Il cda ha ritrovato l’unanimità per l’opa su Cattolica. Ma 
ora c’è bisogno di mantenere l’accordo anche in vista del rinnovo
del consiglio tra dieci mesi. A metà giugno il comitato governance
di Anna Messia
È stata Cattolica il ramoscello d’ulivo spuntato nel cda delle Generali. Proprio quando le posizioni sembravano essersi allontanate, il board dell’assicurazione triestina ha ritrovato a sorpresa l’unanimità con l’opa annunciata il 1° giugno sulla compagnia veronese a 6,75 euro. L’operazione ha avuto il libera anche dei consiglieri espressione degli azionisti privati dei Generali, che nelle settimane precedenti avevano alzato il livello di scontro con Mediobanca (primo socio del Leone col 12,9%). A partire dal vicepresidente vicario Francesco Gaetano Caltagirone, che aveva clamorosamente disertato l’assemblea di approvazione del bilancio 2020. Anche l’imprenditore romano ha dato disco verde all’opa su Cattolica, che potrà arrivare a valere 1,17 miliardi.

Pace fatta quindi? La sensazione è che le questioni spinose, che vedono al centro il rinnovo del cda di aprile 2022, siano ancora sul tavolo. Se è vero che l’operazione di Verona ha segnato un punto a favore del ceo Philippe Donnet (a differenza delle acquisizioni contrastate in Malesia), è altrettanto evidente che l’opa su Cattolica, di cui Generali da ottobre detiene già il 23,67%, era tutta in discesa. L’offerta è la mossa che chiude il cerchio dell’operazione avviata alla fine dello scorso anno da Donnet. Allora Cattolica stava vivendo il momento più difficile della sua storia, con Ivass che aveva chiesto una ricapitalizzazione di 500 milioni da realizzare in tempi brevi, mentre il titolo precipitava a 3,4 euro. Generali ha lanciato il salvagente sottoscrivendo la prima tranche di aumento di capitale di 300 milioni a 5,55 euro divenendo il primo azionista di Verona con il 23,6%. Anche in quell’occasione più di qualche consigliere aveva sollevato dubbi su un’operazione che concentrava gli sforzi di Generali sull’Italia, invece di guardare a mercati esteri più redditizi. Ma, una volta fatto il primo passo, bisognava andare fino in fondo e il lancio dell’opa è arrivato nei tempi giusti, ovvero solo dopo che Cattolica si è trasformata da cooperativa a spa e dopo aver rimesso in equilibrio il bilancio (il primo trimestre si è chiuso con un risultato operativo record e un Solvency II vicino al 200%).

Ora resta l’incognita prezzo, visto che il mercato continua a scommettere su un rilancio da parte di Generali, tanto che il titolo Cattolica ha continuato a salire nei giorni successi ben oltre i 6,75 dell’opa, chiudendo venerdì a 7,13 euro (-0,49% dopo il rally dei giorni precedenti). Probabilmente un ritocco all’insù sarebbe meno gradito dal cda, ma è evidente che intanto l’attivismo di Donnet è stato premiato dai soci e dal mercato (gli analisti apprezzano l’operazione) e non ha coinvolto solo Cattolica. Generali sarebbe infatti tra i pretendenti per gli asset della società di gestione olandese NN Investmet Partners, che valgono circa 1,5 miliardi e, se è vero che l’operazione è solo alle battute iniziali ed è piuttosto affollata (in corsa ci sarebbero tra gli altri anche Intesa Sanpaolo, Allianz e Dws) è chiaro che Donnet vuole fare tutte mosse giuste per dare una sferzata al Leone in vista del rinnovo del cda.

A quella scadenza mancano ormai meno di dieci mesi, visto che, secondo lo statuto che l’ha introdotta per la prima volta nella storia di Trieste, la lista del cda deve essere presentata 30 giorni prima dell’assemblea. Proprio su quella lista si è acceso lo scontro con Caltagirone, che nel frattempo è salito al 5,63% di Generali e all’1% di Mediobanca e chiede più spazio nella governance rispetto a Piazzetta Cuccia, con il sostegno indiretto di Leonardo Del Vecchio, che di Trieste detiene il 4,82% e della merchant milanese il 15,4%. Oggi nel cda di Generali ci sono 5 consiglieri su 11 (oltre ai due di Assogestioni) espressi da Mediobanca, tra cui il presidente Gabriele Galateri e il vice Clemente Rebecchini. Il nuovo statuto prevede un cda variabile da 13 a 17 membri (rispetto ai 13 attuali) e alla seconda lista (quella eventualmente presentata da Assogestioni), vengano riservati tre consiglieri rispetto ai due attuali. Mentre in caso di presentazione di una terza lista le poltrone da cedere sarebbero 4 (con un cda di 14 membri o meno) o 5 (con un cda di 15 membri o più). Arrivare allo scontro non sembra convenire a nessuno: se i soci privati si coalizzassero in una lista unitaria, potrebbero arrivare a superare i voti di Mediobanca, a rischio però di incorrere neconcerto. Ma è anche vero che, come emerso dal seminario organizzato dalla Luiss School of Law giovedì 3, la lista del cda (che sta prendendo piede tra le socetà quotate) richiede presupposti importanti per evitare «il rischio di autoreferenzialità del management», ha sottolineato il direttore delle scuola Antonio Nuzzo. Tale strumento ha dimostrato di funzionare bene in casi di discontinuità (come per Unicredit) e quando non ci sono soci che esercitano il controllo (Tim), ci sarebbe poi bisogno di ottenere un consenso unanime in consiglio (anche se lo statuto Generali parla esclusivamente di maggioranza) e non dovrebbero esserci conflitti, come ha sottolineato l’ex presidente Consob Giuseppe Vegas. Situazione che al momento non sembra essere stata raggiunta in Generali con Caltagirone che chiede per esempio un direttore generale. L’appuntamento è per il prossimo comitato governance (doce c’è anche Caltagirone) che, secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, si riunirà a metà giugno. (riproduzione riservata)

Fonte: