Selezione di notizie assicurative da quotidiani nazionali ed internazionali

 

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Troppo fragorosa la mossa di Leonardo Del Vecchio su Mediobanca per passare inosservata a Palazzo Chigi. Secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, il governo monitora il dossier che vede il patron di EssilorLuxottica, tramite la holding Delfin, impegnato nel tentativo di raddoppiare dal 10 al 20% la quota nella merchant bank che è anche il maggior socio delle Generali.
A seguire la partita per la Presidenza del Consiglio è il sottosegretario Riccardo Fraccaro, che ha già gestito il lavoro che ha portato al rafforzamento del golden power, esteso di recente a banche e assicurazioni. Peraltro, con un tempismo imprevedibile, il decreto che individua più nello specifico (rispetto alla norma quadro inserita nel decreto Liquidità) gli attivi protetti dallo scudo antiscalata è stato illustrato al Consiglio dei ministri solo venerdì scorso, a poche ore dall’anticipazione di Repubblica sulla mossa di Del Vecchio.
Tutto ora dipende dalla Bce. I futuri equilibri della galassia del Nord sono appesi al verdetto che Francoforte rilascerà entro il mese di agosto sulla richiesta di superare il 10% di Mediobanca presentata venerdì 29 da Delfin. La holding di Leonardo Del Vecchio, posizionata già oggi al 9,9% dopo i pesanti acquisti compiuti tra settembre e novembre 2019, è pronta infatti a scattare verso il 20% e a giocare un ruolo di primissimo piano negli assetti di controllo della merchant. La conferma è arrivata ieri mattina con un laconico comunicato che faceva seguito alle indiscrezioni due giorni fa e che ha messo un punto fermo dopo mesi di rumors su una possibile scalata. «Il procedimento autorizzativo», puntualizzava la nota, «salvo sospensione ha una durata massima di 60 giorni lavorativi dalla data dell’avviso di ricevimento della notifica da parte della Banca d’Italia». Parole che hanno messo il turbo al titolo Mediobanca, facendogli guadagnare l’8% a 6,3 euro fra scambi pari al 2% del capitale.
Del Vecchio, già primo azionista di Mediobanca con circa il 10%, ora chiede alla Vigilanza unica di essere autorizzato a salire al 20%. Una svolta assai meno scandalosa di quello che traspare da molti commenti.
Il patron di Luxottica aveva da tempo manifestato l’intento di aumentare la partecipazione. Ma ora c’è chi indugia in dietrologie, adombrando il rischio che Mediobanca diventi francese, dimenticando che la francese Euralux era già decisiva ai tempi di Enrico Cuccia o che lo stesso Del Vecchio agisce tramite la controllante con sede in Lussemburgo.
L’operazione Del Vecchio va approfondita, ma nulla di apprezzabile è in pericolo. Si chiede chiarezza sull’assetto proprietario? E’ doveroso e legittimo. Ma perché considerare l’iniziativa come non di mercato? L’operazione deve costituire un presupposto che garantisca la sana e prudente gestione nonché la stabilità della banca.
La prima occasione formale per discuterne sarà la riunione del cda del prossimo 24 giugno ma già ieri mattina sulla vicenda Mediobanca si susseguivano lunghe telefonate tra gli amministratori di Generali. Da mesi del resto la scalata di Leonardo Del Vecchio a Mediobanca viene studiata con attenzione in quel di Trieste. Non solo perché le due parti in causa sono azionisti storici della compagnia (Piazzetta Cuccia al 12,89% e Del Vecchio al 4,84%), ma anche perché l’esito della partita avrà importanti ripercussioni anche per Generali. Dopo i pesanti acquisti degli anni scorsi oggi Mister Luxottica è il terzo azionista di Generali, staccato solo di un soffio da quel Francesco Gaetano Caltagirone con cui si è mosso a lungo in tandem per rafforzare il fronte italiano. I rapporti tra i due imprenditori si mantengono buoni anche se, da osservatore estraneo alla partita in corso a Piazzetta Cuccia, Caltagirone non vedrebbe di buon occhio una completa destabilizzazione della merchant. Semmai l’auspicio è quello di individuare una mediazione che, pur preservando il ruolo e l’identità di Mediobanca, dia alla governance di Generali un più stabile assetto di lungo periodo. Insomma, una spartizione di potere. In questa direzione è andata per esempio la revisione dello statuto approvata dall’ultima assemblea. Tra le modifiche votate dagli azionisti c’è l’introduzione della cosiddetta lista del board, un intervento che fortifica l’autonomia del vertice allineandola alle best practice internazionali e alle richieste del mercato.
