Sarà un’assemblea anomala, quella di Cattolica che si tiene sabato 27: sarà virtuale, senza l’affusso tradizionale dei tanti soci delle cooperative; e sarà decisiva per il futuro della compagnia assicurative veronese, dato che dovrà varare un aumento di capitale da mezzo miliardo di euro imposto dall’Ivass — l’authority di vigilanza sulle assicurazioni — per rientrare nei limiti patrimoniali (il «solvency ratio»), scesi a 103% su un minimo di 100% come gruppo e sotto i minimi nelle joint venture Vera Vita e Bcc Vita%, a causa delle oscillazioni dello spread che hanno impattato sui 14 miliardi di Btp che Cattolica ha in pancia. Il presidente Paolo Bedoni, da 15 anni al vertice della compagnia (e da 21 anni nel board), non nasconde le difficoltà ma è certo di poter portare a termine l’aumento. In un modo o nell’altro. Per questo si tiene le mani libere.«Sarà un’assemblea insolita ma non possiamo fare altrimenti. Anche per me, che ho sempre amato le assemblee partecipate. Abbiamo incaricato Computershare di raccogliere le deleghe. Oggi non sappiamo quale sarà il grado di partecipazione ma sono confidente in quello che è stato il rapporto storico con i soci per centrare l’obiettivo del quorum per l’assemblea straordinaria. Abbiamo le idee chiare su quello che c’è da fare e non abbiamo mai avuto dubbi nell’affrontare situazioni anche complesse».

Cominciamo dalla febbre, come si fa ora: qual è oggi la temperatura di Cattolica a livello di patrimonio?

«La settimana scorsa il solvency ratio aveva superato il 141% in Cattolica e il 133% a livello di gruppo. Lo dobbiamo monitorare ogni settimana, come chiesto da Ivass. Ma già il 15 maggio come cda avevamo messo nell’ordine del giorno dell’assemblea una delega, in passato già esisteva, per un aumento di capitale entro 5 anni. Poi il 27 maggio l’Ivass ci ha chiesto di esercitare la delega in maniera quasi totale».

Se l’aspettava?

«Il Consiglio si è mosso per tempo, monitorando la situazione. Poi dopo la lettera Ivass non abbiamo fatto altro che migliorare la richiesta permettendo di destinare una parte dell’aumento di capitale a investitori istituzionali. La delega è aperta. Entro il 25 luglio dovremo presentare alla Vigilanza il progetto, poi si partirà. L’Ivass vuole l’aumento entro l’autunno».

L’Ivass vi ha chiesto di rafforzare il patrimonio per la vostra esposizione in Btp. È un aumento pari quasi all’attuale capitalizzazione di Cattolica. È preoccupato per la riuscita?

«Dovremo esaminare la modalità migliore perché si faccia l’interesse dei soci e degli azionisti e più in generale del mercato. Possiamo anche ricorrere a più tranche di aumento, la delega lo consente».

Avete già individuato le banche che vi assisteranno?

«Non ancora ma tutti vogliono assisterci. Perché Cattolica è sana e solida nei suoi fondamentali: abbiamo confermato il risultato operativo di 350-375 milioni a fine anno, abbiamo conseguito un utile di 120 milioni lo scorso anno che abbiamo accantonato a riserva ancora prima che ce lo chiedessero. E l’abbiamo fatto perché avevamo capito che il combinato di Covid e spread aveva generato una situazione che ha riguardato noi più del mercato. Questo perché la nostra attività negli anni scorsi si era spostata sul Vita, con l’investimento importante con Banco Bpm, e per l’assenza del modello interno che ci avrebbe permesso di conseguire un beneficio in termini di solvency, grazie a una misura più tailor made dei rischi del Gruppo. In seguito a quella importante operazione abbiamo circa il 55% di investimenti in titoli di Stato, ma io non ho mi creduto che fosse un errore e che ponesse l’azienda al rischio volatilità. E comunque nel 2018 la quota di Btp superava il 70%, ora siamo scesi al 55% e generato quasi un miliardo di plusvalenze. Voglio sottolineare che il perimetro di Cattolica oggi è uguale a quello del 31 dicembre: sono cambiati due fattori esterni, guidati dalla pandemia: risk free rate e lo spread, che non hanno danneggiato l’attività industriale ma hanno creato volatilità nel nostro livello di solvency. Ma questo è durato quel tanto per prendere noi consapevolezza che era il caso di rafforzarlo. La vigilanza ha solo chiesto di farlo in tempi brevi».

