Pagina a cura di Nicola Pietrantoni
La società che risparmia sulla sicurezza dei lavoratori può rispondere, ai sensi del dlgs 231/01, nel caso di infortunio del dipendente verificatosi proprio a causa della violazione, da parte del datore, della normativa antinfortunistica.
La Corte di cassazione, con la sentenza n. 13575 del 5/5/2020, è tornata sul tema della sicurezza negli ambienti di lavoro e sulla eventuale responsabilità amministrativa dell’ente per il reato previsto e disciplinato all’art. 25-septies del decreto 231 («omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro»). Un tema quanto mai attuale e che può avere risvolti nei casi di lesione o decesso del dipendente a seguito di infezione Covid-19, contratta in occasione dell’attività lavorativa.

Il caso concreto della sentenza n. 13575/2020. I giudici di legittimità hanno confermato la responsabilità amministrativa della società per lesioni colpose (trauma a una mano con ustioni e ferite) subite da un dipendente, operaio con mansioni di attrezzista, mentre stava procedendo alla rimozione di materiale plastico che aveva ostruito un iniettore.
In particolare, si legge in sentenza, il lavoratore aveva compiuto quella operazione «senza indossare idonei guanti ad alta protezione termica, senza attendere che la camera calda si raffreddasse prima di procedere e con l’ausilio di una bacchetta di rame».
La società è stata ritenuta responsabile, così riportano le motivazioni, in quanto «aveva risparmiato il denaro necessario all’acquisto di guanti di protezione, non aveva curato la formazione dei lavoratori mediante appositi corsi e si era avvantaggiata per l’imposizione di ritmi di lavoro, che prescindevano dalla messa in sicurezza della macchina, tramite il raffreddamento della stessa, prima dell’intervento riparatore, in tal modo conseguendo, a scapito della sicurezza dei lavoratori, un aumento della produttività».
L’incidente, infatti, si era verificato proprio a causa di quelle gravi carenze in materia di sicurezza, riscontrate a carico del datore di lavoro, che sono state successivamente accertate nel corso del giudizio penale.

Colpa di organizzazione e interesse/vantaggio dell’ente. La responsabilità amministrativa ex 231 viene tradizionalmente individuata, sul piano soggettivo, nella cosiddetta colpa di organizzazione, fondata proprio sul generale rimprovero derivante dall’inottemperanza, da parte dell’ente, dell’obbligo di adottare le cautele organizzative e gestionali necessarie a prevenire la commissione di reati idonei a fondare la responsabilità ai sensi del decreto 231 (sentenza sezioni unite penali n. 38343/2014 «ThyssenKrupp»). Sul piano dell’imputazione oggettiva, si fa invece riferimento all’art. 5 del decreto 231, secondo cui «l’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio» dai soggetti che rivestono posizioni apicali con funzioni di rappresentanza, amministrazione o gestione, nonché dalle persone sottoposte alla direzione e alla vigilanza dei primi.
Occorre tenere presente, però, la peculiarità dei reati colposi di evento (lesioni e omicidio) conseguenti proprio alla violazione della normativa antinfortunistica che potrebbero coinvolgere la persona giuridica nell’imputazione ai sensi dell’art. 25-septies citato.
Quale potrebbe essere, infatti, l’interesse e/o il vantaggio correlato alla commissione del reato di cui all’art. 25-septies? In altre parole, come può l’evento lesione/morte del dipendente, causato dalla violazione delle cautele antinfortunistiche da parte del datore di lavoro, rappresentare addirittura un interesse o un vantaggio per la società?
La giurisprudenza, in tema di interesse e vantaggio, ha precisato che «…ricorrono, rispettivamente, il primo, quando l’autore del reato abbia violato la normativa cautelare con il consapevole intento di conseguire un risparmio di spesa per l’ente, indipendentemente dal suo effettivo raggiungimento, e, il secondo, qualora l’autore del reato abbia violato sistematicamente le norme antinfortunistiche, ricavandone oggettivamente un qualche vantaggio per l’ente, sotto forma di risparmio di spesa o di massimizzazione della produzione, indipendentemente dalla volontà di ottenere il vantaggio stesso» (tra le ultime, Cass. pen. n. 39741/2019).
Anche nella richiamata sentenza del 5/5/2020, i giudici hanno stigmatizzato proprio il risparmio di denaro, da parte dell’ente, sui necessari presidi antinfortunistici e la sua propensione a prediligere la produttività a scapito della stessa sicurezza dei lavoratori.