Il consiglio di amministrazione di Cattolica, riunito il 31 maggio, ha provato a rispondere con i fatti alla richiesta arrivata dall’Ivass di aumentare il capitale di 500 milioni entro l’inizio dell’autunno. Per ora nel mercato domina l’incertezza: ieri il titolo dell’assicurazione di Verona è crollato del 16,99% dopo aver faticato a fare prezzo in avvio di seduta. La prima scadenza imminente sarà quella di metà luglio, quando il management della compagnia presieduta da Paolo Bedoni dovrà indicare all’autorità presieduta da Daniele Franco le azioni intraprese, anche sulle controllate, per aumentare la solvibilità delle società. A causa del Covid che ha provocato il crollo dei mercati e l’aumento dello spread sui titoli di Stato italiani il Solvency II del gruppo Cattolica nell’ultimo monitoraggio del 22 maggio era sceso al 122%, contro il 147% del 31 marzo, mentre quello della capogruppo era al 130%. Troppo a ridosso del 100% che rappresenta il minimo regolamentare secondo l’autorità di controllo che tra l’altro (insieme a Consob) ha aperto da mesi un’ispezione sulla compagnia (anche questa congelata per l’emergenza sanitaria). Anche perché nel gruppo ci sono società, Bcc Vita e Vera Vita, che hanno una situazione patrimoniale ancora più debole.
I nuovi Pir, previsti nel deceto Rilancio, piacciono molto a Equita. Luigi De Bellis, co-head ufficio studi della sim milanese, nell’ultimo monitor dedicato a questi strumenti stima un afflusso annuo di 2-3 miliardi per i Piani Individuali di Risparmio alternativi, a raggiungere una raccolta compresa fra 10 e 15 miliardi in cinque anni, «considerando che si tratta di una nuova sfida per il settore e quindi questi obiettivi non saranno facili da raggiungere», spiega l’esperto. Il modello nuovo prevede l’investimento di almeno il 70% del fondo in società che non appartengono al paniere Ftse Mib e al Ftse Mid e possono non essere quotate, mentre il 30% delle quote del fondo è libero di essere collocato a discrezione del gestore. De Bellis sottolinea che «si tratta di una misura di carattere strutturale importante, che mira a sostenere l’economia reale e far affluire capitali a categorie di aziende il cui accesso al mercato è più difficile, in una fase di forte pressione creata dall’emergenza Covid che colpisce maggiormente le pmi rispetto alle grandi aziende». Inoltre questo strumento, aggiunge De Bellis, «potrà stimolare la comparsa di nuovi fondi specializzati nelle Pmi italiane e migliorare la liquidità del mercato».
Il mercato secondario continua a confermare la sua centralità come fonte di liquidità per gli investitori, soprattutto alla luce dell’emergenza degli ultimi mesi. Un ruolo colto da Ardian che, come MF-Milano Finanza è in grado di anticipare, ha visto l’ottavo fondo dedicato al mercato secondario, parte della piattaforma Ardian Funds of Funds, chiudere con un raccolta record di 19 miliardi di dollari, superando così i 14 miliardi raccolti con il precedente fondo nel 2016. Le risorse, che includono anche 5 miliardi di euro di impegni in co-investimento, saranno indirizzate particolarmente verso Stati Uniti ed Europa e sono state fornite da 275 investitori provenienti da 40 Paesi, in particolare da Nord America ed Europa, ma anche Asia e Medio Oriente, composti dai principali fondi pensione, fondi sovrani, compagnie di assicurazione, istituzioni finanziarie e High Net Worth Individual.