La delega consente più tranche di aumento, a prezzi diversi, limitazione dei diritti di opzione, capitale riservato a investitori istituzionali. I 18 mila piccoli soci devono prepararsi a perdere parte dei loro soldi investiti in Cattolica?

«Quello che posso dire è che non abbiamo mai perso di vista gli interessi dei soci e che partiamo da lì per difenderli. Se guardo i prezzi di Borsa, è normale che quando vengono annunciate operazioni come questa ci sia una grande preoccupazione e calino ma poi le cose si tranquillizzano».

Quale sarà la vostra equity story?

«La Cattolica è sempre quella di prima. Nella parte ordinaria l’assemblea approverà un bilancio più che positivo e che poteva distribuire un dividendo. E che il cda si è preoccupato subito di recuperare la situazione legata allo spread. Anche per la riforma statutaria da approvare abbiamo dimostrato di essere in grado assorbire le istanze di tutti i soci. Da tempo Cattolica aveva dato spazio ai soci di capitale con il monistico e aveva aperto ai fondi, perché siamo consapevoli che è difficile crescere sul mercato se non si hanno i capitali. Ora diamo più spazio ai consiglieri di minoranza, da 1 a 2 posti. Abbiamo fissato il limite dei mandati. Da quando si è quotata Cattolica ha cambiato tanto il suo modello di governance, inizialmente i consiglieri erano ben 23 e saranno 15, ed è andata sempre verso le best practice, con la costituzione di comitati come quello per la gestione, rischi, remunerazioni».

Esclude la trasformazione in spa? «Quando Cattolica si è quotata, nel 2000, ha incontrato un soggetto nuovo, l’azionista. Ciò che ci ha aiutato a fare le riforme è stato il confronto tra soci e azionisti, per innovare la società, ma senza mai perdere di vista un principio: evitare la finanziarizzazione, sposando progetti industriali e legati al territorio, all’economia reale».

Un vostro azionista importante da ottobre 2017 è il fondo Berkshire Hathaway di Warren Buffett, al 9%. Che farà nell’aumento?

«Non so cosa farà, ma mi auguro che resti, dato che sono investitori che guardano la gestione, la solidità, i ratio dell’azienda. Al di là della preoccupazione legata all’aumento, credo che lui conosca bene Cattolica».

Gli chiederete di diventare allora il vostro anchor investor?

«Al momento lo è, spero continui ad esserlo. Un investitore come lui, così come le fondazioni (la Fondazione Banca del Monte di Lombardia al 3%, la Fondazione Cariverona sopra l’1%) sono per noi sono figure che meritano un confronto continuativo».

Perché siete saliti dallo 0,5% all’1% in Ubi a febbraio? Avete già una minusvalenza. E se Intesa Sanpaolo vincesse, che succederà alla vostra bancassicurazione?

«Perché per entrare nel patto Car serviva l’1%: noi siamo l’unico soggetto che ha un rapporto industriale con Ubi, per cui crediamo che fosse importante partecipare, anche per capire il processo che riguarda Ubi. Ma tuteleremo prima di tutto gli interessi di Cattolica».

Perché avete rotto con l’ex amministratore delegato Alberto Minali, che vi ha fatto causa per 9,6 milioni?

«Il tempo passato dal 31 ottobre ad oggi ha fatto capire che venendo meno la fiducia del consiglio in chi gestisce l’impresa, si creano queste situazioni. Ora Minali riguarda ormai il passato, noi dobbiamo guardare avanti. Il consiglio aveva proposto una revoca, lui si è dimesso».

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