Analisi Nei mercati meno efficienti, come emergenti e small cap, affidarsi a money manager di qualità può fare davvero la differenza 

di Mariano Mangia

Quanto conta la scelta del gestore per un investimento in fondi azionari? Può fare la differenza? Per dare una risposta a questo interrogativo sono stati presi in esame i rendimenti su un arco temporale sufficientemente ampio, cinque anni misurati a fine giugno 2011, di un campione di categorie Morningstar.

 

Per ciascuna specialità i dati utilizzati sono quelli relativi a tutte le classi di azioni destinate al cosiddetto investitore retail, ma dei soli fondi di diritto estero, così da avere una piena omogeneità dal punto di vista fiscale.

La teoria del mercato efficiente sostiene che sia impossibile battere in maniera costante il mercato, perché tutte le informazioni disponibili sono già incorporate nei prezzi e anche perché l’elevato numero di partecipanti al mercato assicura che i prezzi si portino sui valori di equilibrio. In ossequio a questa teoria, i risultati dei fondi dovrebbero essere molto simili tra loro. È davvero così? Per dare una risposta è necessario misurare il grado di dispersione delle performance all’interno di ciascuna categoria. Affidarsi alla semplice differenza di rendimento tra il migliore e il peggior fondo (l’ampiezza delle singole barre del grafico a pagina 25) può essere fuorviante, poiché nulla dice dove si collocano tutti i restanti gestori, se sono a ridosso del migliore oppure sono distribuiti tra i due estremi.

Tra i fondi azionari dei paesi emergenti, ad esempio, il divario tra il primo, il +14% annuo di Aberdeen global emerging markets e l’ultimo, il -9% di Sarasin emerging new frontiers che investe nei mercati di capitali che sono ancora nella prima fase di sviluppo (gli emergenti del futuro) è amplissimo, ma il 50% dei fondi ha reso tra il 7,9 e il 4,6% all’anno.

Una misura più accurata è la deviazione standard dei rendimenti, ovvero la dispersione rispetto alla media. Sulla base di questo valore, la categoria dove si osserva maggiore dispersione non è quella degli emergenti, come verrebbe da pensare, ma quella degli azionari Cina, seguita dal settore tecnologia, dall’Europa small cap e dagli emergenti, mentre la minore variabilità di rendimenti è quella degli azionari Italia.

C’è poi una seconda misura, efficace anche da un punto di vista di rappresentazione grafica, ed è lo scarto interquartilico, la differenza di rendimento tra il terzo e il primo quartile. Nel grafico il rettangolo colorato che rappresenta l’area dove si trova il 50% centrale della distribuzione dei rendimenti: più è schiacciato, maggiore la concentrazione di risultati, più è ampio, più elevata la dispersione. La categoria con la dispersione maggiore misurata con questo indicatore è quella degli azionari tecnologia, seguita dal mercato cinese e dall’Europa small cap: ancora una volta la categoria con i risultati maggiormente concentrati è quella degli azionari Italia.

Questi risultati sembrano confermare che la selezione del gestore conta soprattutto nei mercati meno efficienti.

In una borsa come quella italiana, l’efficienza informativa e il ridotto numero di aziende nelle quali investire finiscono per appiattire risultati e meriti dei gestori. Le mosse vincenti, sottopesare un settore e sovrapesarne un altro, finiscono, evidentemente, per essere le stesse per la maggior parte dei fondi. Il fondo di dotazione dell’università di Yale da tempo privilegia sul mercato azionario domestico gestori attivi specializzati in small cap, sulla base della considerazione che le azioni a maggiore capitalizzazione tendono ad essere meglio seguite e più efficacemente prezzate rispetto ai titoli a bassa capitalizzazione. Una conferma di tale intuizione si ha anche per l’azionario europeo, dove le performance dei gestori large cap sono piuttosto concentrate, mentre tra quelli small cap ci sono differenze più accentuate. Nella categoria degli azionari Cina, mercato nel quale conta molto la capacità di analisi del singolo gestore e dove è più difficile seguire l’intero universo investibile, la variabilità dei rendimenti è ancora più elevata: i migliori fondi, come First State greater China growth o Schroders Isf China opportunities hanno realizzato un 15% annuo, mentre i comparti meno brillanti si collocano tra il 5 e il 4% e un fondo, Ubam Vp value China equity ha perso l’1,7% per anno.

 

Nel valutare l’elevata dispersione del settore delle tecnologie, infine, bisogna considerare che qui, in aggiunta alla qualità del gestore, pesa l’eterogeneità dei concorrenti, visto che sono messi assieme prodotti focalizzati su specifiche aree geografiche, Usa ed Europa, e fondi che investono nelle aziende di tutto il mondo, e la stessa etichetta tecnologia racchiude contenuti che variano da fondo a fondo. Così, il migliore è Vitruvius growth opportunities, un fondo che investe in società operanti nel settori della tecnologia e delle comunicazioni, con uno stile di trading attivo e per benchmark dichiarato ha l’indice S&P north american technology. L’ultima posizione, con un -6,3%, è appannaggio di Carmignac innovation che investe, a livello globale, in società dal profilo altamente innovativo che operano nel settore dell’It, della sanità e delle energie alternative, partendo dall’analisi delle grandi evoluzioni nelle abitudini di consumo e nel rapporto con la tecnologia. (riproduzione riservata)