NORMATIVA

Autori: Guido Zavadini e Davide Landa
ASSINEWS 343 – luglio/agosto 2022

Con risposta ad interpello n. 212 del 22 aprile 2022, l’Agenzia delle Entrate è tornata a ribadire, ancora una volta, il principio secondo cui il pagamento fatto a fronte dell’accordo transattivo con il quale, a tacitamento di ogni pretesa, una parte si impegna a non intraprendere, a non coltivare oltre ovvero a tacitare una lite avente ad oggetto il risarcimento del danno, costituirebbe il corrispettivo dovuto a fronte di una prestazione di servizi imponibile ai fini IVA, quale obbligazione di “non fare” rilevante ex art. 3 del d.P.R. n 633/1972.

Alla base di tale orientamento, sembrerebbe porsi una sorta di presunzione sinallagmatica assoluta, tale per cui il nesso di reciprocità tra prestazione e controprestazione ricorrerebbe in ogni ipotesi transattiva, integrando, per tale via, il presupposto oggettivo dell’IVA.

Tuttavia, se applicato in via acritica e del tutto generalizzata, il principio, secondo cui il corrispettivo per la rinuncia ad una lite deve intendersi necessariamente quale remunerazione di un’operazione imponibile, pone delle evidenti criticità, sol che si consideri, per esempio, che in alcuni casi l’IVA può rappresentare un costo ulteriore – anche ed eventualmente a carico delle imprese assicurative – e che, nei fatti, rischia di disincentivare da un punto di vista economico la soluzione transattiva, a dispetto della soluzione perseguibile in via contenziosa.

In questo senso, la fiscalità dell’operazione porta con sé alcuni riflessi che possono incidere negativamente sul soddisfacimento di interessi delle parti e potrebbe, pertanto, rendere non neutrale la scelta di addivenire ad una transazione1.

La valutazione per determinare il giusto approccio, sotto il profilo fiscale, riguarda la natura – o meglio la causa – del corrispettivo, ovvero se esso miri a remunerare la rinuncia in quanto tale, o se costituisca la remunerazione per quanto si è rinunciato.

Invero, secondo l’impostazione c.d. tradizionale, al fine di stabilire il trattamento fiscale della transazione, è necessario effettuare una valutazione caso per caso, al fine di individuare, mediante l’analisi degli elementi sottostanti la vicenda negoziale, la specifica volontà delle parti.

Occorre pertanto verificare se la natura abbia natura “dichiarativa” – la quale in principio non determina l’insorgenza di un rapporto giuridico nuovo, bensì va ad incidere semplicemente sulla dimensione delle pretese originarie – ovvero “novativa”.

In quest’ultimo caso, infatti, le parti assumono una obbligazione nuova e diversa rispetto a quella originaria, creando di fatto una situazione giuridica ed un assetto di interessi diverso, formando i presupposti, ovvero la base giuridica, per operazioni nuove.

Secondo questa impostazione, invero, la circostanza che l’accordo possa prevedere l’obbligo di abbandonare o rinunciare la lite non rileverebbe ex se, ai fini IVA, nella misura in cui detto obbligo costituisce un effetto naturale, ovvero tipico, dell’accordo stesso.

Diversamente, l’orientamento sposato dall’Agenzia delle Entrate2, da ultimo con la risposta ad interpello richiamata in premessa, tende a ravvisare, sempre e comunque, l’esistenza di prestazioni di servizi imponibili in presenza di transazioni.

In questo senso, la prestazione consisterebbe nell’obbligo di fare/non fare, ovvero nell’accettazione delle concessioni della controparte, considerando ex se l’assunzione dell’obbligo di rinunciare, abbandonare, non iniziare una lite come l’oggetto della prestazione.

L’Agenzia delle Entrate, soprattutto con riferimento agli accordi transattivi cc.dd. “a saldo e stralcio” ha, a più riprese, confermato l’orientamento, secondo cui: “la circostanza che gli stessi (gli accordi transattivi ndr) stabiliscano l’impegno … a rinunciare all’esercizio di ogni ulteriore pretesa nei confronti della controparte, a fronte della percezione delle somme dovute, consente di qualificare le stesse come il corrispettivo previsto per l’assunzione di un obbligo di non fare/permettere rilevante agli effetti dell’IVA”3.

