di Angelo De Mattia

Del Vecchio, già primo azionista di Mediobanca con circa il 10%, ora chiede alla Vigilanza unica di essere autorizzato a salire al 20%. Una svolta assai meno scandalosa di quello che traspare da molti commenti.
Il patron di Luxottica aveva da tempo manifestato l’intento di aumentare la partecipazione. Ma ora c’è chi indugia in dietrologie, adombrando il rischio che Mediobanca diventi francese, dimenticando che la francese Euralux era già decisiva ai tempi di Enrico Cuccia o che lo stesso Del Vecchio agisce tramite la controllante con sede in Lussemburgo.
L’operazione Del Vecchio va approfondita, ma nulla di apprezzabile è in pericolo. Si chiede chiarezza sull’assetto proprietario? E’ doveroso e legittimo. Ma perché considerare l’iniziativa come non di mercato? L’operazione deve costituire un presupposto che garantisca la sana e prudente gestione nonché la stabilità della banca. Ciò potrà comportare la necessità di una governance all’altezza, che sia formata corrispondendo ai vincoli del fit and proper, rispettando esperienza, professionalità, onorabilità, idoneità. Requisiti che valgono anche per gli azionisti al di sopra di una data percentuale di partecipazione. D’altro canto, non si conoscono per ora gli intenti specifici di Del Vecchio. Allora come spiegare allarmi e sospetti? La Vigilanza, nei termini prescritti, valuterà l’operazione. L’enorme dotazione da parte del patron di Luxottica è certamente un dato a suo favore. Chiaro deve essere il disegno anche nel «prolungamento» che riguarda le Generali nonché l’impostazione delle strategie. Ma la traduzione dell’incremento della partecipazione in una barriera nazionale certamente non può essere un elemento a sfavore, tutt’altro. Mediobanca non è più quella dell’epoca di Cuccia, quando per di più beneficiava della sua operatività tricefala (istituto di credito speciale, merchant bank e holding di partecipazioni) unica nel settore finanziario e che, per un certo tempo, ha goduto della maggioritaria partecipazione di Comit, Credit e Banco di Roma che le assicuravano una raccolta del risparmio dall’onere decisamente inferiore a quello sostenuto da qualche potenziale concorrente , quale poteva essere l’Imi.
L’evoluzione nell’operatività è stata significativa; ha comportato anche la proiezione dell’istituto nel credito al dettaglio; significativi mutamenti sono intervenuti nell’assetto proprietario. Non è più, da tempo, il salotto buono, la stanza di compensazione del capitalismo italiano, il medico curante di imprese a base di patti di sindacato e costruzioni piramidali. Non si può pensare di dividere all’infinito e principalmente con la partecipazione in Generali. Le sfide competitive aumentano. Si deve creare un nuovo equilibrio tra tradizioni che meritano di essere custodite e avanzamenti nell’agone delle trasformazioni e della concorrenza. È, questa, la sfida che si profila per chi voglia avere un ruolo importante nella proprietà e nel governo di questo istituto voluto, nel periodo immediatamente successivo al secondo conflitto mondiale, da Raffaele Mattioli. Avrebbe dovuto essere un istituto della Comit e per la Comit, ma poi con Cuccia imboccò un’altra strada. Ora si tratta di proseguire un’importante iniziativa in condizioni completamente diverse. (riproduzione riservata)

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