Sui futuri assegni peseranno due recenti fattori: i nuovi coefficienti 
di calcolo e la caduta del pil italiano dovuta alla pandemia. Pertanto si fa ancora 
più urgente la necessità di integrare il reddito dopo l’uscita dal mondo del lavoro
di Paola Valentini
Un doppio effetto pesa sulle pensioni pubbliche. Da una parte l’emergenza sanitaria ha inferto un duro colpo al pil dell’Italia. Le previsioni per il 2020 vanno dal -8,3% dell’Istat al -9,2% della Banca d’Italia fino al -11,3% dell’Ocse e al -12,8% dell’Fmi. E in un sistema in cui i contributi versati dai lavoratori ogni anno sono rivalutati in base alla crescita economica del Paese, questo significa che la recessione produrrà assegni più bassi. D’altra parte i coefficienti di trasformazione della pensione in rendita sono stati appena adeguati alla maggior speranza di vita. Sono stati abbassati perché le stime demografiche indicano un ulteriore allungamento della attesa di vita. L’epidemia potrebbe incidere su questa crescita, ma per ora la statistica non rileva questa tendenza. Gli effetti combinati di queste due variabili erodono la pensione pubblica e rendono ancora più necessaria l’integrazione. Una dinamica che parte da lontano, dalla riforma Dini del 1996 che, nel varare il sistema contributivo di calcolo della pensione, aveva legato l’importo dell’assegno al momento in cui si va in pensione. Ad età maggiori di pensionamento corrispondono coefficienti più elevati e quindi più favorevoli per il cittadino perché lo Stato dovrà versare la pensione, presumibilmente, per meno anni. Ma se la vita (per fortuna) si allunga, l’assegno mensile dovrà comunque diminuire per tutti, confermando un calo che dura da diversi anni. Una simulazione di Progetica mostra l’entità del taglio dalla riforma Dini. «Abbiamo condotto un esercizio ipotetico che mostra, a parità di possibile somma dei contributi, per diverse fasce di reddito, l’impatto dell’adeguamento dei coefficienti di trasformazione tra il 1996, il 2010 e il 2021. In 25 anni il coefficiente di trasformazione di un 65enne si è ridotto del 15%: una modifica dettata dalla necessità di mantenere il sistema pensionistico italiano in equilibrio all’aumentare della speranza di vita», spiega Andrea Carbone, partner di Progetica.

L’esercizio è ipotetico perché naturalmente i primi pensionati con il sistema contributivo ci sono stati dal 2006. «Il momento economico non è facile, ma è bene ricordarsi che il valore delle pensioni future dipende dal nostro stipendio, dal quale si generano i contributi versati, dall’andamento dell’economia italiana che rivaluta i contributi e dalla speranza di vita che definisce la trasformazione della somma dei contributi in rendita vitalizia», aggiunge Carbone. Senza dimenticare che la speranza di vita, a sua volta, determina anche l’età di pensionamento che ormai, con i vari adeguamenti è arrivata a 67 anni. Progetica ha anche analizzato l’impatto dell’andamento economico del Paese. La rivalutazione annua dei contributi versati si basa sul tasso di capitalizzazione dato dalla variazione del pil nominale dell’Italia nei cinque anni precedenti. Pertanto, il pil di quest’anno influenzerà, in particolar modo, la rivalutazione contributiva di coloro che andranno in pensione dal 1° gennaio 2022. Ovviamente la dinamica del pil riguarda soltanto la quota di pensione calcolata con il contributivo, mentre resta fuori la quota retributiva che è legata agli ultimi stipendi. Le stime di Progetica incorporano l’effetto del pil 2020 sulle medie quinquennali dei prossimi anni.

«Si vede bene come per i più giovani il valore medio del pil sia molto rilevante per il valore della pensione futura: per i 30enni, c’è una variabilità circa del 30% tra un pil medio stagnante allo 0% e uno che cresce dell’1,5%. All’aumentare dell’età, diminuisce il tempo mancante e la quota contributiva, fino ad arrivare ai 60enni per i quali l’impatto è minimo», spiega Carbone.

