di Paola Valentini
Dopo oltre un decennio di tassi in calo, i mercati si sono improvvisamente ritrovati all’inizio di nuovo ciclo di restrizioni monetarie più severo delle attese, per tenere a bada l’inflazione. Quest’ultima è salita rapidamente a causa di un’offerta che, con la guerra in Ucraina e le chiusure legate al Covid, non riesce a tenere il passo con la domanda di beni, almeno per quanto riguarda l’Europa, mentre negli Usa il problema del caro vita è legato a un eccesso di domanda. Un quadro in cui per la gestione attiva il terreno è finalmente tornato fertile per dimostrare la capacità di produrre rendimenti all’altezza delle attese degli investitori. Negli anni di tassi a zero l’alta marea della liquidità ha praticamente fatto salire in modo indiscriminato azioni e bond dando ai fondi passivi, Etf in primis, una spinta formidabile. Non a caso la raccolta degli indicizzati ha registrato in questi ultimi anni un boom. Merito di una formula low cost che quando i tassi sono ai minimi può fare la differenza in termini di rendimenti offerti ai risparmiatori rispetto a una gestione attiva, per sua natura più costosa. Ma quando la marea si abbassa, gli strumenti indicizzati rischiano di perdere appeal perché in presenza di turbolenza sui mercati non sempre il pilota automatico dei prodotti passivi è la scelta migliore. Il dibattito sui rischi dell’indicizzazione, che incanala i capitali nelle azioni spesso indipendentemente dai fondamentali aziendali, si sviluppa da anni mentre i fondi passivi hanno conquistato di quote di mercato dai loro rivali attivi. I loro costi più bassi combinati con i dubbi sulla capacità della maggior parte dei gestori discrezionali di battere il mercato hanno alimentato il cambiamento.

«Negli ultimi anni, le condizioni di mercato hanno sfavorito i gestori azionari attivi. Se si esclude il sell-off legato alla pandemia nel 2020, seguito da una ripresa molto rapida, la volatilità del mercato è rimasta bassa, così come la dispersione dei rendimenti negli indici a maggiore capitalizzazione», dice Eric Veiel, head of global equity di T. Rowe Price. In altre parole i risultati dei principali indici, a partire dagli Usa, sono stati trainati da un numero ridotto di azioni.«Al 30 aprile scorso, i 10 titoli più importanti dell’indice azionario Usa S&P 500 rappresentavano quasi il 28% della capitalizzazione di mercato totale, 10 punti percentuali in più da fine 2015. In questo contesto, diversi gestori attivi di titoli large-cap che hanno cercato di individuare opportunità interessanti a livello più ampio hanno fatto peggio dei loro benchmark», aggiunge Veiel.T. Rowe Price ha analizzato i risultati dei gestori azionari attivi large-cap Usa con l’indice S&P 500. I dati coprono un periodo di oltre 33 anni (fino al 31 gennaio 2022). «L’analisi suggerisce che quando ci troviamo di fronte a mercati altamente concentrati o con valutazioni elevate, si possono creare situazioni favorevoli in cui una gestione attiva può potenzialmente trarre vantaggio allo sbloccarsi di tali condizioni», dice Veiel. Una strategia attiva oggi può tornare in auge anche sui bond. Non a caso Btp Italia non ha avuto il boom di sottoscrizioni auspicato e la raccolta retail si è fermata a 7,3 miliardi, circa la metà rispetto all’ultima edizione del 2020. «La situazione contingente, sia per quanto riguarda le aspettative macroeconomiche sia per le tensioni geopolitiche, impone una gestione del proprio portafoglio ispirata alla dinamicità in quanto potrebbe in futuro venir meno l’appeal dei bond legati all’inflazione come Btp Italia», spiega Matteo Meroni, gestore obbligazionario di Zest, «l’alta volatilità delle ultime settimane necessita un costante riposizionamento mano a mano che vengono riviste le aspettative d’inflazione e di crescita con le conseguenti azioni attese da parte delle banche centrali».

Secondo Banca d’Italia, in linea con la Bce, l’inflazione domestica è prevista al 6,2% nel 2022 e al 2,7% nel 2023, perché si ipotizza che le pressioni derivanti dall’aumento dei prezzi delle materie prime rientrino progressivamente. Proiezioni che però dipendono molto dall’evoluzione del conflitto in Ucraina. «Un’intensificazione delle ostilità avrebbe ripercussioni più pesanti di quelle incorporate nello scenario di base, in particolare nel caso in cui fossero interrotte le forniture di input energetici dalla Russia l’inflazione subirebbe un netto aumento nel 2022, avvicinandosi all’8%, e rimarrebbe elevata anche nel 2023, al 5,5%», afferma Banca d’Italia. Queste incertezze segnano il ritorno di condizioni che favoriscono una maggiore attenzione alle valutazioni e ai fondamentali creando, potenzialmente, interessanti opportunità per la selezione dei titoli e quindi per la gestione attiva.

