Con l’offerta su Ubi al via lunedì 6 luglio, Ca’ de Sass vuole dar vita a un gruppo da 5 miliardi di utile che giochi da protagonista in Europa. Forti sinergie anche con il 50% più un’azione. Ma la partita con l’Antitrust non è chiusa
di Luca Gualtieri
Un gruppo che nel 2022 faccia 5 miliardi di utile, remuneri i soci con dividendi in contanti pari al 75% dell’utile quest’anno e al 70% il prossimo e giochi un ruolo da protagonista in Europa, anche in vista di un consolidamento transfrontaliero. Sono questi gli obiettivi elencati da Intesa Sanpaolo nel prospetto informativo per l’ops su Ubi Banca che partirà ufficialmente lunedì 6 luglio. Dopo quasi cinque mesi di lavoro l’operazione annunciata a febbraio è arrivata quasi ai nastri di partenza, incassati gli ok di Bce, Ivass, Palazzo Chigi (ai sensi della normativa Golden Power) e Consob. All’appello manca solo il verdetto dell’Antitrust che arriverà soltanto a ops in corso, nella seconda metà di luglio.

Nel frattempo, la documentazione pubblicata da Intesa venerdì 26 (documento di offerta e prospetto informativo) ripercorre le finalità industriali dell’offerta. La Ca’ de Sass e il suo ceo Carlo Messina si aspettano di riuscire ad arrivare alla fusione di Ubi anche con il 50% più un’azione, in un deal che avrà costi di integrazione stimati in 1,3 miliardi e sinergie pari a 662 milioni per il 2023 e a 700 milioni per il 2024. Se invece il merger non dovesse avere luogo, Intesa stima -a decorrere dal 2024- sinergie per 611 milioni (circa l’87% del totale previsto) di cui 156 milioni sui ricavi e 455 milioni sui costi; per il 2023, sempre senza fusione, il numero si assottiglierebbe a 573 milioni.

I documenti analizzano poi le misure che la banca ha assunto in materia Antitrust, a partire dall’accordo per la cessione di 532 filiali a Bper, per le quali incasserà 660 milioni. Non solo. Intesa si è impegnata a stipulare, con uno o più soggetti terzi indipendenti, entro «nove mesi dalla data di pagamento dell’offerta, contratti per la cessione di complessivi 17 sportelli bancari di Ubi». Via Monte di Pietà ritiene infatti che la «cessione dei predetti sportelli bancari sia idonea a eliminare le residuali criticità antitrust evidenziate» nella fase istruttoria da parte degli uffici dell’Antitrust.

Tutto sotto controllo dunque? Non completamente. Un’eventuale autorizzazione che «prescrivesse ulteriori o diverse misure correttive potrebbe avere effetti negativi significativi sul processo di integrazione di Ubi all’interno del gruppo Intesa», spiega il prospetto. Se infatti il nuovo perimetro definito con Bper sembra aver dato una risposta alle riserve dell’Antitrust, l’ultimo aspetto da smarcare è quello della maggioranza post ops. Sembra infatti che, sollecitata sul tema dai legali di Ubi, l’authority abbia posto il problema dell’attuazione degli accordi senza il controllo dei due terzi.

Tornando alla strategia, «si tratta di un’operazione basata su solidi fondamentali, in grado di rafforzare il sistema finanziario italiano, in un contesto in cui è richiesto agli operatori di sviluppare la capacità di competere nell’interesse del Paese», ha sottolineato Messina, ricordando l’intenzione di fare 2.500 assunzioni e di erogare ulteriori 10 miliardi di crediti nel 2021-23. «La piena valorizzazione delle potenzialità presenti in Intesa e Ubi potrà permettere la creazione di valore per i soci, tramite la distribuzione di flussi di dividendi sostenibili nel tempo. A questo punto, come deve avvenire in un mercato trasparente, la parola passa agli azionisti. Al termine di questo iter spetta solo a loro decidere», ha concluso il banchiere.

Adesso che il prospetto è stato depositato, il cda di Ubi avrà cinque giorni di tempo (dunque fino a venerdì 3 luglio) per riunirsi e approntare una risposta. Proprio in vista di quella scadenza e dei prossimi passaggi tra il weekend e i primi giorni della prossima settimana sono previsti vertici tra i soci storici del gruppo, a partire dalle fondazioni. Vale la pena ricordare che proprio nei giorni scorsi sia la Fondazione Cr Cuneo che la Fondazione Banca del Monte di Lombardia si sono affidati all’advisor finanziario SocGen per meglio valutare l’ops. Una mossa che testimonia la delicatezza delle prossime mosse. Nel frattempo al deal va anche l’attenzione del mondo politico. A tenere banco in parlamento è il ruolo del fondo Parvus Asset Management su cui giovedì 25 si è concentrato un atto di sindacato ispettivo del senatore pentastellato Elio Lannutti. Ad alimentare le polemiche sono state le indiscrezioni su presunti rapporti tra Parvus e i soci storici di Ubi, anche se le ricostruzioni sono state smentite seccamente dalle parti coinvolte. (riproduzione riservata)

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