La riforma allontana l’addio al lavoro di qualche mese per gli uomini. Ma di anni per le donne. A fronte di questo sacrificio sale l’assegno atteso. Così una lavoratrice può anche aspettarsi 166 euro in più al mese 

di Roberta Castellarin

Si vivrà di più e quindi l’appuntamento con la pensione è rinviato. La bozza di riforma contenuta nella manovra correttiva accelera l’adeguamento dei requisiti pensionistici alla speranza di vita. E prevede una progressiva equiparazione dell’età pensionabile tra uomini e donne.

Il sacrificio, lavorare di più, è compensato, però, dall’incremento che i lavoratori e le lavoratrici potranno attendersi. Come dimostra l’analisi realizzata da Progetica per Milano Finanza, che stima quando si potrà dire addio al lavoro e quanto ci potrà aspettare dallo Stato dopo la riforma. Per esempio una donna 40 enne dipendente che ha iniziato a lavorare a 25 anni dovrà aspettare il compimento del sessantacinquesimo compleanno per approdare al buen retiro, ma ci andrà con un assegno che può salire da 103 euro al mese nell’ipotesi peggiore, fino a 161 in quella migliore. Questo vuol dire che con un ultimo reddito di 36 mila euro lordi potrà avere ogni mese 1.719 euro in una situazione intermedia. Con le successive riforme che hanno ridisegnato il sistema pensionistico italiano non è possibile sapere con certezza con quanto si andrà in pensione.

 

Più che di pensione prevedibile, bisognerebbe parlare di una forchetta di possibili rendite, con un assegno massimo e minimo variabile a seconda di come andrà l’economia, di quanto si allungherà la vita media della popolazione e di quanto farà carriera il lavoratore. E non è possibile stimare con certezza nemmeno la data della pensione, a meno che non si abbiano i 40 anni di contribuzione. Questo perché l’età della pensione è legata alla speranza di vita della popolazione.

 

Le prime che dovranno rifare i conti sulla data delle pensioni dopo l’approvazione della manovra sono le donne. Il fatto che l’adeguamento tra uomini e gentil sesso nel privato avverrà solo tra il 2020 e il 2032 non deve trarre in inganno, perché l’impatto sarà notevole per tutte le 40enni oggi al lavoro. Avere posticipato al 2020 l’avvio dell’innalzamento di fatto salva solo le 50enni, che dovranno fare i conti con un leggero spostamento in avanti della pensione. Non appaiono, poi, coinvolte le donne che hanno iniziato a lavorare a 20 anni, o prima, perché resta salvo il principio che si può andare in pensione con 40 anni di contributi. Tutto un altro discorso vale per chi è nato negli anni 60 e ha iniziato tardi a lavorare. Una lavoratrice dipendente nata nel 1964 e che ha iniziato a versare contributi a 35 anni, prima poteva andare in pensione a 62,7 anni, con le nuove regole dovrà aspettare i 68,3, quindi quasi 6 anni in più. E chi è nata nel 1968 dovrà compiere 70 anni. «Non ci sarà un aumento automatico di 5 anni dell’età di pensionamento, ma la tempistica varia da profilo a profilo», spiega Andrea Carbone di Progetica. «La scelta di differire al 2020 l’inizio degli scalini sposterebbe sulle donne che compiranno 60 anni in quella decade gli effetti più significativi. Ma chi ha iniziato a lavorare presto potrà beneficiare del requisito dei 40 anni di contributi». Minore è invece l’impatto dell’anticipo di un anno dell’entrata in vigore del sistema di allineamento tra i requisiti di età per il pensionamento e l’allungamento della speranza di vita. Il primo aumento di massimi tre mesi è anticipato di un anno, a inizio 2014, sempre in base alla bozza presentata. Viene poi introdotto un secondo aumento, da inizio 2016, relativo all’aumento della speranza di vita registrato nel biennio precedente. Il documento infine conferma l’adeguamento triennale dei requisiti dal 2019. «In sintesi, questa parte di Riforma anticiperebbe di un anno il primo adeguamento e aggiungerebbe quattro mesi di lavoro a partire dal 2016. Naturalmente non per tutti i lavoratori l’aumento sarebbe di quattro mesi», dice Carbone. Anche per gli uomini resta fermo il principio dei 40 anni di contributi. Chi ha iniziato a lavorare a 18 anni, potrà quindi andare in pensione a 58 con una finestra d’attesa di 12 mesi. Sempre in bozza c’è anche lo stop alla rivalutazione delle pensioni che superano cinque volte il minimo e la rivalutazione al 45% se gli assegni superano il trattamento minimo di tre volte. Ma è uno dei punti che potrebbe cambiare nel passaggio in Commissione prima che il testo vada al voto di fiducia. (riproduzione riservata)