ANITEC-ASSINFORM INDICA LE PRIORITÀ PER SFRUTTARE IL POTENZIALE DEL DIGITALE IN AMBITO SANITARIO
di Roxy Tomasicchio
La sanità italiana inizia a parlare digitale: dalla ricerca scientifica alle strutture ospedaliere, passando per la diagnostica, i dati cominciano a essere protagonisti. Lo dimostrano le cifre. Per quanto riguarda la cosiddetta digital health, ossia la sanità digitale, la spesa ha registrato una forte accelerazione, con un tasso di crescita a doppia cifra nel 2021. E in particolare, il comparto big data e analytics, cioè la raccolta e l’analisi della infinita mole di dati prodotti in questo caso in ambito sanitario, corre ancor più veloce: nel 2022 è stimato un valore complessivo di 135 milioni di euro (+12,5% rispetto al 2021), che saliranno, in proiezione, a 200 milioni nel 2025. Il tasso di crescita medio annuo a due cifre (13,6%) dimostra la rapidissima evoluzione di questo mercato. Ma non è ancora sufficiente a colmare il divario con altri paesi. Esistono, infatti, limiti di interoperabilità, cybersicurezza e competenze digitali. La diagnosi arriva dal rapporto di Anitec-Assinform, l’Associazione italiana per l’information and communication technology (Ict) aderente a Confindustria, intitolato «Una Data Strategy per la sanità italiana», elaborato dal gruppo di lavoro «Digital transformation in sanità», che ha predisposto una sua formula per creare valore in sanità partendo dai dati. «La sanità italiana è uno dei nostri punti di forza», ha commentato Marco Gay, Presidente di Anitec-Assinform, «in un paese di cui spesso lamentiamo ritardi e inefficienze, non possiamo non registrare come la crisi pandemica abbia messo in luce anche le tante virtù del nostro sistema sanitario: la qualità, l’accessibilità, la reattività. Dal personale sanitario alle strutture pubbliche e private alle aziende, si è lavorato in maniera eccezionale a conferma dell’importanza di disporre un sistema sanitario universale a servizio dei cittadini. Ma siamo consapevoli che la sanità italiana molto deve fare per superare i limiti che la frammentazione istituzionale delle amministrazioni pone, insieme alla carenza di investimenti pubblici che purtroppo prosegue da tempo. Il settore sanitario produce tantissimi dati che potrebbero e possono essere impiegati in diversi ambiti con benefici tanto per il pubblico che per il privato», ha aggiunto Gay, «per sfruttare il potenziale del patrimonio informativo non basta però avere grandi dataset. Serve un indirizzo strategico che guidi alcune azioni sistemiche su macro-temi necessari a rendere quei dati realmente utili. Su tutti: cybersecurity, formazione e interoperabilità».

L’importanza dei dati. Secondo una stima di Mordor Intelligence, società che fornisce indagini di mercato, la gestione dei dati nel settore sanitario valeva 23,7 miliardi di dollari (oltre 22 miliardi di euro), nel 2020, con una previsione di crescita sino a 58,4 miliardi (54 miliardi di euro) entro il 2026, facendo arrivare il tasso annuo di crescita composto al 16,24%. Per l’Italia, NetConsulting Cube stima, come anticipato, un valore di 135 milioni di euro per quest’anno. E, ancora, stando al rapporto annuale «Il digitale in Italia», il valore complessivo del mercato italiano Big Data è previsto arrivi a 1,5 miliardi di euro nel 2022 e a 2,1 miliardi nel 2025 (tasso di crescita medio annuo 2020/24 del 12,9%).

Ma queste cifre come si traducono sul campo, o, meglio, in corsia? Per quanto riguarda la raccolta e la gestione dei dati, sempre per NetConsulting Cube, gruppo operativo in ambito di analisi di mercato e consulenza sul digitale, il 71% delle aziende dichiara che i dati clinici e amministrativi restano in prevalenza all’interno dei sistemi che li generano e non sono condivisibili. Allo stesso tempo il 59% dichiara che i dati sono già fruibili per l’uso secondario (ricerca e innovazione, per esempio) e il 29% che lo saranno in futuro. Risultano poco diffusi i cosiddetti data lake/data platform, cioè le piattaforme per l’archiviazione e l’analisi delle informazioni: il 12% dichiara di avvalersene, il 35% di progettarne l’adozione futura, mentre più di una azienda sanitaria su sue (il restante 53%) non utilizza tali risorse né ne pianifica l’utilizzo in futuro.

