunque tassati al 12,5%. Altra novità per gli investitori è la tassa dell’1,5 per mille sui contratti di borsa. L’aliquota, in realtà, è prevista dalla manovra. La delega fiscale, invece, prevede che il balzello entri a far parte della nuova «imposta sui servizi», nella quale confluiranno anche l’imposta di registro, le imposte ipotecarie e catastali, le imposte di bollo, la tassa sulle concessioni governative, l’imposta sulle assicurazioni e quella sugli intrattenimenti.

Per quanto riguarda invece le imposte sul reddito, la legge delega conferma le ipotesi della vigilia. Previste tre aliquote: 20, 30 e 40%. Se le percentuali di prelievo si stringono, quella che dovrà allargarsi è la base imponibile. Dunque saranno ridotte o addirittura eliminate, dice la delega, «i regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale». A pagare le imposte, poi, saranno chiamati tutti, anche gli enti non commerciali e il non-profit. Ci sarà una no tax area e i regimi di favore fiscale saranno concentrati su figli, lavoro e giovani. Previsto poi un regime di favore fiscale per la parte di retribuzione legata agli incrementi di produttività. Questa parte della delega, in realtà, è stata anticipata nella manovra, anche se la definizione dell’aliquota agevolata è stata rimandata ad un secondo momento. Per le persone fisiche, nell’imponibile, saranno poi inclusi parzialmente gli utili percepiti e le plusvalenze realizzate fuori dall’esercizio dell’impresa, su partecipazioni qualificate. Un principio che sarà valido anche per il reddito d’impresa.

Novità in arrivo anche per l’Iva. Le aliquote, si legge nella delega, saranno riviste gradualmente «tenendo conto degli effetti inflazionistici prodotti da un aumento». Dunque l’imposta sul valore aggiunto salirà, ma nel documento non è specificato di quanto (si è parlato di un aumento di un punto percentuale per l’aliquota massima del 20% e di quella intermedia del 10%).

L’Irap, l’imposta regionale sulle attività produttive, scomparirà gradualmente. Si inizierà con l’esclusione dalla base imponibile del costo del lavoro. L’articolo 7 della legge delega prevede anche un nuovo regime di attrazione di investimenti esteri, che rende deducibile dal reddito d’impresa il rendimento del capitale di rischio.

L’attuazione della riforma, spiega ancora la delega, dovrà avvenire per moduli attraverso l’emanazione di più decreti legislativi che, tuttavia, dovranno essere emanati entro tre anni dalla data di entrata in vigore della legge. Come è avvenuto per il federalismo fiscale, inoltre, sarà costituita (entro sessanta giorni), una Commissione bicamerale ad hoc composta da 15 deputati e 15 senatori che dovrà esprimersi sui decreti legislativi. I pareri dovranno essere redatti entro 30 giorni.

 Come sarà finanziata la riforma fiscale, che comunque dovrà essere a invarianza di gettito? La prima fonte, come detto, sarà il disboscamento della giungla di agevolazioni (ne sono state censite 478 per 161 miliardi di euro) che erodono la base imponibile. Ma parte delle coperture dovrà arrivare dalla lotta agli evasori. «È possibile recuperare fondi dall’evasione fiscale che può e deve essere ridotta», ha detto ieri il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, durante la conferenza stampa convocata a valle dell’approvazione della manovra. Manovra sulla quale, ha anticipato il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, il governo chiederà la fiducia. «Siamo aperti al confronto», ha spiegato il premier, «ma ci saranno sicuramente tanti emendamenti che rappresentano singoli interessi e quindi alla fine ci sarà la fiducia». Berlusconi ha difeso il provvedimento affermando che «non si mettono le mani in tasca agli italiani», sottolineando che il governo ha agito con il «buon senso del padre di famiglia, confrontato le proposte di ciascun ministro e messo insieme una manovra di assoluto buon senso, per rispettare gli impegni europei e le obbligazioni che ci vengono dai mercati». Soprattutto, ha aggiunto, si raggiunge così l’obiettivo del pareggio di bilancio nel 2014 che «è un obiettivo che deve essere condiviso da tutti, perché tutti devono sentirsi coinvolti». (riproduzione riservata)