di Fabrizio Vedana
La perdita delle key people, la (in)capacità di attrarre persone chiave, la pressione fiscale e la gestione della successione e della continuazione rappresentano le principali criticità segnalate dalle aziende di famiglia. Il dato emerge dalla ricerca fatta dal centro di ricerca sulle imprese di famiglia (Cerif) presentata in occasione dell’incontro “Italia e pmi: uno sguardo al futuro” tenutosi il 16 giugno scorso presso l’università cattolica del sacro cuore. Le altre criticità evidenziate dalle aziende sono il rischio sistemico, quello collegato alla perdita del fondatore, la continuità del nome della famiglia, la riduzione della redditività del settore nel tempo, l’ostilità ambientale e la chiusura all’ingresso di capitali di rischio esterni. Un aspetto, quest’ultimo, che assumerà certamente una rilevanza ancora maggiore all’indomani del forte invito fatto dal presidente della consob ad investire nell’economia reale italiana ovvero di acquistare partecipazioni in aziende italiane, non necessariamente quotate, attraverso l’utilizzo di fondi o di veicoli come i pir. Le aziende intervistate da Cerif sono per il 51 per cento società per azioni e per il 47 per cento srl e il 69 per cento sono piccole e medie imprese ovvero hanno un fatturato compreso tra i 5 e i 50 milioni di euro. Appartengono ai principali settori economici: dall’alimentare al metalmeccanico e metallurgico, dal chimico-farmaceutico al tessile, dai trasporti all’alberghiero. Quello della gestione della successione e della continuazione, pur non essendo una criticità del tutto nuova, risulta ora avvertita dalle aziende in maniera significativamente più preoccupante del passato per svariati motivi. I fattori che sembrano contribuire maggiormente a tale timore sono la conflittualità tra i familiari, la mancanza di programmazione e pianificazione, l’aumento della complessità per l’alta numerosità dei familiari da inserire in azienda o la possibilità che i figli (dell’imprenditore) potrebbero non volere lavorare in azienda.

E’ bene ricordare che per il 7 per cento delle aziende familiari si è arrivati alla quinta generazione familiare, per il 4 per cento alla quarta, per il 16 per cento alla terza e per ben il 58 per cento alla seconda.

Per quanto riguarda la pressione fiscale, invece, i componenti maggiormente rilevanti risultano essere l’elevato rischio derivante dall’evasione, l’ostacolo all’autofinanziamento per lo sviluppo aziendale e la difficoltà nel competere con competitors stranieri forti che possono fare affidamento, nel paese di origine, su regimi tributari di maggiore favore.

Il rischio collegato alla perdita del fondatore, anche per effetto di quanto successo con il covid, costituisce altra criticità avvertita più che nel passato anche per l’assenza di eredi con caratteristiche necessarie a ricoprire il ruolo.

Formazione del personale, rischio paese e rischio tecnologico non vengono invece più considerati tra le top 10 criticità delle aziende di famiglia (lo risultavano invece con la precedente rilevazione del 2020).

Fabrizio Vedana
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