Per la Corte di cassazione si impedisce così al cliente di avere una adeguata difesa
Infedele patrocinio fingere di far da tramite col collega
di Adelaide Caravaglios

Integra gli estremi del reato di infedele patrocinio la condotta di quel legale che finge di fare da tramite tra una sua cliente e un collega abilitato alla difesa dinnanzi alle giurisdizioni superiori, senza tuttavia averlo mai contattato, con ciò impedendo di fatto alla prima di essere adeguatamente difesa nell’ultimo grado di giudizio: sono queste le conclusioni cui è giunta la VI sezione penale della Cassazione nella sentenza n. 22239 del 2021.
Intervenuta sul ricorso di un avvocato avverso la decisione dei giudici di merito, ha rigettato le censure lamentate (in particolare quella relativa alla ritenuta violazione di legge per erronea sussistenza del reato di infedele patrocinio), sostenendo che la decisione operata dalla Corte territoriale risultava pienamente in linea con i risultati dell’esegesi condotta, in base alla quale ai fini della integrazione del delitto di patrocinio o consulenza infedele «è necessario che si verifichi un nocumento agli interessi della parte, che, quale conseguenza della violazione dei doveri professionali, rappresenta l’evento del reato, inteso non necessariamente in senso civilistico quale danno patrimoniale, ma anche nel senso di mancato conseguimento di beni giuridici o di benefici, anche solo di ordine morale, che avrebbero potuto conseguire al corretto e leale esercizio del patrocinio legale».

Il nocumento della cliente, spiegano, era infatti consistito in «una perdita di «chance processuali»», dovuta essenzialmente al fatto che il suo difensore le aveva fatto credere di aver fatto da tramite con un avvocato cassazionista, mai realmente officiato, motivo per il quale la stessa si era trovata nelle condizioni di non essere difesa «nel miglior modo possibile» nel grado finale del giudizio. Il libero professionista si era pertanto «reso infedele» ai suoi doveri professionali (era arrivato addirittura a falsificare le firme del collega tanto in calce al ricorso, quanto per l’autentica della sottoscrizione del mandato alle liti): un comportamento – questo – «dolosamente irrispettoso dei propri doveri professionali».Così argomentando i giudici di legittimità lo hanno condannato anche al pagamento di una multa.

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