La compagnia va di corsa per presentare a luglio il piano da 500 milioni chiesto dall’Ivass. Si studia il mix tra aumento e bond. E si riparla di spa

Paolo Bedoni
di Anna Messia
Non c’è pace in Cattolica. Proprio quando, dopo mesi di scontro, era stata trovata la pace con la fronda dei soci riottosi per varare un assetto di governance condiviso (da votare con la prossima assemblea del 27 giugno), è arrivato un fulmine a ciel (quasi) sereno. Se da una parte era abbastanza prevedibile che il crollo dei mercati, unito all’impennata dello spread e all’abbassamento della curva dei tassi provocati dal coronavirus (la tempesta perfetta dei peggiori stress test) avrebbero provocato un forte calo del Solvency II di Cattolica dall’altra la richiesta di Ivass di iniettare 500 milioni di capitale è stata una doccia fredda. Il lunedì successivo alla diffusione della notizia, arrivata nel weekend del 30 maggio, il titolo della compagnia veronese ha perso il 17% in una sola seduta e ora il tempo stringe: entro luglio, il direttore generale, con deleghe di amministratore delegato, Carlo Ferraresi, dovrà presentare all’autorità il piano dettagliato per riportare il gruppo assicurativo su terreni più stabili e la partita è decisamente complicata vista l’enorme cifra in gioco e considerando che oggi la capitalizzazione di Borsa vale 655 milioni.
La compagnia presieduta da Paolo Bedoni resta l’unica assicurazione cooperativa quotata a Piazza Affari dove vige il principio di una testa un voto, nonostante negli ultimi tempi i soci istituzionali abbiano avuto qualche spazio in più, vedendosi riconosciute la possibilità di presentare una lista di capitale. Il rischio, insomma, è di metterci soldi senza poi avere la possibilità di incidere sulle strategie. E’ stato così, finora, anche per la Berkshire Hathaway di Warren Buffett che nel 2017 aveva visto in Cattolica, allora guidata da Alberto Minali, una buona occasione di investimento rilevandone il 9%, e diventando il primo azionista, quando le azioni viaggiavano a 7,35 euro. Buffett non è mai entrato in consiglio e oggi il titolo vale poco più di 3,7 euro con l’oracolo di Omaha che, almeno fino a oggi, non sta tenendo fede alla sua nomea di non sbagliare un colpo negli investimenti. Ma la partita Cattolica è ancora tutta aperta. Già allora, con l’arrivo di Buffett nel capitale, si era iniziato a immaginare per l’assicurazione veronese una maggiore spinta verso il mercato e i grandi investitori, fino a ipotizzare la trasformazione in società per azioni. Un tema che, nei mesi scorsi, è stato di nuovo tirato in ballo e che è stato motivo di scontro con Minali, messo nel frattempo alla porta a fine ottobre, con l’accusa, tra le altre, di aver tramato a una trasformazione di Cattolica in spa mentre da Verona ribadivano in ogni occasione la validità del modello cooperativo, considerato l’unico possibile. Accuse che Minali ha rispedito al mittente, arrivando a chiedere a Cattolica un maxi risarcimento danni di 9,6 milioni. Nel frattempo, però, il tema della trasformazione in società per azioni è inevitabilmente tornato di attualità. Con il passaggio alla spa sarebbe del resto più facile trovare investitori interessati alla compagnia come osservato anche nei giorni scorsi dagli analisti di Mediobanca che hanno iniziato a suggerire a Ferraresi possibili vie d’uscita per ridurre l’impatto della maxi manovra da 500 milioni. Secondo Mediobanca Securities potrebbe bastare un aumento da 350 milioni, la cui esecuzione potrebbe appunto essere favorita dal cambio di pelle a favore della spa. All’iniezione da 350 milioni potrebbe aggiungersi un bond Additional Tier 1 per altri 200 milioni calcolano da Piazzetta Cuccia. Del resto anche in Cattolica, qualche giorno prima che venisse recapita la lettera dell’Ivass, avevano iniziato a ipotizzare interventi per aumentare il Solvency II ragionando a una doppia manovra per un totale di 400 milioni: un aumento di capitale di 200 milioni abbinato all’emissione di un analogo ammontare di subordinato Tier 1, oltre a un ricorso maggiore alla riassicurazione. Tutti elementi che ora dovranno essere definiti con chiarezza nel piano da presentare all’Ivass insieme a eventuali dismissioni: sul mercato c’è Berica Vita, l’ex joint venture con Popolare di Vicenza che potrebbe portare qualche punto di Solvency. Molto potrebbe dipenderà anche dalle variazioni di mercato da qui a luglio. Per rendersene conto basta guardare Vera Vita, la jv con Banco Bpm. La compagnia, insieme a Bcc Vita, è tra le partecipare su cui si sono accesi i riflettori dell’Ivass: lo scorso 15 maggio il Solvency Ratio era sceso fino al 65% ma già oggi, grazie al recupero di tassi e spread, il valore è tornato sopra il 100%. Non ancora abbastanza visto che il consiglio ha dato mandato al management di individuare entro fine giugno misure per rafforzarlo ulteriormente, mentre su Bcc Vita, come noto, è stato deliberato un aumento di 50 milioni. Intanto da Verona hanno fatto sapere di aver prorogato per sei mesi, fino a giugno 2021, Lombarda Vita, la jv con Ubi: un portafoglio che a fine 2019 valeva 1,3 miliardi sul quale pendono però le manovre di Intesa Sanpaolo sulla banca di Bergamo. (riproduzione riservata)

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