Progetica ha fissato pari a zero l’ipotesi peggiore della dinamica del pil perché, per effetto di una misura introdotta dal governo Renzi nel 2015, un valore negativo non produrrà una variazione al ribasso: nella peggiore delle ipotesi la rivalutazione sarà nulla. Nel 2014 infatti, a causa della recessione del 2009 (-5,5%), la media quinquennale era risultata negativa e l’allora premier Matteo Renzi, per evitare dei togliere soldi dal salvadanaio previdenziale, decise che in caso di medie di pil negative la variazione fosse comunque portata a zero. In ogni caso un pil piatto taglierà l’importo della pensione aumentando di conseguenza il gap previdenziale, cioè la differenza tra pensione pubblica e ultimo reddito, un vuoto che può essere colmato tramite i fondi pensione che permettono di costruire una pensione di scorta che si aggiunge alla pensione pubblica. Inoltre l’invecchiamento della popolazione mette sotto pressione i sistemi pubblici di welfare.
Come sottolinea il colosso Usa delle gestioni a basso costo Vanguard, che ha pubblicato il Manifesto sul piano d’azione europeo per la previdenza, scritto da Sean Hagerty, head of Vanguard Europe: «Secondo l’Ageing Report 2018 della Commissione Europea, la popolazione totale passerà dai 511 milioni di abitanti del 2016 ai 520 milioni del 2070. Tale dato nasconde però un aumento molto più rapido e significativo del numero di persone di età superiore ai 69 anni, mentre parallelamente diminuisce la popolazione in età lavorativa. Diventano quindi sempre più cruciali tempistiche e modalità con cui i cittadini europei provvederanno alla propria vecchiaia al fine di mantenere un tenore di vita dignitoso», spiega Hagerty. Ma molti cittadini dell’Ue si trovano in una situazione finanziaria sempre più precaria e in molti casi non sanno come risparmiare per la vecchiaia. «Il problema è dovuto a una lacuna nella conoscenza dei mercati e dei prodotti finanziari, a una mancanza di fiducia nei confronti del sistema o anche a barriere all’ingresso dovute a costi elevati. Ma non deve necessariamente essere così. Il calo del numero dei contribuenti rappresenta una sfida sostanziale, ma comunque superabile», prosegue Hagerty.

Per Vanguard sono tre le azioni fondamentali che i policy maker possono attuare: «Incoraggiare le persone a fare uno sforzo maggiore di quanto fatto finora per risparmiare per la propria pensione. Il secondo passo consiste nell’affrontare la necessità di semplificare e armonizzare le norme pensionistiche in tutta l’Unione. Il terzo è rivolto a offrire a tutti i cittadini l’accesso a un regime pensionistico equo, assieme a una consulenza e prodotti d’investimento adeguati e a condizioni ragionevoli». Su quest’ultimo punto il riferimento di Hagerty è al tema dei costi, un aspetto cruciale nella previdenza integrativa perché, in un orizzonte temporale di lungo periodo quale è quello proprio dei fondi pensione, anche piccole differenze di commissioni possono fare la differenza nella prestazione finale. E, in una fase di rendimenti ai minimi, anche i risparmiatori iniziano a prendere coscienza del fatto che contenere le commissioni è un buon punto di partenza per non mettere a repentaglio i propri risparmi. Un canale che permette di trovare soluzioni a basso costo è l’online, anche con il supporto di un consulente da remoto. Non a caso si stanno moltiplicando le offerte digitali da parte delle reti. Ad esempio Fineco di recente avviato le sottoscrizioni online di Core Pension, fondo pensione gestito Amundi. Nuova è anche l’iniziativa di Moneyfarm, società di gestione del risparmio con approccio digitale, che ha lanciato la sua prima soluzione di previdenza complementare: Piano Pensione Moneyfarm, un piano individuale pensionistico (Pip) con un indicatore sintetico di costo (Isc) fra i più bassi del mercato, sottoscrivibile online e basato su sei linee in Etf. L’Isc a 10 anni è pari all’1,42% annuo: un valore in linea con la media dei costi dei fondi pensione aperti (generalmente meno costosi dei pip in quanto non prevedono alcun servizio di consulenza). Tutte novità che puntano ad aumentare il tasso di adesione ai fondi pensione che in Italia resta ancora sotto al 40%. «Credo che la maggior parte degli italiani abbia scelto di rimandare una decisione così importante per mancanza di informazioni minime. All’informazione deve unirsi una maggiore educazione finanziaria che aiuti i risparmiatori a capire il valore e l’impatto della variabile tempo, perché rimandare a domani una decisione sulla previdenza complementare può avere effetti molto pesanti sul risultato finale e sulla reale capacità del singolo di coprire il gap tra ultimo stipendio ed assegno pensionistico», sottolinea Dario Moltrasio, ceo di Zurich Investments Life.