  • A Itas Mutua i 15 milioni di Vhv potrebbero non bastare
Un’altra sorvegliata speciale di Ivass è Itas Mutua. La volatilità sui mercati e la crescita dello spread sui titoli di Stato ha fatto scivolare anche il Solvency II della compagnia trentina. Una manovra per migliorare la situazione patrimoniale di Itas c’è stata nei giorni scorsi. Il socio sovventore tedesco, Vhv Allgemeine Versicherung di Hannover ha messo a patrimonio 15 milioni di euro. L’iniezione è stata la conseguenza dell’annullamento immediato dell’opzione put and call che condizionava la partecipazione al Fondo di Garanzia di Itas Mutua. «La rinuncia all’opzione ha determinato immediatamente la possibilità di qualificare il capitale del socio partner come ascrivibile al patrimonio di vigilanza, con l’effetto di consolidare gli indici di solvibilità della capogruppo e dell’intero Gruppo Itas», hanno fatto sapere da Trento, sottolineando anche il fatto che l’annullamento dell’opzione «salda ulteriormente la collaborazione fra Itas Mutua e il socio sovventore». Ma la manovra da 15 milioni potrebbe non bastare all’autorità di controllo di settore, in particolare per quanto riguarda la situazione patrimoniale di Itas Vita.

Nuovi posti letto per le terapie intensive e semi intensive, riorganizzazione dei Pronto Soccorso, potenziamento della rete di emergenza territoriale e aggiornamento della rete ospedaliera. È quanto prevede la circolare numero 0011254/2020 del ministero della salute riguardante le nuove Linee di indirizzo organizzative per il potenziamento della rete ospedaliera per emergenza Covid-19. La circolare fa seguito alla decisione del governo che, attraverso il decreto rilancio, ha stanziato 1.4 miliardi di euro per garantire un’assistenza sanitaria adeguata al fine di fronteggiare future emergenze epidemiologiche. Si prevede la realizzazione di 3.500 posti letto in più di terapia intensiva mentre la circolare disciplina che l’incremento strutturale dovrà determinare una dotazione omogenea sul territorio nazionale pari a 0,14 posti letto per mille abitanti coinvolgendo anche i centri Hub pediatrici.
Cattolica assicurazioni ha ricevuto una lettera dall’Ivass con alcuni rilievi sulla solvibilità e sull’asset allocation del gruppo, chiedendo un aumento di capitale da 500 milioni di euro. Il cda ha adottato misure per mettere in sicurezza la compagnia.
In particolare, le controllate Bcc vita e Vera vita hanno presentato una stima di Solvency ratio inferiore al minimo regolamentare. I Solvency del gruppo, della capogruppo e di altre due controllate nei Danni, pur rimanendo sopra i minimi regolamentari, hanno riportato valori inferiori alle soglie interne di Risk appetite framework. Viene anche evidenziata l’asset allocation, soprattutto l’esposizione verso obbligazioni di minore qualità. Perciò l’Ivass ha rilevato «la necessità di interventi di patrimonializzazione, che si attende vengano perseguiti mediante l’utilizzo integrale della delega proposta alla prossima assemblea straordinaria dei soci convocata per il 26-27 giugno, pari a un aumento di capitale di 500 milioni di euro da effettuarsi entro l’inizio dell’autunno».

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  • La Borsa scommette sulla scalata Del Vecchio a Mediobanca
Essendo un’informazione di quelle capaci di influenzare il mercato, Delfin (holding di Del Vecchio) in una nota ieri mattina ha reso noto che venerdì ha inviato alla Bce la richiesta di essere autorizzata a salire dal 10 al 20% del capitale di Mediobanca. Come volevasi dimostrare il mercato ha reagito subito portando il titolo di Piazzetta Cuccia a guadagnare fino al 13%, per poi chiudere in rialzo dell’8,2% a 6,3 euro per azione. Il ragionamento degli investitori è stato semplice: nei prossimi mesi sul mercato ci sarà un investitore pronto a comprare una quota importante del flottante di Mediobanca, a vigilare e a spronare il management per contribuire alla crescita di valore del gruppo. Gli analisti si aspettano anche che la Delfin voglia dire la sua sulla governance: ma fonti vicine a Del Vecchio hanno fatto sapere di non aver intenzione di presentare una propria lista per il rinnovo del cda che scadrà con l’approvazione del bilancio, all’assemblea del prossimo 28 ottobre. Quali siano i progetti di Del Vecchio per Mediobanca non è noto, di sicuro l’imprenditore ha investito su Piazzetta Cuccia anche per colmare il vuoto che si è creato nell’azionariato con l’uscita di Unicredit e la progressiva vendita della quota di Vincent Bolloré (che ha ridotto la partecipazione al 5,7%). Ma così facendo oltre a mediare il prezzo di carico del 10% che ha acquistato a fine 2019, Del Vecchio vuole anche presidiare le Generali, che da sole rappresentano circa la metà del valore della banca d’affari. Mediobanca con il suo 13% del Leone di Trieste ne influenza la strategia, e Del Vecchio da storico azionista di Generali (con il 4,85% del capitale) in più occasioni ha avuto dei duri confronti con la gestione Mediobanca a Trieste.
