di Andrea Pira
La crescita italiana a fine anno potrebbe superare il 4%, con un’accelerazione nei prossimi mesi in scia al prosieguo della campagna vaccinale. I segnali di slancio sono emersi nel corso delle ultime settimane, in particolare con il «deciso aumento degli investimenti pianificato dalle aziende», mentre le famiglie continuano a mostrarsi caute, anche se la normalizzazione della situazione sanitaria e le minori incertezze potrebbero presto permettere all’elevato risparmio accumulato nell’anno della pandemia di indirizzarsi «gradualmente» verso maggiori consumi.

Dalle parole del governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco ieri è arrivata una nuova iniezione di fiducia sulle prospettive dell’economia italiana. Il quadro che va delineandosi ha tinte rosee e si avvicina a quel traguardo del 5% di cui si inizia a parlare tra le stanze della politica, come anticipato da MF-Milano Finanza. In attesa della pubblicazione delle nuove stime di Via Nazionale, previste per l’11 giugno, le Considerazioni Finali di ieri si agganciano alla prospettive di revisione al rialzo della crescita auspicate prima dal presidente del Consiglio Mario Draghi e più di recente dal ministro dell’Economia Daniele Franco.
Affinché l’ottimismo non vada perduto sarà però necessaria cautela nel ritiro degli aiuti a famiglie e imprese. Gli interventi potranno diventare più selettivi, da Palazzo Koch si torna però di a battere sul concetto espresso in più interventi pubblici e audizioni in Parlamento: occorre procedere con gradualità e prepararsi. Per prima cosa si guarda alla fine del blocco dei licenziamenti, anche se Confindustria esclude «un’emorragia» di posti di lavoro. L’esortazione è ad arrivare alla scadenza del divieto forti di una riforma degli ammortizzatori sociali. Ma in ballo c’è anche l’emersione delle insolvenze generate dagli effetti della crisi sanitaria sull’economia, finora rallentata da interventi quali la sospensione dei pagamenti e i prestiti garantiti dallo Stato, introdotti a marzo 2020 e prorogati fino alla fine del 2021. Dall’ultimo trimestre dell’anno scorso tuttavia «i nuovi crediti deteriorati stanno aumentando, seppur lievemente; potrebbero continuare a crescere nei prossimi mesi, anche se meno che nei precedenti episodi di crisi».

Visco ha poi toccato il tema della proroga delle moratorie che andrà ad accrescere la differenza con gli altri Paesi europei riguardo «l’intensità di utilizzo di questo tipo di misure» esortando gli istituti a utilizzare tutte le informazioni a disposizione per classificare correttamente i finanziamenti oggetto di moratoria, facendo emergere in modo tempestivo e prudente le perdite, anche per evitare potenziali dubbi degli investitori sull’effettiva qualità dei loro portafogli di prestiti». In tema di banche da Via Nazionale è arrivato anche l’impulso affinché siano incentivate le aggregazioni, soprattutto fra gli istituti più piccoli. «Diversi intermediari, per la maggior parte di piccole dimensioni e con un’operatività tradizionale, presentano debolezze strutturali», ha spiegato Visco.

Le imprese, ha sottolineato ancora, hanno affrontato la pandemia in condizioni migliori rispetto a quanto fatto durante la crisi finanziaria globale. Tuttavia servono sostegni alla patrimonializzazione. Bene quindi il rafforzamento degli incentivi fiscali per il ricorso al capitale proprio, come pure i fondi stanziati in Patrimonio Rilancio gestito da Cdp e dedicati alle imprese più grandi.

Il principio di gradualità non è però valido solo per Italia. Anche l’Europa deve muoversi con cautela, come ricorda il passaggio riguardo «l’incertezza sui tempi e sull’intensità della ripresa» che richiede condizioni di finanziamento accomodanti ancora a lungo e l’utilizzo di tutto il Piano d’acquisto di titoli della Bce, il cosiddetto Pepp. Prima o poi comunque la fine degli aiuti dovrà arrivare: un futuro costruito su incentivi pubblici e sussidi «non è pensabile», ha ribadito Visco con parole apprezzate dal presidente di Confindustria Carlo Bonomi. Al pari del ragionamento sul ruolo dello Stato, il cui perimetro deve essere ben definito.

Non è solo una questione di ruolo del pubblico. Le risorse destinate dal governo durante la pandemia sono state ingenti e hanno portato il debito pubblico su un livello simile a quello che si aveva alla fine della Prima Guerra Mondiale. Un debito così alto, prossimo al 160% del pil, «rappresenta una fragilità intrinseca per il Paese e lo espone a un rischio di shock finanziario». Inoltre «crea un’incertezza di fondo che si riflette sugli oneri di finanziamento e scoraggia l’investimento privato» Anche per queste ragioni è importate che le risorse in arrivano da Bruxelles con il Next Geraration Eu diano «frutti duratori» preparando il Paese ai cambiamenti all’orizzonte.

Sul Recovery il governatore la pensa come Draghi, suo predecessore in Bankitalia e oggi premier. Il Paese deve «cogliere un’occasione decisiva per avviare a soluzione i propri problemi strutturali». Per l’Italia la responsabilità è doppia in quanto deve anche «dimostrare con risultati concreti l’importanza di una Ue più forte e coesa» della quale sono una prova sia Next Generation Eu sia la prima forma di debito condiviso per finanziarie il piano, primo tassello di quella «capacità di bilancio comune», la cui importanza Visco ha voluto rimarcare.

La realizzazione del Pnrr «deve essere parte di uno sforzo collettivo, volto a superare le nostre debolezze strutturali, la specificità di un’anemia della crescita economica che dura da oltre due decenni», ha sottolineato Visco.

Bankitalia calcola che gli effetti di domanda degli interventi aggiuntivi del Recovery potranno accrescere il pil nazionale fino a poco meno del +2,5% nel 2024.

«Un effetto maggiore potrebbe essere ottenuto se gli investimenti accrescessero la redditività è del capitale privato», si legge nella Relazione annuale. Considerati anche gli effetti dovuti alla complementarietà tra maggiori investimenti pubblici e capitale privato, l’impatto è stimato in circa il 3,5% del pil nel 2026, alla fine del piano. Inoltre effetti di lungo periodo arriveranno dalle riforme: le misure su concorrenza e giustizia dovrebbero determinare un aumento di circa l’1 o il 2% della cosiddetta produttività totale dei fattori, ossia della componente che misura il progresso tecnico e i miglioramenti nella conoscenza e nell’efficienza dei processi produttivi. (riproduzione riservata)

Fonte: logo_mf