Pagina a cura di Stefano Loconte e Giulia Maria Mentasti
Sì al sequestro preventivo finalizzato alla confisca delle somme versate su un fondo pensione: è quanto stabilito dalla sentenza n. 13660/2020, con la quale la terza sezione penale della Corte di cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità di un provvedimento di sequestro preventivo avente a oggetto le somme accumulate presso un fondo pensione gestito da un’impresa assicurativa, dall’indagato nell’ambito di un procedimento penale per il reato di frode fiscale di cui all’art. 2 dlgs n. 74/2000. Secondo la Suprema corte non è da ritenersi applicabile al caso in esame la disciplina di cui all’art. 545 cpc, che prevede limiti alla pignorabilità delle somme dovute a titolo di pensione. Gli strumenti finanziari riconducibili alla categoria dei fondi pensione costituiscono piuttosto una categoria assimilabile alle assicurazioni sulla vita e, pertanto, analogamente alle somme dovute dall’assicuratore al beneficiario di una polizza vita, le somme di denaro in essi confluite soggiacciono all’ordinaria disciplina penalistica in materia di sequestro preventivo finalizzato alla successiva confisca per equivalente del profitto del reato.

Il fatto. Con ordinanza dell’8 agosto 2019, il Tribunale di Palermo rigettava la richiesta di riesame che era stata presentata dall’indagato, avverso il provvedimento di sequestro preventivo emesso dal Gip in un procedimento per frode fiscale, avente a oggetto l’ammontare giacente presso un fondo pensione sino alla concorrenza della somma pari all’importo della imposta in ipotesi accusatoria evasa per effetto della indicazione nelle dichiarazioni fiscali delle fatture passive relative a operazioni inesistenti. 


Rivolgendosi pertanto alla Suprema corte, l’indagato lamentava il fatto che il sequestro fosse stato materialmente eseguito su beni non suscettibili di essere oggetto di ablazione in quanto ricompresi in un fondo pensione, destinato alla previdenza complementare e non sottoponibile né a confisca né ancor prima a sequestro, analogamente a quanto previsto per le pensioni statali obbligatorie.


L’intangibilità del trattamento pensionistico. La norma che deve essere evidenziata al fini di inquadrare la questione sottoposta all’attenzione della Suprema corte è l’art. 545 cpc, secondo cui «le somme da chiunque dovute a titolo di pensione […] non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell’assegno sociale, aumentato della metà. 


La parte eccedente tale ammontare è pignorabile nei limiti previsti dal terzo, quarto e quinto comma nonché dalle speciali disposizioni di legge».


Tale principio, espressamente previsto in ambito civilistico, è stato esteso dalla giurisprudenza di legittimità anche alla materia penale; chiara sotto questo profilo la sentenza della Corte di cassazione n. 13422 del 27 marzo 2019, secondo la quale, richiamato il consolidato orientamento in forza del quale anche in materia di sequestro preventivo possono applicarsi i principi dettati da norme speciali in materia di limiti di pignorabilità e sequestrabilità di somme rivenienti da trattamenti retributivi e pensionistici, limiti volti a garantire i diritti inalienabili della persona, deve ritenersi che il limite stabilito in materia in impignorabilità dalla formulazione dell’art. 545 cpp possa essere esteso, sulla base dei canoni interpretativi di cui si è già detto, anche alla materia del sequestro preventivo, in funzione della tutela dei diritti inviolabili e della garanzia del minimo vitale.


Previdenza obbligatoria e complementare. Pur aderendo al predetto indirizzo, che viene nella sentenza in esame puntualmente menzionato, la Suprema Corte ha tuttavia evidenziato come tale approdo interpretativo, coniugato con la normativa sopra riportata, si collochi nell’ambito della previdenza obbligatoria, dovendosi dunque valutare, conseguenza non automatica, se sia contemplabile un’estensione tale comportare la impignorabilità (nonché la insuscettibilità a essere oggetto di sequestro preventivo penale finalizzato a una successiva confisca) anche delle somme versate quale montante per la erogazione di una pensione integrativa.


Si è rilevato, da una parte, che le somme necessarie per la loro alimentazione non sono immediatamente ricollegabili alla nozione di corrispettivo di rapporto lavorativo oggetto di accantonamento (neppure nel caso in cui essi siano stati versati, almeno in parte, dallo stesso datore di lavoro per conto dei propri dipendenti, cfr. Cass. civ., 9 marzo 2015, n. 4684), non foss’altro perché esse possono legittimamente essere versate dal soggetto interessato al conseguimento di una indennità al compimento della età pensionabile, sebbene le relative provviste non siano rivenienti dallo svolgimento di un’attività lavorativa, tanto meno subordinata.


Da altra parte, si è osservato che proprio la qualificazione attribuita a essi di strumenti per la previdenza complementare induce a escludere che, pur ritenuta la piena meritevolezza dell’interesse che sottende alla stipula di accordi di tale genere fra privato e assicuratore (meritevolezza, peraltro, indubbiamente attestata dalla specifica tipicità attribuita per via legislativa a tali forme contrattuali di previdenza e a taluni privilegi a esse connessi), essi vadano a integrare, arricchendolo e non costituendolo, quel nucleo essenziale di prestazioni che è soggetto a espressa garanzia di intangibilità sia sotto il profilo civile che sotto quello penale.


L’assimilazione alle polizze vita. Piuttosto, vuoi con riferimento alla primigenia fase di accumulo della provvista monetaria, vuoi con riferimento alla successiva fase di erogazione della periodica prestazione pecuniaria, gli strumenti finanziari riconducibili alla categoria dei fondi pensione sono stati dalla Suprema corte inquadrati come categoria assimilabile alle polizze assicurative sulla vita. 


Va pertanto richiamata la norma principe in materia, ovvero l’art. 1923 c.c., secondo cui «Le somme dovute dall’assicuratore al contraente o al beneficiario non possono essere sottoposte ad azione esecutiva o cautelare».


Tuttavia, in tale caso la giurisprudenza è pacifica nel ritenere che il divieto di sottoposizione ad azione esecutiva e cautelare stabilito dall’art. 1923 c.c. attiene esclusivamente alla definizione della garanzia patrimoniale a fronte della responsabilità civile e non riguarda la disciplina della responsabilità penale, nel cui esclusivo ambito ricade il sequestro preventivo (Cass. pen, 13 marzo 2017, n. 11945), così che il sequestro preventivo può avere ad oggetto una polizza assicurativa sulla vita. Dunque, applicando tale determinazione anche ai fondi pensione, la Cassazione ha concluso che le somme di danaro confluite nei fondi pensione siano soggette alla ordinaria disciplina penalistica in materia di sequestro preventivo dei crediti finalizzato alla successiva confisca.


Da qui il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.


© Riproduzione riservata

Fonte:
logoitalia oggi7