Selezione di notizie assicurative da quotidiani nazionali ed internazionali


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Sforbiciata sulle pensioni, per effetto della nuova revisione dei coefficienti per convertire i contributi. Il taglio si farà sentire: ecco un esempio pratico. Pietro e Paolo hanno lavorato e accumulato un montante contributivo identico, pari a 300 mila euro. Pietro ha compiuto 65 anni nel 2009 e da allora è in pensione. Paolo, invece, li compirà il prossimo anno e già pregusta di mettersi a riposo. Nonostante l’identica situazione lavorativa, contributiva e anagrafica, Pietro gode da più di dieci anni di una pensione annua dell’importo di oltre 18 mila euro, mentre Paolo dall’anno prossimo riceverà una pensione di oltre 15 mila euro. Una differenza (circa 3 mila euro) che si fa più evidente e «consistente», immaginando per i due un identico orizzonte di vita: Paolo, il più giovane, intascherà per un minor tempo una pensione d’importo inferiore a quella di Pietro. Un sacrificio richiesto per tenere in equilibrio il carrozzone pensionistico e per mantenere la promessa fatta a Pietro che, viceversa, il più vecchio dei due, intascherà per più anni una pensione d’importo maggiore. L’esempio ipotetico dei due lavoratori traduce in cifre, appunto, gli effetti della nuova revisione dei coefficienti di trasformazione del montante contributivo, applicabili nel biennio 2021/2022 e fissati dal dm 1° giugno pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 147/2020 (si veda ItaliaOggi del 13 giugno). Tra il 2009 e il 2021, il coefficiente per l’età di pensionamento di 65 anni si riduce del 15%: era 6,136% calerà a 5,220%.
Il sostegno ai flussi finanziari delle imprese che provano a ripartire può arrivare dal factoring. Soprattutto nel contesto attuale che, a causa dell’emergenza da Covid-19, è caratterizzato da crisi di liquidità, cali di fatturato, ritardi nei pagamenti e negli incassi di crediti e debiti commerciali, elevate esposizioni nei confronti della pubblica amministrazione (in particolare per le aziende fornitrici della Sanità), anticipi della cassa integrazione. Stiamo parlando cioè, della cessione dei crediti esistenti o futuri, compresi quelli di natura fiscale. Un comparto che, in Italia, muove ogni anno il 14% del pil e che si candida a essere uno strumento di gestione e finanziamento del capitale circolante e di supporto verso la ripresa.
«La drastica flessione del fatturato causata dalla diffusione della pandemia, accompagnata dai ritardi negli incassi e dalle scadenze delle fatture verso i fornitori da onorare, genera squilibri finanziari per le imprese e significative esigenze di capitale circolante che il factoring è in grado di soddisfare. Il factoring può infatti, grazie allo smobilizzo dei crediti, dare liquidità alle imprese anticipando il valore del credito rispetto alla scadenza e all’effettivo incasso», spiega a ItaliaOggi Sette Alessandro Carretta, docente all’Università di Roma Tor Vergata e segretario generale Assifact, associazione italiana per il factoring, che conta oggi 47 associati. «Anche negli anni della crisi, sette nel decennio appena trascorso, quando il sistema bancario riduceva il credito alle imprese, il settore del factoring ha invece aumentato i suoi impieghi, aumentando quindi il supporto alle imprese. L’impegno del settore non verrà meno nemmeno in questa fase di emergenza».