  • E il governo alza i paletti per difendere l’italianità
Il governo italiano non pare intenzionato a utilizzare il golden power contro l’ascesa di Leonardo Del Vecchio in Mediobanca tramite la cassaforte lussemburghese Delfin. Ma al Tesoro, dov’è iniziata l’analisi degli scenari, c’è qualche preoccupazione sulla tenuta, anche futura, dell’effettiva “italianità” della storica filiera del capitalismo italiano, che comprende le Assicurazioni Generali. E le pressioni in chiave nazionalista presenti tra i M5s, e già espresse da Leu e da Lega e Fdi nell’opposizione, indurranno il governo, non appena si passerà dagli annunci agli acquisti, a reclamare forme di garanzia sul destino tricolore dei due gruppi e sulla qualità dei loro manager. La questione si pone dopo la notifica alla vigilanza Bce della richiesta dell’imprenditore milanese di salire dal 9 fino al 20% nella storica banca d’affari, già scrigno del capitalismo privato e tuttora del 13% delle Generali.
  • Il declino del Paese dietro uno scontro da Trono di Spade
Tutto ciò che riguarda Mediobanca finisce sotto i riflettori. A maggior ragione oggi, con la contesa che oppone il suo management a Leonardo Del Vecchio. E proprio nel momento in cui Intesa ha lanciato un’offerta su Ubi, per la prima volta non concordata, che ha finito per coinvolgere Unicredit e Unipol su fronti opposti, e chiamato in causa Tribunali, Antitrust, Golden Power, Bce, e Consob. Uno scontro che sembra da Trono di Spade, ma che in realtà rivela tutta la debolezza del nostro sistema finanziario, e il declino del Paese. Oggi Mediobanca vale 5,6 miliardi; poco meno di 3, tolta la partecipazione in Generali: ovvero la dimensione di una media banca regionale, come Oberbank, Bank Polska, AIB o Bankia. La vera questione dunque è se la dimensione, che relega Mediobanca in secondo piano nel panorama europeo, sia prova di una gestione inadeguata. La risposta non è univoca. Dal 2008, alla vigilia della grande crisi, il titolo Mediobanca è cresciuto il 220% più dell’indice dei bancari dell’Eurozona, meglio anche di Intesa (115%); e molto meglio di tutte le altre banche italiane, a cominciare da Unicredit e Ubi, che hanno perso rispettivamente il 64% e il 28% (senza il premio dell’Ops), o Bpm, incidentalmente l’unica fusione bancaria “concordata” (con il Banco Popolare), che nel periodo ha perso più di tutte (86%).

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  • La mossa di Del Vecchio, Mediobanca vola
Il mercato fiuta movimenti e schieramenti contrapposti dietro le mosse di Leonardo Del Vecchio su Mediobanca — istituto di cui ha già il 10% e vuole avere l’ok della Bce ad arrivare fino al 20% — e il titolo di Piazzetta Cuccia vola in Borsa. Ieri dopo strappi anche del 13%, ha chiuso a 6,30 euro, con un rialzo dell’8% e una capitalizzazione salita a 5,6 miliardi. Forti anche i volumi: è passato di mano quasi il 2% del capitale. Su del 3,2% anche Generali, che rientrerebbe nella visione di risistemazione e stabilità azionaria delle due istituzioni da parte di Del Vecchio, che già possiede il 5% della compagnia, mentre Mediobanca ne è primo socio con il 12,8%. Ieri Delfin — la holding lussemburghese di Del Vecchio — ha ufficializzato di aver presentato il 29 maggio la richiesta alla Vigilanza Bce, che ha 60 giorni lavorativi per decidere. Ma già la pre-istruttoria di Bankitalia avrebbe prodotto risultati. Per esempio, l’intera partecipazione è stata riorganizzata e concentrata nella sola Delfin, cassaforte dell’85enne miliardario italiano. Del Vecchio non sarebbe in opposizione al management e non avrebbe intenzione di presentare a ottobre una lista alternativa per il board.