«Il contesto nel quale ci muoviamo è molto più impegnativo e la volatilità più alta, ma questo significa anche disporre di maggiori opportunità per distinguersi», afferma Ingmar Przewlocka, gestore del fondo Global Multi-Asset Balanced di Schroders. In questo scenario MF-Milano Finanza ha messo sotto esame i rendimenti dei fondi e degli Etf (dati Fida) nelle dieci categorie azionarie e obbligazionarie più rappresentative per fare un bilancio nella gara dei rendimenti che da sempre si gioca tra gestione attiva e passiva e capire chi ha protetto meglio i portafogli in questa difficile prima parte del 2022. Nelle tabelle in pagina sono riportati i primi tre fondi e i primi tre Etf per performance da inizio anno per ciascuna specializzazione. In diversi casi i risultati risentono dell’andamento negativo delle asset class di riferimento, ma nonostante ciò, è possibile verificare in quali casi i gestori hanno retto meglio alle correzioni dei listini rispetto ai concorrenti passivi o quando invece hanno prevalso questi ultimi.

Azionari. A Piazza Affari i gestori attivi hanno saputo contenere meglio le perdite rispetto agli Etf. Il fondo Lemanik High Growth segna il -12% in questi sei mesi, mentre tra i passivi l’Amundi Ftse Mib Ucits Etf che è andato meglio cede quasi il 18% da gennaio, in linea con il Ftse Mib. Stessa dinamica tra gli azionari Italia sulle piccole e medie capitalizzazioni italiane: il fondo Mediobanca Mid & Small Cap Italy fa -16%, mentre il primo Etf di questa categoria è a -19% (Ishares Ftse Italia Mid Sall Cap), ricalcando anche in questo caso l’indice pmi di Piazza Affari. Negli azionari Europa medie e grandi capitalizzazioni il comparto European Value di Schroders registra un -0,5%, nel frattempo il miglior Etf (il Wisdom Tree Europ Equity Income) perde quasi il 3%. Tra le pmi europee emerge ancora di più la capacità della gestione attiva di selezionare i singoli titoli. L’Alken Small Cap Europe guadagna il +3,67%, mentre il Wisdom Tree Europe Small Cap Dividend perde il 15%. Guardando ai gestori attivi sull’azionario Cina, asset class che nel periodo ha avuto un andamento negativo a causa dei nuovi lockdown anti-Covid, spicca il fondo Fidelity China con in +5,1% da inizio anno, superando il primo Etf della categoria, l’Amundi Msci Cina (+4,3%). Invece nel mercato americano la gestione passiva ha avuto la meglio: in cima alla classifica ci sono Etf che investono in indici di azioni con alti dividendi, a partire dal WisdomTree Us Equity Income con quasi +5%. Tra i fondi si mette in evidenza l’Edr Fund Us Value che sfiora il +4% di rendimento.

Obbligazionari. Nei bond il rialzo dei tassi ha messo a dura prova le capacità dei gestori attivi di battere i benchmark. Tra i fondi che investono sulle emissioni di società europee il primo è Nordea 1 European Covered Bond Opportunities: da gennaio ha reso l’1,29%, mentre il miglior Etf di categoria, il Lyxor Barclays Floating Rate Euro (0-7 anni) perde lo 0,5%. Sul fronte degli obbligazionari emergenti Anima Riserva Emergente segna il 2% mentre tra gli Etf lo Spdr Ice Bofa 0-5 anni Emerging Usd Government Bond, registra un -1,4%. Tra gli Etf specializzati sugli Usa spicca lo Us 10 years Inflation di Lyxor con il +10,9%, mentre il primo fondo è Amundi Pioneer Us Short Term (+7,8%).

La classifica assoluta. La crisi energetica innescata dalla guerra ha spinto al rialzo i combustibili fossili. Proprio i comparti specializzati su energia e materie prime dominano la classifica assoluta dei migliori fondi ed Etf per rendimento da inizio anno, come emerge dalle elaborazioni Fida su quasi 15mila fondi collocati al retail in Italia e oltre 1.650 Etf quotati su Borsa Italiana (tabella in pagina accanto). Tra i fondi si piazza primo Quadriga Investors Igneo con un +46,6%, comparto a ritorno assoluto con focus sulle materie prime. Nei prodotti passivi le dinamiche sono simili: gli Etf specializzati su gas e petrolio hanno dato i migliori risultati, amplificati dalla leva, scommessa rischiosa che permette di amplificare i guadagni degli indici sottostanti ma anche le perdite se vanno male. Inoltre anche grazie alla possibilità di prendere posizioni corte (ovvero di trarre vantaggio dalla discesa delle quotazioni), gli Etf hanno registrato un rendimento fino alla tripla cifra percentuale. L’investimento ribassista sul titolo Netflix ha fatto realizzare il +640% al GraniteShares 3x Short Netflix Daily Etp e il +420% al GraniteShares 3x Short PayPal Daily Etp su Paypal. Terzo il Wisdom Tree Natural Gas 3x Daily Leveraged sul gas che ha reso il 236% andando a leva. «Ci vorrà tempo per una transizione credibile. La dipendenza dai combustibili fossili è ancora massiccia», dice Francesco Sedati, responsabile equity research di Eurizon il cui fondo Azioni Energia e Materie Prime fa +14% quest’anno. Tra le principali posizioni ci sono ConocoPhillips, Valero Energy e Exxon Mobil. (riproduzione riservata)
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