Amazon, Google, Facebook, Apple e Microsoft puntano sulla sanità digitale: dallo screening dei contagi a diagnostica e telemedicina. Ma il successo non è scontato. Il nodo? L’utilizzo dei dati dei pazienti

di Rossella Savojardo e Giulia Talone

Una mela al giorno può davvero togliere il medico di torno, purché sia quella di Tim Cook. Con l’avanzare della pandemia, sempre più aziende tech hanno scelto di scommettere sulla sanità, e in prima linea non potevano mancare i cinque titani di Wall Street: Apple, Amazon, Google, Microsoft e Facebook. A detta di Pierre-George Roy, partner di Result International Group, durante l’emergenza sanitaria i colossi tech «sono riusciti a intervenire laddove governi e sistemi sanitari non sono arrivati»: dal monitoraggio dei contagi alle campagne vaccinali, passando per la diagnostica. Ne è un esempio la mappa messa a punto da Facebook per tracciare quante persone nelle vicinanze fossero affette da Covid-19, o l’applicazione creata da Apple per assistere i malati. Anche Google ha messo in piedi il proprio programma di screening dei contagi attraverso la controllata Verily, mentre Microsoft ha reso disponibile agli ospedali la tecnologia che aiuta i pazienti a controllare i sintomi del virus. A marzo Amazon ha perfino ottenuto dalla Food and drug administration (Fda) l’autorizzazione per la somministrazione dei propri test Covid a domicilio: un passaggio epocale dal mondo digitale alla diagnostica effettiva.

Il rapporto tra big tech e sanità, ingigantito dal fenomeno pandemico, nasce però molto prima del Covid. E come spesso accade in questi casi, la strada è stata battuta con una robusta attività nel mercato m&a. Nel 2018 Jeff Bezos ha sborsato quasi 1 miliardo di dollari per acquisire l’azienda di farmaci a domicilio PillPack, e ha così messo in piedi la propria farmacia personale che consegna i medicinali direttamente a casa. Facebook nel 2019 ha staccato anch’essa un assegno di quasi 1 miliardo per Ctrl Labs, startup che attraverso un braccialetto sfrutta gli impulsi del cervello per controllare i dispositivi elettronici col pensiero, e ha anche acquistato Protogeo Oy, specializzata nel tracciamento dell’attività fisica. Il caso più eclatante è però quello di Microsfot: proprio quest’anno la società di Bill Gates ha firmato un accordo del valore di 19,7 miliardi per comprare Nuance, multinazionale delle tecnologie vocali in grado di digitalizzare le cartelle cliniche dei pazienti. Una scelta dettata anche dalla necessità di adattare l’universo delle visite mediche al nuovo contesto di isolamento sociale imposto dalla pandemia. Nel portafoglio di Google Venture, la divisione di investimento di Alphabet, ci sono oltre 90 aziende sanitarie. La società di Mountain View ha anche acquisito per 2,1 miliardi Fitbit, orologio che monitora l’attività fisica e i parametri vitali e fa concorrenza all’iWatch di Apple. Per tutta risposta, Cupertino non è certo rimasto a guardare, investendo in software per raccogliere dati clinici utili alla ricerca medica e acquisendo piattaforme come Beddit e Glimpse per tracciare il sonno e monitorare i parametri vitali. Un’autentica corsa all’ora: secondo le stime di Morgan Stanley, grazie alla penetrazione nell’healthcare Apple guadagnerà 15 miliardi nel 2021 e 313 nel 2027. Loop Capital Markets ha stimato che l’acquisizione di PillPack abbia fruttato ad Amazon 72 miliardi e, come spiegato da Result International Group, nel 2019 Google ha riportato un fatturato di 659 milioni nella divisione healthtech che include Verily, Calico, Google Ventures e DeepMind.

La strada non è priva di insidie. Il Wall Street Journal ha recentemente pubblicato un’inchiesta che mostra come le ambizioni di Apple siano ancora piuttosto embrionali. Il piano sanitario con medici e cliniche proprie è attualmente in stallo, mentre un’app digitale per la salute lanciata quest’anno non è riuscita a captare l’interesse degli utenti. Apple è in buona compagnia: anche altre iniziative lanciate dalle big tech nel settore sono fallite. Tra tutte Haven, progetto in partnership tra Apple, Amazon e altre società che mirava a ridurre i costi dell’assistenza sanitaria. Ma le big sembrano non fermarsi ai primi ostacoli. Lo confermano gli ultimi dati di Cb Insight: nel primo trimestre gli investimenti nell’healthtech sono saliti a 4,2 miliardi, più del doppio di quanto totalizzato nello stesso periodo 2020. A spingere i continui investimenti anche dopo i non brillanti successi ci potrebbe essere quindi una diversa fonte di guadagno: i dati. Il settore sanitario è un’opportunità per le big tech per accedere a un’immensa quantità di informazioni sugli utenti. La questione è complessa: da una parte la conoscenza dello stato di salute degli individui e delle loro necessità agevola il lavoro delle tech nel fornire una risposta idonea ai loro bisogni, dall’altra l’accumulo di dati sensibili pone un problema di privacy. Così la raccolta di informazioni, per quanto dettata nobili scopi, potrebbe avere un costo che i consumatori non sono disposti a pagare. (riproduzione riservata)

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