  • La crociata di Del Vecchio per la stabilità del salotto
Entro fine luglio, ma probabilmente anche prima, Delfin potrà decidere quando e in che misura avviare l’ascesa in Mediobanca per diventarne il primo socio con una quota che potrebbe sfiorare il 20%. Leonardo Del Vecchio, come confermato in una nota ufficiale dalla holding lussemburghese, lo scorso 29 maggio ha «depositato presso la Banca d’Italia istanza per l’autorizzazione ad incrementare la partecipazione detenuta da Delfin e dal Cavaliere Leonardo Del Vecchio, rispettivamente in via diretta ed indiretta, in Mediobanca – Banca di Credito Finanziario S.p.A. al di sopra della soglia del 10% del capitale sociale e fino all’ulteriore soglia autorizzativa del 20%». Il procedimento autorizzativo – ricorda la stessa nota diffusa dalla holding – salvo sospensione, ha una durata massima di 60 giorni lavorativi dalla data dell’avviso di ricevimento della notifica da parte della Banca d’Italia.
  • Il Copasir teme scalate estere Volpi: golden power già al 10%
Il Copasir non ha atteso giovedì, giorno di audizione dei vertici di UniCredit. Fin da ieri mattina il presidente Raffele Volpi (Lega) ha avvertito: nel comitato parlamentare «si sta progressivamente formando una sensibile e consapevole preoccupazione relativa a dinamiche che potrebbero in futuro intercettare l’interesse condiviso del Paese».
L’indagine parlamentare sul rischio di scalate finanziarie dall’estero ha già visto e sentito i vertici di Aise, Banca d’Italia, Ivass, Ubi Banca, Mediobanca e Cdp. Dopo UniCredit sarà la volta – la sequenza è da fissare – di Deutsche Bank, Mps, Intesa San Paolo, Borsa Italiana e, per ultima, l’Aisi. La sfida Intesa-Ubi, le mosse di Leonardo Del Vecchio su Mediobanca e il futuro di Generali sono da tempo sotto la lente del Copasir. Così come le interazioni, potenzialmente critiche, tra i sistemi finanziari esteri e quello italiano, come ha spiegato il direttore dell’Aise Luciano Carta prima di approdare alla presidenza di Leonardo. «Intendiamoci: non pensiamo a un intervento dello Stato sul libero mercato. Ma dobbiamo e vogliamo salvaguardare l’italianità dei nostri asset – spiega Volpi – soprattutto se detengono una quota cospicua dei titoli del debito pubblico. Generali innanzitutto». Detto in altre parole, dal turbolento risiko finanziario in corso l’intelligence e il Copasir temono gli esiti inclinati verso soggetti stranieri. «Recenti notizie, in parte in qualche modo prevedibili, accentuano le preoccupazioni già espresse» osserva la nota di ieri. «Il “Sistema Paese” ha la necessità di non vedersi depauperato di capisaldi strategici in favore di attori che proseguono interessi diversi da quelli nazionali». Magari stanno a Parigi, in particolare, o a Berlino.
  • Mediobanca, Delfin «investitore finanziario»
La Delfin di Leonardo Del Vecchio si sarebbe dichiarata «investitore finanziario» nella richiesta inoltrata alla Bce di superare la soglia del 10% di Mediobanca per arrivare tendenzialmente fino al 20%. Questo confermerebbe le indicazioni secondo cui il patron di Luxottica non avrebbe intenzione di presentare una lista alternativa a quella del consiglio per il prossimo rinnovo del board, nè di voler cambiare il management.
