di Angelo De Mattia
Domani entrerà in vigore il nuovo limite per i pagamenti in contanti, abbassato a 2 mila euro. Dal 1991, quando fu introdotta la prima limitazione (a 20 milioni di lire), il tetto ha subito un sali-scendi. Nella prima legge organica antiriciclaggio fu introdotto a carico delle banche anche l’onere di registrare le transazioni superiori al limite nonché di segnalare le operazioni anomale o sospette. La normativa nel tempo ha subito significative evoluzioni, soprattutto in sede europea. La fissazione di un limite è stata ritenuta da alcuni esperti una misura che concorre all’azione di contrasto del riciclaggio, dell’evasione, dei reati societari, finanche dei reati di mafia, tutti spesso alla base del riciclaggio. Altri invece si sono detti scettici. Un autorevole magistrato ha stimato inoltre in 100 miliardi di euro il contante che non emergerebbe, prevalentemente conservato – si suppone – in cassette di sicurezza in Italia o all’estero. Di qui l’opportunità, secondo una proposta, di una nuova edizione della voluntary disclosure per l’emersione del contante detenuto in forma anonima, ma anche dei capitali sommersi: un’operazione tuttavia che mutuerebbe molto dal condono con impatti – molti – negativi e altri impatti – assai pochi – positivi di ogni sanatoria, soprattutto di quelle che si ripetono. Ma è proprio la stima del contante che potrebbe emergere a dimostrare l’inefficacia o comunque il ridotto apporto delle limitazioni sinora adottate. Occorre equilibrio e realismo nel prevedere gli effetti della restrizione, cominciando con l’escludere che si tratti di un passo verso la cashless society – ancora a venire – o di un incentivo di tassazione del contante. L’emissione e la circolazione delle banconote sono funzioni fondamentali, coeve allo Stato: tassarne l’utilizzo sfiorerebbe l’assurdo, oltre alla considerazione delle rilevanti imposte che la Banca d’Italia versa allo Stato anche per il reddito monetario. Altra cosa è il progettato cashback, una forma di rimborso per chi effettui pagamenti utilizzando procedure elettroniche e per chi le mette a disposizione. In ogni caso, poiché oltre l’80% delle transazioni avviene in contanti, si conferma che la strategia dei limiti non è sufficiente. Molto dipende dal concorso di altre misure, differenziatamente per i diversi tipi di illecito (riciclaggio, autoriciclaggio, evasione fiscale, corruzione, per non dire dei reati di mafia), dal raccordo tra le diverse autorità nonché dallo sviluppo dell’educazione finanziaria e della crescita culturale che favoriscano l’estendersi dei pagamenti elettronici. Non basta di certo una norma che all’istante ci apra il percorso verso la cashless society. È in corso la progettazione di un organismo europeo dotato delle attribuzioni proprie delle Unità di Informazione Finanziaria (Uif) nazionali. È una via da percorrere con sollecitudine, di pari passo all’ampliarsi del ruolo in campo finanziario degli organi Ue e del diffondersi sul più ampio teatro europeo di operazioni che possono costituire ipotesi di illeciti. Di pari passo andrebbero rafforzati i raccordi delle Uif nazionali con gli altri soggetti aventi competenze in materia e, nel caso italiano, andrebbero rivisti l’ordinamento e la governance sui quali quest’ultima Uif si fonda come una costola di Bankitalia. Occorrono miglioramenti nel settore. Valga, per tutti un esempio. Non è ininfluente conoscere il numero delle segnalazioni anomale che le banche inoltrano all’Uif e che sta diventando ingente. Ma non basta. Occorre anche conoscere quante di queste segnalazioni sono trasmesse poi alla magistratura, quale seguito quest’ultima vi abbia dato e quali decisioni siano state eventualmente assunte dalla magistratura giudicante. Ciò anche per far sì che una grande quantità di segnalazioni finisca con il disperdere la selettività dei casi che più sicuramente possono affrontare un iter sanzionatorio. Molto è stato fatto, ma molto vi è ancora da fare. (riproduzione riservata)

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