di Sonia Mazzucco* e Daniele Sciardiglia**

Stiamo attraversando come paese una fase delicata, la diffusione di un virus che sta mettendo a dura prova il sistema economico, dalle imprese ai professionisti. Non è noto quali saranno gli strumenti migliori per poter affrontare tale situazione e, soprattutto, per porre le fondamenta più adatte a quello che potrà essere lo scenario futuro delle aziende, ma una cosa è certa, la storia insegna che non c’è crisi che non richieda un cambiamento «di passo» per poter essere affrontata e, auspicabilmente, essere superata. Per trasformare l’attuale stato di shock in spinta evolutiva non si può che iniziare analizzando le passate performance economiche, finanziarie e patrimoniali, per essere poi in grado di mutuarle in nuovi assetti strategici, nuovi modi di fare impresa: uno sguardo sì al passato, ma con la volontà di costruire una organizzazione che guardi a scenari futuri diversi da quelli immaginati ad inizio 2020. Occorre testarsi come azienda resiliente, come una realtà che possa essere contemporaneamente: rapida, robusta, intraprendente. Rapida nel repentino intervento dopo lo shock, con una robusta tempra data dalle risorse nell’organico aziendale ed infine intraprendente, pronta a prendere decisioni inedite, inaspettate, innovative. La sottile linea che separa l’intraprendenza dall’imprudenza è rappresentata dalla centralità delle procedure, dei processi di lavoro, del sistema di deleghe e dell’organigramma aziendale, in altre parole, del proprio modello organizzativo. Un ottimo strumento che oramai ha compiuto la maggiore età, è rappresentato dal Modello organizzativo dlgs 231/2001. Nonostante la normativa sia rubricata «Responsabilità amministrativa delle società e degli enti», la redazione dei modelli richiamati rappresenta un validissimo sistema di organizzazione aziendale, un’opportunità unica di ottimizzazione e formalizzazione delle procedure aziendali nell’ottica di una nuova migliore governance per il perseguimento più efficiente ed efficace del proprio business. Quali sono gli effetti immediati che si colgono rispetto al periodo di emergenza Covid? La risposta è evidente. Le società dovranno rispondere agli effetti di questa epocale crisi rivendendo la propria organizzazione aziendale, le proprie strategie, le priorità degli obiettivi di business e i processi specifici di lavorazione: in estrema sintesi, adottare o rivedere il proprio Modello organizzativo in ottica gestionale e non solo per fini esimenti. E tutte quelle realtà che finora avevano sottovalutato l’importanza di tale adozione, che avevano rimandato il momento perché ritenuto non necessario, che avevano manifestato una certa resistenza ad avere un organico sistema di regole, protocolli, procedure, perché ritenute «ingessanti», oggi senza eccezione di sorta si sono trovate obbligate ad adottare, ed integrare con il proprio modus operandi, un sistema ad hoc di procedure volte alla prevenzione della diffusione del virus diffondendo protocolli nei luoghi dove viene svolta la propria attività, hanno dovuto far loro un sistema di lavoro «agile» mai visto prima in scala così diffusa, hanno dovuto, in sostanza, dotarsi proprio di quei presidi che sino a ieri ritenevano superflui. Tra i fattori esogeni che stanno mutando le regole del «gioco della governance», oltre all’emergenza in atto e le conseguenze di diretta derivazione, si possono richiamare la complessità del quadro regolamentare di riferimento dei diversi settori produttivi, le spinte del mercato verso l’adozione di sistemi certificati, ma anche normative come il Codice della crisi d’Impresa che, richiamando la responsabilità degli amministratori, richiede l’istituzione di adeguati assetti organizzativi (obbligo già in essere nonostante il differimento dell’entrata in vigore al 1/9/21) o ancora l’istituto ad adesione volontaria dell’adempimento collaborativo-introdotto nell’ordinamento dal dlgs 128/2015-che richiede l’adozione di un efficace sistema di controllo del rischio fiscale inserito nel contesto del sistema di governo aziendale e di controllo interno. Ebbene non è più tempo per rimandare: il processo di inaspettato cambiamento è in atto e va assecondato per non perire dentro lo stesso, ben potendosi avvantaggiare della «spinta» oggi diffusa per strutturare le imprese a prevenire il virus; occorre implementare gli assetti organizzativi affinché siano sempre più puntuali, definiti, dinamici, diffusi, chiari ed efficaci.
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Un aiuto concreto anche a prova di reati tributari
Marco Catania e Matteo Feroci, commissione 231/2001 Ungdcec
L’introduzione nel dlgs 8 giugno 2001, n. 231 dell’art. 25-quinquiesdecies (reati tributari) è avvenuta, con decorrenza dal 24 dicembre 2019, per mano dell’art. 39 dl 124/2019, in seguito convertito nella legge 157/2019. Con tale disposizione si è assistito, in controtendenza rispetto al precedente intervento normativo del 2015, a un inasprimento del trattamento degli illeciti tributari, tramite l’innalzamento delle sanzioni edittali, l’abbassamento delle soglie di rilevanza penale, l’estensione delle disposizioni in tema di confisca (art.240 bis c.p.) per i reati considerati più gravi e l’inserimento di alcuni illeciti tributari nel novero dei reati presupposto della responsabilità amministrativa degli enti ex dlgs 231/01. L’introduzione di tali fattispecie delittuose nell’elenco dei reati presupposto ex dlgs 231/01 è stata da sempre motivo di dibattito, sia in dottrina quanto in giurisprudenza, tra chi riteneva evidente la correlazione tra l’illecito commesso e/o l’interesse / vantaggio per la società, e chi, invece, riteneva che tale introduzione andasse a duplicare, o comunque ad inasprire eccessivamente, le disposizioni sanzionatorie già esistenti, come ad esempio quelle tributarie o anche quelle amministrative già previste (si pensi ad esempio all’art. 19 c.2 L. 74/2000); che la questione fosse controversa lo dimostra anche il fatto che la formulazione iniziale dell’art. 39 dl 124/2019 aveva previsto quale nuovo reato presupposto la sola fattispecie prevista all’articolo 2 legge 74/2000 (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti), mentre in fase di conversione in legge è stato ampliato il novero dei reati presupposto anche agli articoli 3 (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici), 8 (emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti), 10 (occultamento o distruzione di documenti contabili) e 11 (sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte). Le sanzioni pecuniarie previste per i reati di cui sopra possono arrivare fino a 400 o 500 quote ed è previsto anche l’aumento di un terzo delle sanzioni se l’ente abbia tratto «un profitto di rilevante entità». Considerato che il valore di ogni quota è compreso tra un valore minimo di euro 258 e un massimo di euro 1.549 (fissato sulla base delle condizioni economiche e patrimoniali della persona giuridica), il conto potrebbe presentarsi molto salato e addirittura superare il milione di euro [(1.549 x 500) x1,(3) = 1.032.666,(6)]; per quanto riguarda invece le sanzioni interdittive, viene previsto il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi, l’eventuale revoca di quelli già concessi e il divieto di pubblicizzare beni o servizi. In tale scenario appare dunque opportuno cercare di analizzare come uno sforzo di adeguamento della compliance da parte della società potrebbe rivelarsi utile come esimente della propria responsabilità amministrativa, anche nell’ipotesi in cui un soggetto apicale, più verosimilmente il rappresentante legale, si renda responsabile della commissione di una o più fattispecie delittuose previste dall’art. 25-quinquiesdecies dlgs 231/2001; tale sforzo potrebbe concretizzarsi nell’adozione di un efficace modello di organizzazione e controllo o, per le società che già lo adottano, nell’aggiornamento dello stesso.

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