In Italia è un business da 421 miliardi e nel 2010 è cresciuto del 6,8% Ma la cifra potrebbe salire: i ricchi hanno 900 miliardi in portafoglio

Il private banking italiano è in forma: dal 2007 al 2010 ha strappato circa l’1,5% del mercato potenziale ogni anno e, dopo la sbandata del 2008 dovuta alla crisi, è tornato a crescere. Nel 2010 il totale degli asset ha toccato i 421 miliardi di euro, mettendo a segno un aumento del 6,8%, dopo il balzo del 12,7% del 2009. Rispetto al valore del mercato potenziale, costituito dal patrimonio di privati con almeno mezzo milione di euro a disposizione, i private banker riescono a intercettarne circa il 47%, percentuale cresciuta nel tempo (nel 2009 era pari al 45,5%). Analizzando i dati dell’Associazione italiana private banking (Aipb) si scopre poi che a contribuire alla crescita è soprattutto l’incremento della raccolta netta (+4,5%), mentre è più limitato l’apporto dei rendimenti dei mercati (2,3%). LE RICHIESTE DEL MERCATO. Ma che cosa cerca chi si rivolge a queste strutture di investimento? Secondo Maurizio Zancanaro, vicepresidente Aipb e amministratore delegato di Banca Aletti, «le esigenze sono la cura del patrimonio, la conservazione nel tempo del tenore di vita e la gestione del passaggio generazionale». A questo proposito, il responsabile private banking Credem, Giancarlo Caroli, sottolinea che «la successione di un’impresa è un momento cruciale e deve essere pianificata per tempo per consentire alle aziende familiari di competere e crescere». Tanto più che, spiega Zancanaro, «la classe più rilevante è rappresentata dagli imprenditori, che registrano un patromonio medio di 3,5 milioni di euro e un’età media di 60 anni». Complessivamente, agli imprenditori appartiene circa il 39% delle masse gestite dal private banking, seguiti da pensionati (23%), liberi professionisti (14%), casalinghe (8%), lavoratori dipendenti (7%), dirigenti (3%), ereditiere (2%) e altro. Prendendo in considerazione la dimensione della ricchezza a disposizione dei cittadini facoltosi, poi, si nota come la fetta maggiore del patrimonio sia riconducibile a chi è in possesso di cifre comprese tra un milione e 5 milioni (pari a 323 miliardi in tutto), seguiti da chi si colloca nella fascia 500mila–un milione (299 miliardi) e dai Paperoni di stazza maggiore, quelli con più di 5 milione di euro (275 miliardi). A livello europeo, la cifra in mano a famiglie ricche è di 9,6mila miliardi di dollari, suddivisa così: 5,5mila miliardi a chi ha più di 5 milioni, mentre i restanti 4,1mila miliardi sono nelle disponibilità di chi ha conti da un milione a 5 milioni di dollari. PECULIARITÀ ITALIANE. Rispetto alla clientela europea, quella italiana ha caratteristiche che la distingue dagli altri Paesi. In particolare, i connazionali più facoltosi privilegiano collocare una quota superiore del portafoglio in prodotti di investimento, lasciando soltanto l’11,8% in depositi, contro il 24% delle media europea. La percentuale di obbligazioni e titoli di Stato, poi, è più del doppio rispetto al resto del Continente. Numeri a parte, gli italiani sono più disposti all’investimento e meno a lasciare liquidità nel portafoglio, ma non vogliono correre troppi rischi. Infine, sottolineano dall’Aipb, gli europei sono più «deleganti», visto che «la percentuale di portafoglio in delega attraverso il servizio di gestione patrimoniale nel 2010 è di 4 punti percentuali superiori rispetto ai portafogli della clientela private italiana servita da strutture specializzate». LE PROSPETTIVE. Guardando al futuro del settore, infine, dai dati emergono ancora grossi spazi di crescita. In particolare, la dimensione del patrimonio in mano a famiglie con almeno 500mila euro è in costante aumento. Dopo la forte contrazione registrata nel 2008 (-9,8%), la ricchezza è tornata a crescere dell’8% nel 2009 e di un altro 3,2% l’anno seguente. In valore assoluto, nel 2010 la ricchezza detenuta in tutto da 611.438 famiglie ha raggiunto quota 896,3 miliardi di euro. E visto che, di questa cifra, solo 421 miliardi sono già gestiti dai private banker, ci sono altri 475,3 miliardi di euro a cui può puntare questo mercato