Anche le agevolazioni fiscali sarebbero d’aiuto. «Tanto è già stato fatto con la deducibilità dei contributi e con la riduzione dell’imposta sui capital gain, ma è mancato il coraggio nel differenziare i benefici di natura fiscale per fasce d’età, garantendo ai più giovani incentivi maggiori. Credo che un investimento in questa direzione darebbe ritorni molto elevati senza pregiudicare il saldo delle entrate fiscali se bilanciato da un’analoga riduzione dei benefici per le fasce di età più elevate e rappresenterebbe una esempio di solidarietà tra generazioni; dopotutto il problema previdenziale delle nuove generazioni nasce da scelte delle quali hanno beneficiato i loro genitori», conclude Moltrasio. Certo i risultati dei fondi pensione (tabella riferita agli aperti) in questa prima metà del 2020 hanno sofferto per via della volatilità dei mercati e molti lavoratori sono stati tentati di riscattare, ma da Sergio Corbello, presidente di Assoprevidenza, arriva il consiglio di tenere le posizioni: «Occorre mantenere i nervi saldi, magari, se il singolo ne ha la possibilità, anche approfittando della situazione per integrare il capitale nel fondo con ulteriori contributi: si investirebbe in un momento favorevole, con le quotazioni dei titoli basse, beneficiando oltretutto delle agevolazioni fiscali previste». (riproduzione riservata)

Agrusti (Propensione): i costi dei fondi sono cruciali

Raffaele Agrusti, manager esperto del settore assicurativo (ha alle spalle circa 30 anni in Generali, dove era arrivato a ricoprire la carica di country manager per l’Italia), non ha dubbi: «Il primo passo per aumentare le adesioni ai fondi pensione in Italia è rendere più consapevoli i lavoratori e soprattutto i giovani circa la propria situazione pensionistica». Agrusti è entrato di recente nel cda di Propensione, digital company fondata a Trieste da Giancarlo Scotti (ex ad di Lazard Italia e Generali Reale Estate) e attiva nella consulenza e distribuzione online di prodotti di previdenza integrativa e di protezione.

Domanda. Dottor Agrusti, come incrementare la cultura previdenziale?

Risposta. Sarebbe senz’altro utile arricchire l’informazione iniziata con la Busta arancione inviata dall’Inps indicando anche le modalità per poter costruire con il combinato disposto della previdenza pubblica e quella integrativa un futuro sereno. Nella stessa direzione i calcolatori previdenziali online che offrono una stima del probabile gap previdenziale e soprattutto la soluzione per colmarlo con quanto accumulato nel fondo pensione.

D. Altri incentivi?

R. Si potrebbero prevedere ulteriori misure di agevolazione fiscale finalizzate a rafforzare il sistema della previdenza integrativa. Da non sottovalutare, poi, l’importante possibilità offerta dalla previdenza integrativa di anticipare di fatto il pensionamento grazie alla Rendita Integrativa Temporanea Anticipata, o Rita.
D. A cosa si riferisce?

