Lo ha stabilito la sentenza n. 12490 del 2020 emessa dalla Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione. La critica è sempre consentita ma non deve mai tradursi in una gratuita ed immotivata aggressione della reputazione altrui
di Federica Sulis e MR. OLIVIERO
La premessa
Anche se la giurisprudenza è abbastanza concorde nel ritenere che il consulente di parte può anche criticare l’operato del consulente d’ufficio, il dibattito tra dottrina e giurisprudenza si è concentrato su quali siano i limiti per poter esercitare questo diritto.
La sentenza
Richiamando anche pregressi orientamenti giurisprudenziali la Quinta Sezione Penale della Suprema Corte ha evidenziato che «ai fini del legittimo esercizio del diritto di critica, si deve tenere conto del complessivo contesto dialettico in cui si realizza la condotta e verificare se i toni utilizzati dall’agente, pur se aspri, forti e sferzanti, non siano meramente gratuiti, ma siano, invece, pertinenti al tema in discussione e proporzionati al fatto narrato e al concetto da esprimere».
La critica non puoi mai travalicare in denigrazione
La critica, dunque, non deve mai tradursi in una gratuita ed immotivata aggressione dell’altrui reputazione. Il contesto in cui la condotta si colloca, quindi, verrà valutato «ai limitati fini del giudizio di stretta riferibilità delle espressioni potenzialmente diffamatorie al comportamento del soggetto passivo oggetto di critica, ma non può in alcun modo scriminare l’uso di espressioni che si risolvano nella denigrazione della persona di quest’ultimo in quanto tale»
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