ADRIANO BONAFEDE

«Tutti in Europa siamo preoccupati per i debiti sovrani dei cosiddetti paesi periferici. Che si parli e si discuta tanto di questo problema non fa certo bene alla ripresa economica. Ma se guardiamo al solo settore assicurativo, ci sono motivi di ottimismo. L’esposizione delle compagnie europee al debito greco è molto limitata, mentre gli altri paesi stanno dando prova di aver messo in piedi misure convincenti». Henri de Castries, amministratore delegato di Axa, il secondo gruppo assicurativo europeo dopo Allianz e poco prima dell’Italiana Generali, parla seduto in un comodo divano al Castello Suduiraut a Preignac, una magnifica dimora storica nei pressi di Bordeaux, dove il gruppo assicurativo sta tenendo un seminario. De Castries, vestito per una volta informalmente, è rilassato. Rispondendo alle domande, si mostra relativamente ottimista.
Dottor de Castries, ci vuole spiegare perché tutto sommato vede rosa per le compagnie, a proposito del debito sovrano dei paesi “periferici”?
«Quello che l’articolo uscito la scorsa settimana sul Wall Street Journal non ha messo bene in luce è la profonda differenza tra banche e assicurazioni. Le prime rischiano indubbiamente di più, le seconde hanno una vulnerabilità limitata in termini di Solvency. Se mi chiede se ci sono problemi non le posso certo dire di no. La Grecia è un problema ma, ad esempio, già se guarda l’Irlanda e la Spagna ci accorgiamo che in questi paesi l’economia è forte mentre i loro governi hanno messo in atto misure efficaci».
Sembra di capire che lei non creda affatto a uno scenario catastrofico che porti a un default prima della Grecia e poi a cascata di tutti gli altri paesi “periferici”, compresa l’Italia.
«Non credo a questo scenario. Se poi, per inciso, l’Italia andasse in default non sarebbe un problema solo per il vostro paese ma per tutta l’Europa. No, la verità è che siamo di fronte a una visione tutta anglosassone che tende a drammatizzare i problemi continentali, visione con la quale non sono d’accordo. I grandi paesi europei, Francia, Spagna e Italia, hanno fatto grandi sforzi nella giusta direzione per andare incontro alla Grecia, la situazione è solida. Certo, non fa piacere vedere ciò che accade ad Atene, ma il piano messo in piedi per garantire i pagamenti del debito pubblico greco nei prossimi mesi funziona: è secondo me la risposta giusta».
In Europa voi siete insieme a Allianz, Generali e Aviva i big del settore, ognuno leader nel proprio paese e con significative presenze anche negli altri. Pensate che nei prossimi mesi o anni qualcosa possa cambiare in questo scenario tutto sommato statico?
«Intanto noto con soddisfazione che tra le prime dieci assicurazioni del mondo, la maggior parte sono europee e questo dimostra la loro forza. La sua domanda è se il panorama potrà mutare e come. Ebbene, io credo che il più grande cambiamento arriverà dalle banche che hanno significative partecipazioni in assicurazioni. Guardi ad esempio a cosa ha fatto Mps, che ha creato una joint venture con noi. In generale penso che saranno le norme di Basilea 3 a forzare le banche a rivedere la loro posizione sulle compagnie che hanno all’interno».
Davvero è inimmaginabile la tanto chiacchierata fusione tra Axa e Generali?
«Generali e Axa hanno strategie e obbiettivi completamente differenti».
Che cosa avete imparato dalla crisi finanziaria?
«Abbiamo imparato che anche l’improbabile può accadere. Non eravamo abituati a questa eventualità. Quello che è cambiato da parte nostra è di conseguenza l’approccio al rischio. Una parte della nostra attività è adesso molto più concentrata nel contenimento della rischiosità».
Qualcuno dice che le compagnie non dovrebbero concentrare gli asset, anche quelli riguardanti i titoli del debito sovrano, in pochi paesi, ma dovrebbero diversificare. E’ d’accordo?
«La diversificazione è ovviamente necessaria, ma c’è comunque un limite: quando si hanno delle liability in determinati paesi occorre avere un corrispettivo d’investimento negli stessi paesi. Se, tanto per fare un esempio, si ha una compagnia vita in Spagna, è necessario avere anche degli investimenti in titoli di Stato di quel paese».
Che cosa rappresenta oggi l’Italia per Axa in termini di business?
«Siamo contenti del business italiano. Siamo presenti in tre modi, direttamente con Axa Assicurazioni, che va bene; tramite la joint venture con Mps, che si sviluppa in maniera rapida, e con Quixa, la compagnia online».
Pensate di espandere il business in Italia magari con qualche acquisizione?
«Non diciamo mai di no a priori, ma noi ci muoviamo sempre in base alla possibilità di ottenere una buona profittabilità. Non vogliamo crescere tanto per crescere».
Perché non siete stati interessati, come Groupama, a Fondiaria Sai?
(sorride) «Non ci è mai risultato che fosse in vendita…»
Torniamo alla vostra presenza in Italia e partiamo da una considerazione: Generali è presente in Francia e Germania ed è in entrambi i paesi al secondo posto. Allianz è presente in Francia e Italia dove è rispettivamente quarta e terza. Voi invece siete ben presenti in Germania ma non in maniera rilevante in Italia. Va bene così?
«Non abbiamo come programma di competere con gli altri paese per paese. D’altronde il nostro progetto è quello di espanderci soprattutto nei paesi emergenti, a cominciare dall’Est Europa, dove la profittabilità è maggiore. E non mi risulta che Germania o Italia siano dei paesi emergenti».
A proposito di paesi emergenti, avreste comprato la ceka Ppf di Petr Kellner come ha fatto Generali, che la considera una dei suoi migliori affari?
«No, non siamo mai stati interessati a Ppf. Non rientrava nei nostri programmi».