di Claudio Plazzotta
Fino a prima dell’emergenza sanitaria la longevità era percepita come una risorsa, un valore della società italiana. Ma con il lockdown da Covid-19 la rappresentazione sociale della cosiddetta Silver economy è crollata: si è parlato di virus degli anziani, si è discusso sul fatto che fosse giusto non curarli e dare la precedenza ai pazienti più giovani, si è arrivati a ipotizzare (poi non è accaduto) che nelle fasi di ripartenza i vecchi dovessero restare chiusi in casa più a lungo. Come sintetizza, quindi, l’Osservatorio Silver economy di Censis e Tendercapital, la longevità è diventata una minaccia e un costo per la società.

Ma, in uscita dalla pandemia, cosa resta di questa regressione nella reputazione degli anziani? «Beh, rimane una ferita piccola ma profonda», risponde Francesco Maietta, responsabile delle politiche sociali del Censis, «poiché il 49,3% dei millennial ritiene ad esempio che sia giusto curare i giovani prima degli anziani. Il 35% dei millennial, inoltre, dice che c’è troppa spesa pubblica per gli anziani, in pensioni e sanità, a danno dei giovani». Si insinua, cioè, una pericolosa competizione, un conflitto tra giovani e anziani, in qualche modo corroborato pure dal fatto che «durante il lockdown il 90,7% degli over 65 anni ha continuato a percepire gli stessi redditi di prima», prosegue Maietta, «rispetto al 45% degli adulti e al 44,5% dei millennial».

Proprio per la maggiore capacità di spesa e di risparmio, tuttavia, la Silver economy continua a essere fondamentale per il sistema italiano, sia come fattore in grado di rilanciare sin da subito i consumi (agli anziani in lockdown sono mancati soprattutto gli incontri con gli amici, il parrucchiere, il barbiere, l’estetista, le passeggiate, i cinema e i teatri, i musei, le gite di un giorno, i viaggi), sia come forma di welfare privato «che ha sempre funzionato benissimo», spiega Giuseppe De Rita, presidente del Censis, «con una ridistribuzione della ricchezza molto semplice verso i figli o i nipoti».

Il governo, come racconta Pierpaolo Baretta, sottosegretario all’economia, prova a rilanciare i consumi con un abbassamento delle aliquote Iva, con una riforma del sistema fiscale, e con politiche per i giovani. Ma, gli risponde Alberto Bagnai, presidente della commissione finanze del senato, «se una policy di drastico taglio dell’Iva potrebbe avere senso, l’annuncio del taglio ha come unico effetto la diminuzione dei consumi in attesa che avvenga il taglio. Insomma, ci si dà la zappa sui piedi. È molto pericoloso aizzare una competizione tra giovani e vecchi che, soprattutto con i social media, crea poi reali fratture. Ritengo che il fenomeno sia precedente al Covid-19: segnali di fratture già erano emersi con la Brexit o con la vittoria di Trump negli Usa, quando si diceva che i vecchi non avrebbero più dovuto votare perché votano male».

Di certo, la Silver economy fino a febbraio sempre più ricca e pimpante ora sembra un po’ messa in un angolo e colpevolizzata. C’è un tracollo del sistema delle Rsa, che si è dimostrato non all’altezza. I longevi restano ancora i più ottimisti sul futuro (32,8%), rispetto agli adulti (18,1%) e ai millennial (10,4%). Ma se il conflitto generazionale dovesse inasprirsi, «vedo gli anziani mettersi sulla difensiva. E magari», conclude De Rita, uno splendido 88enne, «non cederanno la loro ricchezza così facilmente ai giovani, staranno un po’ più sulla difensiva, diventeranno più cattivi».

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