Casistica. La giurisprudenza, in merito al risparmio di spesa e all’aumento della produttività, ha individuato una serie significativa di violazioni: l’omessa realizzazione del Dvr/Duvri (documento di valutazione dei rischi e documento unico di valutazione dei rischi interferenti di cui al dlgs 81/08) con conseguente risparmio di spesa in ordine alle misure che dovrebbero essere previste; l’omessa attività formativa dei dipendenti circa le modalità di utilizzo di particolari macchinari, anche con riferimento alla manutenzione; il mancato acquisto dei dpi (dispositivi di protezione individuale) o la loro mancata sostituzione ove usurati; la possibilità di velocizzare gli interventi manutentivi su determinati macchinari con conseguente risparmio dei tempi di lavoro, aumento della produttività e minor scarto di materiale; l’imposizione di ritmi produttivi tali da privilegiare la velocità di esecuzione a scapito della sicurezza.

Le finalità delle norme di prevenzione. Non va dimenticato, infatti, il significato più rigoroso che viene attribuito, in sede penale, proprio alle norme di prevenzione, «… intese a tutelare non solo il lavoratore inesperto, distratto o stanco, ma anche quello esperto, il quale, assuefatto dal pericolo, coscientemente e volontariamente, confidando sulle sue capacità, abilità e esperienza, ponga in essere comportamenti funzionali alle mansioni affidategli e non eccentrici rispetto ad esse, al procedimento lavorativo e alle direttive organizzative ricevute, magari per migliorare l’attività o il prodotto, per non interrompere la lavorazione in corso, per velocizzare il lavoro, aiutare un collega o per altri motivi verificabili in concreto (Cass. pen. n. 29538/2019)».

Profili di attualità nell’emergenza Covid-19. I principi evocati dalla sentenza 5/5/2020 rivestono, almeno sul piano generale, estrema attualità, considerata l’emergenza epidemiologica che ha coinvolto, negli ultimi mesi, numerose realtà aziendali con le inevitabili implicazioni anche sul versante giuridico, in particolare penale.
Basti pensare, infatti, alle potenziali conseguenze 231 in capo alle società (non solo in termini sanzionatori, ma anche di coinvolgimento giudiziario e reputazionale), nel caso venga accertato, seppur con tutte le oggettive difficoltà che caratterizzerebbero quel tipo di accertamento, che l’infezione da Covid-19 sia stata contratta dal dipendente in occasione dell’attività lavorativa proprio a causa dell’omessa o inesatta/parziale predisposizione, da parte del datore, delle cautele previste dai recenti protocolli condivisi anti-contagio (siglati da governo e parti interessate il 14/3/2020 e poi integrati il 24/4/2020).

Presidi 231 nell’emergenza Covid-19. La delicatezza e la complessità della materia suggeriscono, nell’attuale contingenza, la piena attivazione di tutti i presidi 231, in particolare quelli previsti all’art. 30 del dlgs 81/08, norma che impone, da una parte, il monitoraggio circa l’aggiornamento delle più recenti previsioni legislative e, dall’altra, l’attuazione di tutte le misure correttive imposte dalla stessa decretazione emergenziale, la cui tracciabilità documentale può rappresentare, per la società che dovesse essere coinvolta in un accertamento giudiziario, una concreta testimonianza di come abbia operato non secondo il cosiddetto risparmio di spesa, ma in piena coerenza alle prescrizioni provenienti dalle autorità.
In questo nuovo contesto, l’organismo di vigilanza è tenuto a coordinarsi, anche attraverso l’intensificazione dei flussi normativi, con le varie funzioni aziendali e con il cosiddetto comitato di crisi (organo interno all’azienda la cui costituzione è stata prevista proprio dal citato Protocollo 14/3/2020) anche in ordine alla corretta attuazione dei nuovi protocolli anti-contagio.
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