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Pensati per avvicinare i risparmiatori ai titoli delle Pmi, grazie agli incentivi fiscali, hanno sofferto gli errori dell’impostazione iniziale e i continui rimaneggiamenti decisi dai vari governi. Ora la doppia versione disponibile, pensata per investitori di diverso profilo, può favorire una ripartenza definitiva
La grande abbuffata, nel 2017-2018. Poi il grande freddo, nel 2019. Adesso, nelle speranze di tutti, il momento della ripartenza: per virtù, perché i Pir, i Piani individuali di risparmio, sono uno strumento gradito ai risparmiatori (per gli sgravi fiscali che offre) e ai gestori; e per necessità, perché mai come in questo momento servono strumenti per avvicinare il risparmio degli italiani all’economia reale. Una ripresa resa possibile dalle modifiche normative che hanno risolto i problemi creati nel 2019, quando il governo aveva varato la versione 2.0 dei Pir, recependo emendamenti che avrebbe dovuto portare direttamente nelle casse delle Pmi fino a 400 milioni di euro.
Se la Fase I è stata tutta incentrata sulla gestione dell’emergenza sanitaria, a partire dal 4 maggio l’attenzione si è spostata sul fronte economico. Anch’esso caratterizzato da una situazione emergenziale. Oggi la priorità è quella di far ripartire l’economia, pesantemente colpita dal lockdown, senza causare una risalita della curva dei contagi. Ed è proprio in quest’ottica che UnipolSai ha adeguato la propria offerta, soprattutto quella rivolta alle piccole e medie imprese. Durante il lockdown la compagnia assicurativa bolognese ha esteso gratuitamente l’indennità giornaliera agli assicurati che erano risultati positivi al tampone Covid 19; ha istituito un servizio di consulenza sul Coronavirus tramite la centrale medica di UniSalute ed ha attivato un servizio di video consulto specialistico supportando le persone direttamente a casa. Per quel che riguarda i prodotti assicurativi ha infine lanciato la copertura #AndràTuttoBene, che prevede una diaria da ricovero e un’indennità in Ca-so di terapia intensiva per i dipendenti delle aziende che sottoscrivono la polizza. Più di recente ha invece affrontato il problema della ripartenza economica lanciando #SicuriRipartiamo, il portale messo a punto da UniSalute con servizi dedicati al mondo delle imprese per consentire una riapertura in sicurezza.

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  • L’accusa al medico: perizia falsa per occultare un incidente
Padova Incidenti stradali, depistaggi, falsi infarti. La sanità veneta, che meglio di altre ha combattuto la battaglia al virus, si trova invece nell’imbarazzo di indagini penali che mettono a repentaglio la reputazione dell’azienda ospedaliera e dell’Università di Padova. La vicenda riguarda un incidente stradale mortale che nel 2016 ha coinvolto l’auto blu del direttore generale della sanità veneta Domenico Mantoan, oggi a capo anche dell’Agenzia italiana del farmaco. A distanza di quasi 4 anni Massimo Montisci ex primario (autosospeso) di medicina legale dell’Università di Padova che eseguì l’autopsia sulla vittima del sinistro, e Giacomo Miazzo, medico del 118 che intervenne sul posto, sono al centro di un’indagine per falso, favoreggiamento e truffa. L’incidente risale al 13 settembre 2016. Mantoan era a Padova nell’auto di servizio guidata da Giorgio Angelo Faccini, il quale fa un’inversione a U non consentita e travolge Cesare Tiveron, 73 anni, in sella al suo scooter. L’uomo muore in ospedale. Miazzo, anestesista e rianimatore del 118, segna nella cartella clinica che l’intervento è stato fatto per un «malore», quando invece Tiveron è stato intubato in strada e sottoposto a massaggio cardiaco. Poi, quando la Procura chiede accertamenti medico-legali, il primario Massimo Montisci prende il posto del collega di turno e si occupa personalmente dell’autopsia. Un fatto strano visto che, pur trattandosi di una tragedia, si parla di un incidente con dinamica piuttosto banale. Le conclusioni cui arriva Montisci nella perizia sono del tutto inattese: il primario, nel frattempo promosso, scrive che Tiveron ha avuto un infarto sul suo scooter. Era morto mentre guidava, quindi l’autista non è responsabile del decesso. Il pm che indaga non gli crede, l’autista finisce davanti al gup e i vertici della Procura avviano un’indagine sulle conclusioni del primario. L’esito dell’incidente probatorio sulla perizia mette d’accordo cinque luminari: l’infarto in moto non regge alle prove scientifiche, Tiveron è morto per l’impatto. Da chiarire inoltre un fatto piuttosto inquietante: il pacemaker di Tiveron, sottratto nell’autopsia, è stato ritrovato dopo due anni nello studio del primario perquisito e indagato per altri reati.