Eppure, qualcosa si muove: il 52% delle aziende ha in corso progetti di revisione; di questi, l’82% riguarda la revisione della data governance, quindi la gestione vera e propria, e il 55% il rinnovo dell’architettura delle piattaforme.

Una strategia basata su cinque pilastri. Portare i dati da volume a valore: è questo l’obiettivo. Per compiere il primo passo Anitec-Assinform ha individuato cinque aree per costruire una strategia dei dati per la sanità italiana. Si parte dal tema delle competenze, nodo cruciale per il successo dei programmi di trasformazione digitale in sanità. Per una vera digital transformation bisogna agire sue due fronti: aumentare le competenze di base nella popolazione e rinforzare le competenze informatiche specialistiche nel sistema sanitario nazionale.

Altra priorità è la cybersicurezza. Il dato sanitario è per sua natura sensibile. La sicurezza informatica è da considerare come componente essenziale di qualsiasi processo di trasformazione digitale in ambito sanitario. Ogni progetto di digitalizzazione dei processi sanitari si deve sviluppare con una logica di «security by design», in altre parole prodotti e funzionalità software ideati per essere fondamentalmente sicuri. Nelle organizzazioni sanitarie non si può fare a meno di un’organizzazione dedicata alla sicurezza con figure competenti. La priorità dev’essere la continuità operativa e la sicurezza di un patrimonio informativo sensibile come quello clinico-sanitario. È essenziale creare una cultura diffusa della sicurezza che coinvolga l’intera organizzazione attraverso piani di formazione che consentano a tutti i professionisti della salute di difendere il patrimonio informativo, la privacy e l’operatività delle organizzazioni sanitari.

A differenza dei dati amministrativi, già organizzati per verificare i costi del Ssn, i dati clinici esistono ma sono molto frammentati. Sono necessarie, quindi, norme chiare sulle possibilità di utilizzo e scambio dei dati, per mettere a frutto le esperienze già fatte nel campo dell’intelligenza artificiale.

Infine, una «data-driven healthcare», una sanità guidata dai dati, presuppone l’esistenza di un’infrastruttura capillare che consenta la raccolta, il trasferimento, l’elaborazione e la fruizione dei dati. Anitec-Assinform, quindi, suggerisce l’adozione di linee guida comuni che aiutino le organizzazioni sanitarie a dotarsi di infrastrutture adeguate e affidabili che, una volta realizzate, dispongano di strumenti che permettano un attento monitoraggio per erogare servizi di qualità all’utenza.

Da non trascurare un ulteriore passaggio: da una logica di uso verticale dei dati, finalizzata al singolo progetto, a una strategia che valorizzi standard, collaborazione e riuso dei dati in senso trasversale, multidisciplinare. Bisogna lasciare il modello che utilizza prettamente i dati clinici per adottarne uno che sappia integrarli con altri tipi di dati: i «life data», vale a dire dati «esogeni» agli episodi clinici ma che possono influenzare il benessere. Tradizionalmente i sistemi sanitari si sono concentrati sulla gestione degli episodi clinici relativi allo stato di malattia e sui dati da essi generati, ma è riconosciuto che lo stato di salute e la prospettiva di vita in salute dipende da fattori che vanno oltre questi episodi e che attengono ambiti diversi. Per esempio, si può fare riferimento al nostro patrimonio genetico ma, in misura ancor più rilevante, sono determinanti fattori come condizioni socio-economiche, ambientali, abitudini, stili di vita e comportamenti.

«La sanità è un settore strategico che interessa la vita di tutti. È la struttura portante del nostro welfare», ha concluso il presidente Gay, «per questo dobbiamo renderla accessibile, efficiente e di qualità. L’innovazione è fondamentale per un servizio pubblico che non lasci nessuno indietro. La sanità del futuro avrà bisogno della trasversalità dei dati per migliorare la qualità della vita delle persone. Investire bene anche i fondi del Pnrr sulla Missione 6 sarà fondamentale».
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