R. È un eufemismo sostenere che bisognerà lavorare sino a 70 anni per ottenere la pensione. Nella realtà la pensione si otterrà sì a 70 anni, ma con ogni probabilità i lavoratori si troveranno espulsi dal mondo del lavoro ben prima. Ecco che allora la Rita costituirà nella generalità dei casi l’unico reddito disponibile per colmare il divario tra data di cessazione di lavoro e inizio dell’erogazione della pensione pubblica. Nell’attuale sistema oserei dire che per il lavoratore medio questo diventerà il maggior utilizzo del risparmio previdenziale.

D. Quali consigli darebbe a un lavoratore non ancora iscritto?

R. Sicuramente di iniziare il prima possibile, essendo il tempo in queste forme di risparmio un grandissimo alleato grazie al meccanismo dell’interesse composto. Inoltre, è molto importante individuare il comparto più adatto all’orizzonte e al profilo di rischio di ciascuno e in questo l’algoritmo sviluppato da propensione.it rappresenta una vera e propria guida previdenziale. Lo stesso suggerisce inoltre il prodotto più efficiente soprattutto dal punto di vista dei costi, altra variabile determinante per la scelta del fondo pensione. Vi sono prodotti che con il loro livello di costi rischiano di compromettere l’obiettivo di risparmio previdenziale. I costi sono certi, i rendimenti sperati. (riproduzione riservata)

Istruzioni per fare i conti con la piramide demografica
Il ministero del Lavoro ha appena rivisto i coefficienti di trasformazione del montante contributivo per gli anni 2021 e 2022, per adeguarli all’evoluzione della piramide demografica dell’Italia caratterizzata da un accentuato processo di invecchiamento della popolazione. Si tratta della quinta revisione dalla loro introduzione avvenuta con la riforma Dini nel 1996 (per circa un decennio l’aggiornamento non è stato fatto). Per meglio comprenderne il ruolo di questi coefficienti va ricordato come nel metodo di calcolo contributivo si sommano virtualmente tutti i contributi versati lungo il corso della intera vita lavorativa, si opera la rivalutazione annuale del montante così accumulato per recuperare il potere d’acquisto sulla base della media del pil dell’ultimo quinquennio e, raggiunta l’età pensionabile, si converte totale sulla base dei coefficienti di trasformazione che variano in base alla soglia anagrafica cui si va in quiescenza (perché riflettono la speranza di vita al pensionamento). A età pensionabile più ridotta i coefficienti sono meno favorevoli, per aumentare al crescere dell’anzianità anagrafica. Nella logica del contributivo un ritardato pensionamento determina un assegno più elevato in considerazione di una accumulazione più consistente e di coefficienti più convenienti perché lo Stato pagherà presumibilmente la pensione per meno anni rispetto a un pensionamento anticipato. Qual è l’effetto dei nuovi coefficienti? Rispetto ai parametri vigenti c’è un effetto riduttivo per tutte le età. A 57 anni ad esempio per le pensioni calcolate nel biennio 2019-2020 questo oggi è pari al 4,2%, mentre nel 2021-2022 sarà del 4,186%; a 62 anni (età minima di quota 100 per intenderci) si passa dal 4,79 al 4,77%; ad età pensionabili più elevate, 67 anni, si va dal 5,604 al 5,575% per approdare a 70 anni con la transizione dal 6,257 al 6,215%.

Per il prossimo aggiornamento dei coefficienti del 2022, come osserva l’Ania in un recente Paper, andrà visto se l’effetto del Covid-19 sul tasso di mortalità potrà avere impatti nel calcolo delle future rendite previdenziali, pubbliche e private. È importante ricordare come la revisione dei coefficienti di trasformazione sia uno dei due meccanismi automatici presenti nell’ordinamento italiano, unitamente all’innalzamento dell’età pensionabile in ragione dell’incremento della speranza di vita, per preservare la sostenibilità finanziaria del sistema previdenziale. Se si considera, oltre all’effetto dei coefficienti aggiornati, anche l’andamento negativo del pil del Paese per effetto di Covid-19, diviene ancor più necessario il ruolo del risparmio previdenziale. (riproduzione riservata)
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