Sarà un’assemblea anomala, quella di Cattolica che si tiene sabato 27: sarà virtuale, senza l’affusso tradizionale dei tanti soci delle cooperative; e sarà decisiva per il futuro della compagnia assicurative veronese, dato che dovrà varare un aumento di capitale da mezzo miliardo di euro imposto dall’Ivass — l’authority di vigilanza sulle assicurazioni — per rientrare nei limiti patrimoniali (il «solvency ratio»), scesi a 103% su un minimo di 100% come gruppo e sotto i minimi nelle joint venture Vera Vita e Bcc Vita%, a causa delle oscillazioni dello spread che hanno impattato sui 14 miliardi di Btp che Cattolica ha in pancia. Il presidente Paolo Bedoni, da 15 anni al vertice della compagnia (e da 21 anni nel board), non nasconde le difficoltà ma è certo di poter portare a termine l’aumento. In un modo o nell’altro. Per questo si tiene le mani libere.«Sarà un’assemblea insolita ma non possiamo fare altrimenti. Anche per me, che ho sempre amato le assemblee partecipate. Abbiamo incaricato Computershare di raccogliere le deleghe. Oggi non sappiamo quale sarà il grado di partecipazione ma sono confidente in quello che è stato il rapporto storico con i soci per centrare l’obiettivo del quorum per l’assemblea straordinaria. Abbiamo le idee chiare su quello che c’è da fare e non abbiamo mai avuto dubbi nell’affrontare situazioni anche complesse».

Diteci la verità su debito e pensioni

Che cosa dovrebbe dire e fare la politica per salvare l’Italia? Pubblichiamo una parte dell’introduzione a «Le scomode verità su pensioni, tasse e lavoro», il nuovo saggio di Alberto Brambilla edito da Solferino, che organizza molte delle idee espresse sul Corriere della Sera dall’autore, docente universitario e presidente del centro studi Itinerari previdenziali. La presentazione si terrà online il 24 giugno alle ore 12. Oltre all’autore interverranno Daniele Manca, vice direttore del Corriere, Marco Fortis, vice presidente Fondazione Edison, e Ugo Loser, ad di Arca Fondi sgr. I partecipanti potranno inviare domande sui temi discussi.
  • Fondi pensione: adesso i giovani ci credono
Crescono le adesioni alla previdenza complementare da parte dei minori di 18 anni. A parlare sono i numeri dell’Osservatorio di Arca Fondi: l’86% circa dei clienti non ancora maggiorenni della sgr ha preferito aderire al fondo pensione Arca Previdenza al posto dei fondi comuni. «È una crescita del 50% circa negli ultimi due anni, che ci fa ben sperare per il futuro», commenta Simone Bini Smaghi, vice direttore generale di Arca Fondi sgr, che sottolinea l’importanza di aderire a forme di previdenza complementare, soprattutto in questo particolare momento storico. «In un contesto di elevata volatilità dei mercati, come quello attuale, gli investitori tendono a prendere scelte sbagliate. Così, lo scorso marzo, quando i mercati stavano crollando, in molti hanno venduto, lascando poi immobilizzata la liquidità. E quando ad aprile e maggio le Borse sono ripartite, in tanti sono rimasti fuori. Questo ci fa capire quanto sia importante un’attenta pianificazione finanziaria, di cui il fondo pensione è sicuramente lo strumento principe». E prima si inizia ad accumulare nella previdenza integrativa meglio è. «L’andamento delle adesioni dei più giovani è incoraggiante, ma bisogna comunque fare di più in termini di educazione, sia lato famiglia sia lato impresa — sottolinea Bini Smaghi —. È importante far capire che l’investimento in un fondo pensione è utile non solo a chi lo fa, ma anche alla crescita del sistema Paese. Noi stiamo facendo la nostra parte ed entro autunno partiremo con un nuovo progetto, proprio dedicato ai giovani, che farà leva soprattutto sulla digitalizzazione e su costi agevolati», conclude Bini Smaghi.