Persa la battaglia sulle Generali, il prossimo obiettivo del patron di Delfin, Leonardo Del Vecchio, e del costruttore romano Francesco Gaetano Caltagirone è quello della «presa della Piazzetta». Di quella Mediobanca, cioè, che ha in portafoglio un corposo 12,87% del capitale del Leone, una presa che con il senno di poi soltanto l’operazione Banca Generali, con una forte diluizione a Trieste della merchant bank per finanziare l’operazione, avrebbe portato in dote evitando la cocente sconfitta in assemblea ai due grandi vecchi del capitalismo italiano e che in un primo momento Caltagirone, nel 2020, vedeva di buon occhio.

Chi osserva molto da vicino le vicende nell’azionariato dei due snodi della finanza italiana racconta a MF-Milano Finanza che le manovre sono in corso, non esclude (come riportano alcuni rumors) che sua già messo a segno dall’imprenditore capitolino un rafforzamento fino alla soglia del 10% di Mediobanca (ora ufficialmente è al 5,45%) e riferisce come la preparazione dell’assalto alla governance stia avvenendo anche attraverso il coinvolgimento di una grande banca per by-passare i limiti imposti dalla Vigilanza a Delfin in quanto holding non bancaria, limiti che varrebbero a tendere anche per le società di Caltagirone.

A dispetto di ipotetici showdown autunnali, le fonti non vedono ribaltoni negli assetti di Mediobanca già a ottobre, per quando cioè è in calendario la prossima assemblea di Piazzetta Cuccia, mentre indicano come il D-Day il rinnovo delle cariche sociali in agenda per il prossimo anno. C’è anche chi riferisce di un certo attivismo operativo di Francesco Milleri, («l’amministratore», come Del Vecchio chiama il suo braccio destro) nel cercare di coagulare fra altri big dell’imprenditoria italiana il consenso nei confronti del progetto di scalata alla merchant bank di Alberto Nagel, quasi sul modello di quanto avvenuto nell’ultimo semestre in Generali. Adesioni però difficili da raccogliere per il contesto macroeconomico in progressivo deterioramento.

Questa volta alla «chiamata alle armi», riferiscono poi gli osservatori, i Benetton (titolari del 2,1% del capitale di Mediobanca custodito nella cassaforte Edizione) potrebbero non partecipare. Né per appoggiare la svolta nella governance né per la conservazione dello status quo. Insomma, un atteggiamento neutrale che potrebbe spingere la famiglia trevigiana addirittura a disimpegnarsi concretamente dal capitale della merchant bank per non prendere parte a un «redde rationem» (per Del Vecchio le ruggini con il duo Nagel-Pagliaro vengono fatte risalire fino alla vicenda dello Ieo, mentre per Caltagirone viene citata la totale mancanza di fiducia dell’imprenditore romano nei confronti di Nagel maturata nella precedente «gestione coabitativa» sulle Generali) che per toni e potenziali scosse telluriche nella finanza italiana rischia di essere uguale, se non maggiore, a quanto avvenuto a Trieste alla fine dello scorso aprile. Il che rappresenterebbe un cambio di scenario, tanto in Piazzetta Cuccia quanto a Ponzano Veneto, dove da gennaio la cloche del comando di Edizione è nelle mani del presidente Alessandro Benetton e dell’amministratore delegato Enrico Laghi.

Già dopo l’assemblea delle Generali di fine aprile, in cui avevano schierato la propria quota (il 4,75%, arrotondato dal precedente 3,94%) in favore della lista Caltagirone, appoggiata dalle grandi famiglie del capitalismo italiano, MF-Milano Finanza aveva riferito di una presa di distanza da parte dei Benetton rispetto alle dinamiche belligeranti nel capitale della compagnia assicurativa triestina. Addirittura prima del fischio d’inizio dei lavori del 29 aprile da Ponzano tenevano a precisare come le partecipazioni di Edizione nel Leone e in Mediobanca «non fossero strategiche» e come il punto fosse anche ben sottolineato, nero su bianco, nel nuovo statuto della holding che gestisce i diversificati affari miliardari dei quattro rami della famiglia veneta. Un distacco di cui le motivazioni addotte dai Benetton sul voto pro-Caltagirone a Trieste (per abbassare il tasso di litigiosità nell’azionariato, è stato detto a Nagel e fatto filtrare) erano già un indicatore. Poi gli ultimi rumors registrati sempre da questo giornale sulla non volontà della famiglia di appoggiare in futuro liste concorrenti a quella del cda di Mediobanca in un’eventuale showdown per la contesa sulla governance di Piazzetta Cuccia, anche in ragione dello storico ruolo di advisor della merchant bank nei confronti dei Benetton, legame riemerso con forza negli ultimi mesi nelle due partite (fondamentali per Ponzano) dell’opa Atlantia e Autogrill-Dufry. Ora l’ulteriore maturazione di pensiero per non doversi ritrovare in situazioni scomode nel caso di cruenti scontri nell’azionariato: dopo essere usciti dal patto di consultazione che raggruppa gli azionisti storici di Piazzetta Cuccia, secondo alcune fonti finanziarie la famiglia avrebbe già aperto i cantieri per uscire in futuro dal capitale di Mediobanca vendendo il suo 2,1%. Da Edizione bollano questi ragionamenti come fughe in avanti, anche perché in questo momento a Nordest le priorità sono altre. In primis, delistare Atlantia post-Aspi con l’aiuto di BlackRock, fondo portato a Ponzano proprio da Nagel per blindare la holding infrastrutturale che custodisce autostrade e aeroporti, ossia il cuore industriale dell’impero miliardario dei Benetton. Ma a Ponzano vogliono evitare di trovarsi nuovamente in mezzo a interessi contrapposti in battaglie finanziarie non strategiche per Edizione e di essere tirati per la giacca. Ma anche di doversi trovare costretti a costruire dialettiche vie d’uscita come quella del «ruolo da paciere» in Generali: alle orecchie dei protagonisti della finanza italiana sono suonate perlopiù come democristiani artifici comunicativi. (riproduzione riservata)
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