Le app per l’e-health stanno conoscendo un notevole sviluppo, ma il problema che permane è quello della tutela della privacy degli utenti.

Uno studio realizzato dall’ateneo australiano Mcquarie University e recentemente pubblicato dal British Medical Journal, rileva che un’applicazione su quattro tra quelle gratuite non è in regola con le norme sulla protezione dei dati personali.

La ricerca ha preso in esame un gran numero di applicazioni, più di 20mila su scala globale, tutte specializzate nel campo della medicina e della salute. Secondo l’analisi dei ricercstori australiani una delle principali carenze di queste app è la mancata informazione verso gli utenti sulle norme che regolano la privacy.

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Dei 2,8 milioni di app su Google Play e degli 1,96 milioni di app su Apple Store, la ricerca stima che 99.366 facciano parte del campo della cosiddetta m-health, e appartengano quindi a categorie legate alla salute, alla medicina e al fitness.

Se da una parte gli sviluppatori nella maggior parte dei casi condividono regolarmente e legalmente i dati degli utenti, riomane il fatto che spesso le informative sulla privacy verso gli utenti sono inadeguate. Le applicazioni di m-health sulle quali i ricercatori hanno riscontrato irregolarità sono complessivamente più di 15 mila soltanto nel Google Play Store.

Inoltre l’88% dei programmi sanitari poteva accedere e potenzialmente condividere dati personali degli utenti, circa due terzi potevano salvare i cookie, un terzo poteva vedere l’indirizzo e-mail e circa un quarto poteva identificare il ripetitore a cui il cellulare era connesso, il che consentirebbe la geolocalizzazione dell’utente. Solo il 4% delle app analizzate ha effettivamente trasmesso dati come nome e informazioni sulla posizione, ma i ricercatori affermano che l’87,5 per cento delle operazioni di raccolta dati e il 56 per cento delle trasmissioni sono state effettuate per conto di servizi di terze parti, come inserzionisti esterni o fornitori di analisi e monitoraggio.

Dalla ricerca emerge anche che il 23 per cento di queste comunicazioni è avvenuto tramite canali non sicuri: il 28 per cento dei programmi considerati, inoltre, non forniva testi di politica sulla privacy e almeno il 25 per cento delle trasmissioni violava quanto dichiarato nelle privacy policy. Tra le recensioni, questi problemi sono stati sollevati solo dall’1,3 per cento degli utenti. Come limitazione dello studio, gli autori riconoscono che la valutazione delle sole app gratuite potrebbe aver introdotto dei bias.

Fonte: Corcom