Società a partecipazione pubblica, società che gestiscono i rifiuti, holding e adesso anche aziende che si macchiano di reati ambientali. Ecco le nuove frontiere della legge 231, sulla responsabilità amministrativa degli enti, raggiunte dalla magistratura e dal legislatore. Ma con un unico grande paletto: nei processi contro le imprese non è ammessa la costituzione di parte civile. A dieci anni dalla sua emanazione la legge 231 resta uno dei provvedimenti legislativi più discussi e di complessa applicazione. La Corte di cassazione ha contribuito a riempire qualche vuoto normativo all’interno del provvedimento e, come spesso accade, è stata pioniera su interpretazioni particolarmente estensive.

 

Società a partecipazione pubblica soggette alla responsabilità amministrativa. Due anni fa, con la sentenza 28699, la Corte di cassazione ha sancito la responsabilità amministrativa degli enti a partecipazione pubblica, quando svolgono attività economica.

E non basta. Lo sono pure quelle che esercitano funzioni costituzionalmente rilevanti, come quelle sanitarie o di informazione.

 

La responsabilità amministrativa degli enti colpisce anche le società addette allo smaltimento rifiuti. Quella decisione (sentenza 234) preludeva a un altro approdo giurisprudenziale arrivato pochi mesi dopo. E infatti esce sempre dal Palazzaccio la notizia per cui la responsabilità amministrativa degli enti può essere estesa a tutte le società a partecipazione pubblica, incluse quelle operanti nel settore dello smaltimento dei rifiuti.

In quell’occasione la seconda sezione penale precisò che «in base al dato normativo una corretta lettura della disciplina concernente la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica porta a ritenere che possano essere esonerati dall’applicazione del dlgs n. 231 del 2001 soltanto lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale e gli altri enti pubblici non economici».

 

Ditta individuale. E poi la «bagarre» sulla ditta individuale. Dopo alcune oscillazioni giurisprudenziali ora è ufficiale: la 231 si applica anche a queste piccolissime aziende.

Lo ha sancito la Corte di cassazione (sentenza 15657 del 20 aprile 2011) che ha respinto il ricorso di una ditta coinvolta nell’ambito di un’inchiesta sui rifiuti.

Fino a quel momento tutti i Collegi di legittimità chiamati a decidere su casi di impresa individuale avevano sostenuto, in modo omogeneo, che «soltanto sugli enti dotati di personalità giuridica che siano strutturati in forma societaria o pluripersonale possono farsi gravare gli articolati obblighi nascenti dal dlgs 231/2001». Ma, questa volta, gli Ermellini non hanno condiviso la tesi bocciandola espressamente «come un argomento privo di pregio per un concorrente ordine di ragioni».

 

Holding. Dulcis in fundo, direbbero i latini. Con la sentenza 24583 la seconda sezione penale della Cassazione ha da un lato esteso l’applicabilità della 231 ai grandi gruppi di aziende.

Dall’altro ha fissato paletti stringenti ai fini dell’applicazione: e cioè è necessario che l’amministratore sia direttamente coinvolto nell’affare illecito o sia complice di chi ha commesso i reati. Un generico riferimento al gruppo non è sufficiente ai fini dell’accusa. In proposito gli Ermellini hanno messo nero su bianco che «in effetti la holding o altre società del gruppo possono rispondere ai sensi della legge 231 ma è necessario che il soggetto che agisce per conto delle stesse concorra con il soggetto che commette il reato».

In altri termini «non è sufficiente un generico riferimento al gruppo per affermare la responsabilità della società ai sensi della legge 231/2001».

Debora Alberici