Ed ancora “si ritiene integrato il requisito oggettivo per l’applicazione dell’Iva, sussistendo il sinallagma tra la assunzione di un obbligo di non fare (che si sostanzia nella rinuncia alle liti) da parte dell’istante e l’erogazione di una somma di denaro … prevista a fronte dell’assunzione di tale obbligo”. Nella specie, la somma era stata pattuita, appunto, “a totale saldo, stralcio e definizione delle predette ragioni di controversia’ e ‘al solo fine di porre fine alla lite e senza riconoscimento alcuno delle opposte ragioni”4.

La Corte di Cassazione, dal canto suo, ha espresso un orientamento non sempre univoco.

Talvolta, questa ha negato che le somme erogate, a fronte di una transazione, possano essere ricondotte comunque all’assunzione di obblighi di fare o non fare, valorizzando il fatto che “occorre guardare alla ragion d’essere ed alla natura dei diritti dedotti in transazione per fondare su quelli (e non su questa) il regime fiscale appropriato”5 e ritenendo, invero, che “guardare agli obblighi di fare, non fare o tollerare come categoria autonoma e generale della transazione, significa accordare a quell’istituto una funzione novativa anche sotto il profilo fiscale”6.

Questa impostazione, di carattere maggiormente sistematico, pone in rilievo evidentemente l’assetto di interessi che le parti mirano a comporre, andando a valutare, nello specifico, se ci si trovi in presenza di corrispettivi rilevanti ai fini IVA, ovvero di operazioni escluse dal suo campo di applicazione (e.g. attribuzioni di natura risarcitoria).

In altre occasioni, viceversa, la Cassazione ha smentito tale impostazione, ritenendo, per esempio, che “La rinuncia al credito e l’impegno a estinguere la lite configurerebbero, ad avviso della Corte, “obbligazioni rispettivamente, di non fare e di fare e che trovano corrispettivo nella rinuncia e nell’impegno corrispondenti assunti dalla controparte”7.

Secondo attenta dottrina, tuttavia, dovendo un’operazione rilevante ai fini IVA sostanziarsi in un servizio “consumabile” ovvero in un’immissione in consumo di beni e servizi suscettibili di essere scambiati, riconoscere sic et simpliciter il presupposto oggettivo del tributo nel medesimo schema “rinuncia verso corrispettivo” porterebbe all’effetto di creare artificiosamente prestazioni di servizi invero insussistenti nella catena produttiva-distributiva che conduce al consumo finale, di fatto vulnerando i connotati tipici di un’imposta sui consumi che, per tale via, verrebbe ad assumere quasi i caratteri di un’imposta d’atto .

Peraltro, dovendo ragionare in termini di imposta armonizzata, aldilà di principi generalissimi allo stato – purtroppo – non consta una giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che si sia specificamente pronunciata sul trattamento IVA degli accordi transattivi, dovendosi di fatto denunciare l’assenza di punti fermi da parte dell’unico consesso deputato ad esprimersi in maniera, se non altro, più autorevole.

In conclusione, appare chiaro che le implicazioni connesse alla non sempre agevole valutazione della fiscalità dell’accordo transattivo – alla luce di orientamenti di prassi e giurisprudenza, non sempre perfettamente allineati – inducono a vagliare attentamente, secondo un approccio case-by-case, il trattamento tributario della singola fattispecie, alla luce di quella che sembra essere una presunzione assoluta – invero irragionevole – di assoggettabilità ad IVA degli importi corrisposti in sede transattiva, per effetto del rapporto sinallagmatico che, secondo l’approccio dell’amministrazione finanziaria, verrebbe sempre a configurarsi tra la rinuncia alla lite ex se considerata e l’ammontare corrisposto a fronte di questa.

 


 

  1. Cfr. ASSONIME, Circolare n.26/2021 del 9 settembre 2021.
  2. Cfr., in particolare le Risposte ad Interpello n. 145, n.179, n. 212, n. 356 e n. 401 del 2021.
  3. Risposta ad Interpello n. 145 del 3 marzo 2021, cit..
  4. Risposta ad Interpello n. 179 del 16 marzo 2021, cit..
  5. Cass. Civ. Ordinanza n. 20316 del 15 luglio 2021.
  6. Cass. Civ. Ordinanza n. 20316, cit..
  7. Cass. Civ. n. 23668 del 1° ottobre 2018.


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