Pagina a cura di Vincenzo Dragani
La delega alla gestione dei rifiuti aziendali conferita dal titolare dell’impresa al suo collaboratore non comporta un mutamento del centro di responsabilità per gli eventuali illeciti ambientali posti in essere, ma al contrario configura un allargamento del novero dei soggetti che possono, a diverso titolo, essere chiamati a risponderne. Delegante e delegato, infatti, sono entrambi obbligati a vigilare sul rispetto delle norme di settore, seppur sotto diversi profili e limiti. A far luce sulla catena di responsabilità aziendali nell’ambito della gestione dei rifiuti sono tre pronunce della Suprema corte di cassazione che si sono succedute a stretto giro tra il marzo e il maggio 2020.

I requisiti della delega alla gestione rifiuti. Come ricorda la Suprema corte nella sentenza 27 maggio 2020, n. 15941, l’istituto della delega di funzioni non è espressamente previsto dalla disciplina sulla gestione dei rifiuti, ma è tuttavia pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza, la quale ne ha rintracciato i requisiti di validità mutuandoli dalla normativa antinfortunistica.
Sulla scia di quanto previsto dal dlgs 81/2008 (cd. Testo unico sulla sicurezza sul lavoro) le condizioni per la valida delega ambientale sono state infatti individuate nelle seguenti:
– (in relazione ai requisiti dell’atto) formalizzazione scritta e con data certa, adeguata e tempestiva pubblicità del conferimento dell’incarico;
– (in relazione ai requisiti/obblighi del delegante) titolarità della specifica posizione di garanzia trasferita, scelta del delegato tra soggetti con professionalità ed esperienza adeguate per svolgimento delle funzioni, astensione da interferenze nell’attività di quest’ultimo, obbligo di vigilanza sul corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite;
– (in relazione ai requisiti del delegato) titolarità di effettivi poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dall’attività delegata, effettiva autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni.

L’obbligo di vigilanza del delegante. Sulla centralità della responsabilità in vigilando si è espresso il Giudice di legittimità con la citata sentenza 27 maggio 2020, n. 15941. La posizione di garanzia attribuita dalla legge ai titolari d’impresa rispetto alla protezione di beni oggetto di tutela costituzionale come l’ambiente, la salute e la sicurezza nello svolgimento delle attività economiche, evidenzia la Corte di cassazione, non consente di ritenere che l’imprenditore possa chiamarsi fuori dalle responsabilità nei suoi confronti previste (in materia di igiene e sicurezza sul lavoro, come di gestione dei rifiuti), limitandosi a delegare ad altri l’adempimento degli specifici obblighi di legge, senza vigilare sul corretto espletamento delle funzioni trasferite, essendovi invece una «permanenza della responsabilità penale del delegante».
Dunque, come appare evincersi dalla pronuncia, il delegante al quale possa sotto il profilo psicologico (del dolo o della colpa) essere contestata l’omesso controllo sull’attività del delegato potrà essere chiamato a rispondere dell’eventuale reato colposo nella gestione dei rifiuti da quest’ultimo posto in essere in base (sotto il profilo causale) all’articolo 40, comma 2 del Codice penale, a mente del quale «non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo».
Con la sentenza 15941/2020 la Suprema corte si è altresì espressa sul contenuto dell’obbligo di vigilanza del delegante, precisando come esso coincida con la necessità di una verifica di correttezza «della complessiva gestione del rischio da parte del delegato» ma non con un «controllo, momento per momento, delle modalità di svolgimento delle funzioni trasferite».
Al delegato, precisa inoltre la Corte, incombe invece un obbligo di vigilanza che si concretizza nella gestione del rischio che di volta in volta viene in rilievo. Alla luce di tutto ciò, appare dedursi dalla sentenza, la responsabilità del delegante si perfeziona qualora pur avendo conoscenza (o potendola avere, in base alla diligenza richiesta dalla posizione occupata) dell’inadeguato esercizio della delega egli non intervenga per impedire il reato, e questo secondo una progressione di azioni, che vanno dal richiamo del delegato all’osservanza delle regole con successiva verifica dell’adempimento fino alla revoca della delega nei casi più gravi o di continuato inadempimento delle funzioni.
Nel caso di specie con la sentenza 15941/2020 la Corte di cassazione ha confermato la responsabilità degli amministratori di una società in concorso con il delegato alla gestione dei rifiuti per un deposito irregolare di rifiuti, avendo i primi in qualità di deleganti non soddisfatto l’obbligo di vigilanza sulla attività dell’ultimo, e questo per non aver contestato delle irregolarità evidenti in virtù delle piccole dimensioni aziendali dell’ambito lavorativo interessato, proprie di una impresa familiare.
L’inammissibilità giuridica di una deresponsabilizzazione del delegante era stata dalla stessa Corte di cassazione sottolineata proprio un mese addietro mediante una pronuncia vertente sulla stessa materia ambientale.
Con sentenza 22 aprile 2020 n. 12642, la Suprema Corte appare infatti aver cavalcato in termini altrettanto espressi la tesi della insussistenza di una figura di delega «esimente» (per il delegante) da responsabilità nella gestione dei rifiuti essendo la natura dell’istituto piuttosto quella di delineare una ipotesi di responsabilità «aggiuntiva» (del delegato). Nel caso di specie il Giudice di legittimità non ha condiviso l’assoluzione dei vertici di un’azienda operante nella raccolta, trasporto e commercio di rifiuti metalli per l’inosservanza delle prescrizioni autorizzative sulla gestione dei residui materialmente posta in essere dal delegato. Nella fattispecie, a dimostrazione della esigibilità di una azione di contrasto del reato la Corte di cassazione ha posto il macroscopico «gap» tra i rendiconti aziendali ed i quantitativi massimi di rifiuti trattabili che evidenziava una gestione di rifiuti quantitativamente superiore a quella autorizzata, dato che per la sua immediata percezione non sarebbe dovuto sfuggire alla vigilanza dei deleganti.

E l’obbligo di controllo del delegato. Come accennato, l’ultima giurisprudenza di legittimità della primavera 2020 ha chiarito anche l’ambito di portata dell’obbligo di vigilanza che incombe al delegato in relazione al rischio «affidatogli» da delegante. Con la sentenza 23 marzo 2020 n. 10430 la stessa Corte di cassazione ha infatti evidenziato come la condotta esigibile dal delegato in relazione alla gestione dei rifiuti deve essere valutata non in base alla mera esistenza di un atto di delega di funzioni, ma in relazione all’effettiva articolazione territoriale ed organizzativa dell’Ente nel cui contesto egli è chiamato a governare la particolare attività.
Per il Giudice di legittimità, appare emergere dalla sentenza in parola, le notevoli dimensioni aziendali sia in termini di risorse umane che di insediamenti produttivi possono infatti ostacolare l’esercizio del potere di gestione e controllo affidato al delegato rendendo così sindacabile una contestazione allo stesso di responsabilità per omessa vigilanza sull’azione di terzi.
Nel caso di specie la Corte di cassazione non ha confermato la responsabilità per gestione illecita di rifiuti riconosciuta in capo al delegato aziendale di una impresa con oltre 3 mila dipendenti ed oltre 90 punti vendita per un deposito irregolare di rifiuti posto in essere da altri soggetti in uno stabilimento locale situato in Regione diversa da quella della propria sede lavorativa.
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