Ieri nuovo record per i buoni del Tesoro. Investire in titoli di Stato rende di più che affidare i propri soldi ai gestori Uno studio di Mediobanca boccia le Sgr, che danno performance insoddisfacenti scese vicine allo zero nel 2011

 

I Bot fanno boom e battono di gran lunga anche i rendimenti dei fondi comuni. Mentre l’asta di ieri ha registrato tassi ai massimi dal novembre del 2008 per i buoni semestrali, l’ufficio studi di Mediobanca stima una performance nulla per i fondi italiani nei primi sei mesi del 2011. E gli esperti di Piazzetta Cuccia, nella ventesima edizione dell’indagine – pubblicata ieri – su fondi e Sicav italiani, dal 1984 al 2010, non fanno che fornire un’argomentazione in più ai risparmiatori italiani, affezionati a tal punto alle obbligazioni statali di breve da essersi guadagnati negli anni il soprannome di «Bot people»: i bond, in un orizzonte di medio-lungo periodo, hanno sempre la meglio sui prodotti del risparmio gestito. Intanto, come detto, in occasione dell’asta del Tesoro di ieri mattina, a fronte di una richiesta pari a 11,7 miliardi, sono stati assegnati 7,5 miliardi di Bot semestrali, con un rendimento medio ponderato lordo pari al 2,269%, livello record dal novembre del 2008. Quanto alla performance dei fondi del Belpaese, come sottolineano gli esperti di Mediobanca nello studio, che ha passato in rassegna in totale 1.003 prodotti di diritto italiano, è ancora «insoddisfacente». «Chi avesse investito in tutti i fondi italiani negli ultimi 27 anni – ragionano gli analisti – avrebbe subìto, rispetto a un impiego annuale in Bot a 12 mesi, una perdita in conto capitale vicina al 90 per cento. Sulla base del tasso risk free, il frutto dei fondi aperti mette in evidenza una distruzione di valore pari a oltre 130 miliardi di euro nell’ultimo decennio». Stando ai dati forniti dagli economisti di Piazzetta Cuccia, sebbene nel 2010 l’industria italiana del risparmio gestito abbia messo a segno un rendimento al netto di imposte pari al 2,4% contro il +0,9% dei Bot a 12 mesi, considerando periodi di tempo più lunghi non sembra esserci storia. Dal 2005 al 2010, infatti, i Titoli di Stato hanno battuto l’asset management con un +12,8% complessivo (+2,4% la media annua) rispetto a un +5,2% (+1% la media annua), mentre il differenziale si amplia ulteriormente in un’ottica decennale, con le obbligazioni a +28,5% (+2,5% la media annua) e i fondi ad appena +3,4% (+0,3% la media annua). Il risultato è analogo anche se si prende in esame il periodo dell’intera ricerca, ossia dal 1984 al 2010: al +359,3% dei fondi comuni (+5,8% la media annua) si contrappone il +445,3% dei Bot a 12 mesi (+6,6% la media annua). Quanto all’anno in corso, gli esperti di Piazzetta Cuccia, sulla base dei dati disponibili, calcolano che i fondi aperti italiani abbiano archiviato i primi sei mesi con una performance nulla. Limitando l’analisi ai soli prodotti azionari, il rendimento nel 2010 è stato a doppia cifra, pari al 10 per cento. In altri termini, la metà della performance delle Borse internazionali (+20,5% l’andamento dell’indice mondiale Msci World in euro) ma meglio di quella – negativa per il 6,5% – di Piazza Affari. Un divario che, di nuovo, si allarga considerevolmente prendendo come riferimento orizzonti temporali più lunghi: basti pensare che, complessivamente, dal 1989 al 2010, i fondi azionari hanno guadagnato il 74,1% (+2,7% la media annua) contro il +266,3% (+6,4% la media annua) delle Borse internazionali e il +137% (+4,2% la media annua) del listino nostrano. Anche in questo caso, dunque, i prodotti del risparmio gestito, nel lungo termine, appaiono perdenti, non riuscendo a battere il benchmark di riferimento. Non solo: l’asset management si trova a soccombere anche dinanzi alla rivalutazione del Tfr. Fatto 100 l’anno 2000, infatti, i prodotti negoziali hanno chiuso il 2010 con un rendimento cumulato del 14%, meno della metà della rivalutazione pari al 30,1% messa a segno dal Tfr.