Pagina a cura di Daniele Cirioli

I professionisti con cassa seguono le regole dei dipendenti dell’Inps, ai fini del pensionamento in regime di cumulo contributivo. Per avere la pensione di vecchiaia cumulando ai contributi della cassa quelli versati all’Inps, infatti, devono attendere la maturazione dei requisiti (età e contributi) previsti per la generalità dei lavoratori dipendenti dell’Inps (67 anni e 20 anni di contributi nel 2020), anche se la cassa fissa requisiti inferiori. Lo precisa l’Inps nel messaggio n. 2053/2020 (si veda anche ItaliaOggi del 5 giugno), in cui raccoglie 25 risposte a quesiti sul pensionamento in regime di cumulo (ex legge n. 228/2012 e legge n. 232/2016).
La cassa… può attendere. La facoltà di cumulo (si veda altro servizio in pagina) può essere esercitata per la liquidazione della pensione di vecchiaia a condizione che la persona interessata sia in possesso dei requisiti di età e contributi previsti per la generalità dei lavoratori dipendenti (pensione vecchiaia Inps). Per la «costituzione» di tutta l’intera pensione (modalità a «formazione progressiva»), la persona deve attendere poi la maturazione dei requisiti (per la pensione di vecchiaia) fissati da ogni singola gestione coinvolta nel cumulo. Che cosa succede se una cassa prevede dei requisiti più brevi (cioè che danno prima diritto alla pensione di vecchiaia rispetto ai requisiti Inps)? In tal caso, spiega l’Inps, per avvalersi del cumulo occorre comunque attendere la maturazione dei requisiti per la pensione di vecchiaia Inps.
Il cumulo e gli eredi. In due casi l’Inps affronta la questione «cumulo-eredi». Premessa. Con «pensione ai superstiti» sono di solito indicate due tipi di pensioni: quella in caso di decesso di congiunto non ancora pensionato, cosiddetta «pensione indiretta»; e quella in caso di decesso di congiunto già in pensione, cosiddetta «pensione di reversibilità». Nel primo caso viene affrontata la questione della «pensione indiretta»: può essere liquidata la pensione (indiretta) ai superstiti in regime di cumulo se la qualità di familiare superstite non è riconosciuta dalla gestione di ultima iscrizione? La risposta dell’Inps è negativa. Prima di tutto, l’istituto ricorda le norme che si applicano in tal caso, ossia la disciplina della «totalizzazione»; per cui, il diritto alla pensione indiretta, si consegue in base ai requisiti richiesti nella gestione in cui il dante causa era iscritto al momento del passaggio a miglior vita. Per individuare i familiari superstiti e le relative quote spettanti, pertanto, occorre riferirsi alla disciplina dell’ordinamento vigente nella gestione in cui il soggetto era iscritto al verificarsi del decesso. Ne consegue che le quote di reversibilità da applicare al pro-rata di competenza di ciascuna gestione sono le stesse in vigore nella gestione «accertatrice». In considerazione di ciò laddove la gestione di ultima iscrizione non riconosca a un soggetto qualifica di familiare superstite, lo stesso non ha diritto ad alcuna quota di pensione, ancorché le gestioni diverse da quella di ultima iscrizione riconoscano allo stesso la qualifica di familiare superstite. Nel secondo caso è affrontata la questione della «pensione di reversibilità». Le pensioni dirette liquidate con il cumulo, spiega l’Inps, sono reversibili ai superstiti con le modalità e nei limiti previsti da ogni singola gestione (ciò ai sensi della direttiva del ministero del lavoro 2 marzo 2006). Pertanto, ai fini del diritto alla pensione di reversibilità di una pensione diretta in regime di cumulo, occorre aver riguardo alla disciplina dettata da ogni singola gestione per individuare i familiari superstiti aventi titolo, nonché ai fini della determinazione della quota di pensione spettante a ciascuno di essi.
Due attività nello stesso periodo. Si prenda il caso di una persona che, per un certo periodo di tempo, abbia svolto due diverse attività lavorative, contemporaneamente, con versamenti contributivi presso due diversi enti (per esempio un professionista con insegnamento). Questa persona può esercitare la facoltà di cumulo in presenza di periodi contributivi che siano totalmente coincidenti? L’Inps risponde negativamente, spiegando che la facoltà non è esercitabile quando l’intera contribuzione del lavoratore, in tutte le gestioni alle quali è e/o è stato iscritto, è «completamente» sovrapposta, «senza che residui nemmeno un contributo non coincidente» (se, invece, la contribuzione non è «completamente» sovrapposta è possibile considerare parzialmente i periodi di contributi dell’uno e quelli dell’altro lavoro, se ciò serve a maturare il diritto alla pensione). Due esempi. Primo: una persona è in possesso di 21 anni di contributi (2000-2020) nel fondo pensioni dei lavoratori dipendenti (Fpld) Inps e altri 21 anni di contributi, coincidenti (2000-2020), nella gestione separata dell’Inps. Questa persona non può conseguire diritto alla pensione in cumulo perché la contribuzione risulta completamente sovrapposta. Secondo esempio: una persona è in possesso di 21 anni di contributi (2000-2020) nel fondo pensioni dei lavoratori dipendenti (Fpld) Inps e altri 6 anni, in parte coincidenti (2015-2020), nella gestione separata Inps. Questa persona può conseguire diritto alla pensione in cumulo, perché la contribuzione non è «completamente» sovrapposta. Ai fini del diritto considera la contribuzione versata nel Fpld del periodo 2000-2014 (15 anni) e quella della gestione separata del periodo 2015-2020 (6 anni).
Dipendente e commerciante. È stato chiesto all’Inps se e come è possibile accedere al cumulo nel caso di contributi versati esclusivamente a Inps, nel fondo pensioni lavoratori dipendenti e/o nelle gestioni lavoratori autonomi. In questi casi, spiega l’Inps, non si può far ricorso al (nuovo) cumulo, ma alla stessa possibilità (somma dei contributi) prevista dalla legge n. 613/1966. In tal caso, resta ferma la possibilità di conseguire la pensione d’inabilità ai sensi del nuovo cumulo.
Il contenzioso. Altra questione affrontata dall’Inps è quella dei ricorsi amministrativi, sempre a proposito di cumulo, in presenza di casse professionali. In tal caso, spiega l’Inps, i ricorsi vanno esaminati e decisi in base alle modalità previste dall’ordinamento della cassa con decisione assunta previa acquisizione di parere obbligatorio degli altri enti/casse coinvolti nella materia contesa, da rendere entro 60 giorni dalla richiesta decorsi i quali il ricorso è comunque deciso dall’ente istruttore e l’esito comunicato agli altri enti/casse.
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