Francesca Gerosa
È scattata l’ora del modello “connected care” anche in Italia. Il là lo ha dato il decreto del ministero della Salute che farà decollare su tutto il territorio nazionale la telemedicina, su cui il Pnrr investirà 1 miliardo di euro (3,5 miliardi a innovazione ricerca e digitalizzazione dell’assistenza sanitaria). Un decreto che mette nero su bianco chi potrà prescrivere, attivare ed erogare le varie prestazioni di telemedicina: dalla visita a distanza, al teleconsulto, dal telemonitoraggio, che consente di controllare a distanza valori e parametri vitali del paziente, fino al telecontrollo e alla teleriabilitazione.

L’Italia deve colmare il gap con il resto d’Europa, dove la sanità digitale ha toccato quota 47 miliardi di euro lo scorso anno e si appresta a crescere del 17% fino al 2027, quando sfiorerà i 140 miliardi (stima di Graphical Research). L’Italia nel 2021 si è dovuta accontentare di un +8% per 3,3 miliardi (il dato aggrega Tecnologie dell’informazione e della comunicazione, Business process outsourcing e dispositivi medici) con una prospettiva di crescita oltre 4 miliardi nel 2024, secondo NetConsulting cube. «Progetti strutturati e investimenti nella sanità digitali sono stati concentrati in alcune realtà, per esempio Lombardia, Emilia-Romagna, Puglia e Lazio, un aspetto critico che frena l’avanzare della digitalizzazione a livello Paese e migliorabile anche attraverso la formazione specifica degli operatori», sottolinea a Milano Finanza Luca Puccioni, founder e ceo di MioDottore, piattaforma per la prenotazione online di visite mediche.

I cittadini faticano ad affidarsi a strumenti digitali. Il Fascicolo Sanitario Elettronico, attivato per tutti i cittadini, è usato dal 33% dei cittadini e il 54% dei pazienti, indica Paolo Locatelli, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Sanità Digitale del Politecnico di Milano, ma il livello di alimentazione dei documenti del nucleo minimo nella gran parte delle Regioni è ancora molto limitato. Secondo la rilevazione effettuata dal Mitd, infatti, solo Emilia-Romagna, Lombardia, Toscana e Piemonte hanno una percentuale di alimentazione degli Fse superiore al 50%. Campania, Liguria, Sicilia e Calabria hanno, invece, livelli che non superano il 5%. «Anche su questo fronte ci si aspetta nei prossimi anni un’evoluzione importante», prevede Locatelli, «dato che nell’ambito del Pnrr le risorse per potenziare gli Fse regionali non mancano, con 610 milioni per l’adozione e utilizzo degli Fse da parte delle Regioni, di cui 299,6 milioni per il potenziamento dell’infrastruttura digitale dei sistemi sanitari e 311,4 per aumentare le competenze digitali dei professionisti del sistema sanitario».

Le cause del ritardo? La frammentazione dei sistemi regionali e le carenze strutturali dovute alla mancanza di investimenti pubblici, lo scarso coordinamento nazionale, le scarse competenze digitali di base, spiega Marzio Ghezzi, ceo di Mia-Care, startup che abilita la costruzione di piattaforme per le case farmaceutiche, aziende di digital health, ospedali. Dunque, è necessario garantire una più diffusa accessibilità ai servizi sanitari e migliorarla attraverso la tecnologia e un’esperienza utente più fluida.