La Consob però non ha chiesto ieri le intenzioni sulla governance, ma si sarebbe limitata a sollecitare la conferma, altrimenti non dovuta, dell’avvenuto deposito della domanda alla Bce. Così, prima dell’avvio della seduta, Delfin – la cassaforte lussemburghese di Del Vecchio – ha comunicato che «il 29 maggio è stata depositata presso la Banca d’Italia istanza per l’autorizzazione a incrementare la partecipazione detenuta da Delfin e dal Cavaliere Leonardo Del Vecchio, rispettivamente in via diretta ed indiretta, in Mediobanca al di sopra della soglia del 10% del capitale sociale e fino all’ulteriore soglia autorizzativa del 20%». Poco importa che i titoli Mediobanca e, a ruota, Generali abbiano subito preso il volo in Borsa, per chiudere, rispettivamente, in rialzo di oltre l’8% a 6,3 euro e del 3,24% a 12,89 euro. La soglia d’investimento oltre la quale è d’obbligo dichiarare le proprie intenzioni al mercato è del 10% e Delfin non l’ha ancora superata. A riguardo Consob ha recentemente abbassato la soglia al 5%, ma la misura non è retroattiva. Del resto cosa potrebbe dire Delfin di diverso al mercato, se non ripetere che l’investimento è finanziario?
  • L’indomito Erede sfida Blackstone, Nagel e Intesa
«Onnipotente, spesso onnipresente, a volte quasi bulimico». Certamente «indomito». Così lo definisce chi lo conosce da oltre 30 anni. Ottant’anni il prossimo 14 agosto, Sergio Erede, “l’avvocato di Milano”, l’oracolo, per quelli della sua squadra che spesso lo venerano come un maestro, mantiene fede alla nomea di professionista infaticabile che si è costruito negli anni schierandosi in prima fila su quattro dei fronti più caldi della finanza italiana: è al fianco di Ubi contro l’Ops targata Intesa Sanpaolo; è con Urbano Cairo e Rcs contro Blackstone nella vendita del palazzo di via Solferino; è con Autostrade per l’Italia sul delicato dossier revoca e, soprattutto, è con Leonardo Del Vecchio sulla partita per la Mediobanca di Alberto Nagel. «Con il sistema, contro il sistema? Non sono accezioni che in alcun modo lo possono descrivere», aggiunge un’altra fonte che vuole restare anonima.
  • Cattolica sprofonda in Borsa Troppe incognite sull’aumento
Lo spread, un portafoglio investimenti particolarmente esposto alla volatilità del mercato e la battuta d’arresto per il Covid-19. Su Cattolica si è abbattuta la tempesta perfetta. In una fase in cui, peraltro, l’attenzione del vertice è stata a lungo assorbita dalle beghe tra soci per la riforma della governance. Il risultato è stato la richiesta di Ivass di un aumento di capitale da 500 milioni da avviare entro il 30 settembre. Dossier arrivato sul tavolo del board domenica 31 maggio e al quale la compagnia ha risposto dicendosi pronta a mettere a punto un piano entro il 25 luglio.
Quali saranno le linee guida è ancora presto per dirlo, così come le banche al servizio dell’aumento, anche se alcune sarebbero già in pista. Di certo, ha assicurato il dg Carlo Ferraresi, il cui ruolo è destinato a crescere nelle prossime settimane, verranno intraprese «tutte le azioni» necessarie a «preservare il grande patrimonio» che è l’azienda. In proposito servirà tuttavia uno sforzo superiore ai 200 milioni preventivati dal consiglio lo scorso 22 maggio, che aveva valutato di abbinare al rafforzamento cash anche l’emissione di titoli Tier 1. Opzione, quest’ultima, tutta da valutare stante il rischio che il rendimento si riveli troppo elevato per le casse della compagnia. Nel mentre, il mercato ha messo nel mirino Cattolica che è crollata del 16,9% a 3,43 euro. Ora la società vale in Borsa 598 milioni, ossia poco più di quanto l’azienda dovrebbe chiedere agli investitori secondo Ivass. Il dilemma, però, è proprio sulla risposta che darà Piazza Affari alla richiesta di mezzi freschi. Nel 2014 Cattolica ha completato un aumento di pari ammontare.