Anche la regolamentazione deve stare al passo con l’aggiornamento dei processi digitali (per esempio, garantendo il rimborso delle terapie digitali, in Italia non ancora previsto). Senza contare l’ampio disallineamento tra domanda e offerta in base alla specializzazione per cui vengono richiesti i servizi a distanza, aggiunge Gualtiero Ventura, presidente e ad di International Care Company, società che opera anche nell’assistenza sanitaria digitale. Una recente ricerca dell’Osservatorio del Politecnico sui servizi di telemedicina offerti in farmacia ha rilevato che solo il 4% delle farmacie offre un servizio di teleassistenza, ma la richiesta è del 43%. «Bisogna lavorare per migliorare l’analisi dell’effettiva domanda e richiesta al di fuori della situazione emergenziale su cui oggi si sta concentrando l’offerta», chiarisce Ventura. Mentre Ghezzi parla di «evoluzione in tre dimensioni»: non solo bisogna garantire alle persone la massima accessibilità ai propri dati sanitari e permettere di mantenerli, organizzarli e condividerli in un unico sistema tramite un accesso univoco a tutti i dati provenienti sia dal sistema sanitario pubblico sia privato, ma anche arricchire il dato sanitario con informazioni aggiuntive. In questo modo, sarebbe possibile prevedere attività o interventi di prevenzione in ottica predittiva, non solo reattiva. A tal riguardo, ci sono best practice del privato a cui il pubblico può attingere, il riferimento è a soluzioni tecnologiche user friendly, come quanto proposto da MioDottore, che vanno innestate anche nel settore della Sanità con pratiche di cooperazione e co-progettazione. Contemporaneamente, Puccioni auspica che le piattaforme siano sempre più integrate e in grado di offrire una più ampia gamma di funzionalità. «Osserviamo una domanda crescente dei professionisti verso strumenti capaci di supportare diverse attività e semplificare la loro quotidianità: prenotazioni online, televisite e una più rapida comunicazione medico-paziente, attraverso piattaforme ad alti standard di cyber security».

I numeri giocano a favore, anche dopo la pandemia: da una recente ricerca di MioDottore emerge che post-Covid più di un terzo degli italiani (35%) è propenso a utilizzare soluzioni come i video-consulti, mentre fino al 2019 quasi la totalità dei connazionali (92%) non era mai ricorsa a questo servizio. «In tal senso siamo felici di osservare come il nostro servizio di video-visite, nato per far fronte alle esigenze del primo lockdown, sia oggi una modalità aggiuntiva e complementare per entrare in relazione con gli specialisti, sia per un primo colloquio sia per appuntamenti di routine», rileva Puccioni. Un’offerta non diretta solamente ai più giovani, ma a tutte le fasce d’età (in Italia il paziente 3.0 ha un’età compresa tra 25 e 44 anni e il segmento over 45 rappresenta quasi il 37% dei pazienti, ben 10 punti percentuali in più rispetto alla media degli altri paesi), grazie alla funzionalità «Prenota un appuntamento per un’altra persona» effettuabile dal proprio caregiver.

Un mercato dalle potenzialità notevoli. E la crescita di MioDottore lo dimostra: a oggi può contare oltre 5 milioni di utenti medi mensili sulla piattaforma con 7 milioni di visite prenotate; in Italia prevede di accrescere l’organico con oltre 100 nuove figure entro fine anno. «Finora i mercati privati ci hanno fornito fonti affidabili di finanziamento, al tempo stesso potremmo prendere in considerazione i mercati pubblici una volta che avremo raggiunto una scala sufficiente», conclude Puccioni. Anche Mia-Care non è quotata, è una neonata: è diventata pienamente operativa dal 2021. Ma già nei primi sei mesi di quest’anno i ricavi sono raddoppiati rispetto all’anno precedente «e, seguendo questo trend, prevediamo di quadruplicarli a fine di quest’anno», dice Ghezzi. Attualmente, «non abbiamo l’esigenza di procedere verso una quotazione poiché siamo in una fase di scale-up e cresciamo in modo sostenibile. Abbiamo, comunque, relazioni con investitori che ci permetteranno di accedere a mercati internazionali al quale guardiamo con interesse, come ad esempio gli Usa. Eventualmente», conclude Ghezzi, «in una seconda fase di vita del gruppo penseremo a una quotazione in borsa». (riproduzione riservata)
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