La crescita dello spread sui Btp unita ai rendimenti negativi sui decennali tedeschi stanno determinando un calo di solvibilità delle imprese. Nel 2018 la frenata era già stata di 35 punti
di Anna Messia

Non bastava lo spread. Anche i bassi tassi d’interesse, con i titoli governativi tedeschi a 10 anni in territorio negativo (-0,26%), stanno facendo preoccupare le assicurazioni italiane. I dati a giugno non sono ancora disponibili visto che la prossima fotografia aggiornata verrà scattata con i bilanci semestrali che saranno diffusi in estate, ma tutto il settore è concorde sul fatto che nei primi sei mesi del 2019 c’è stato un ulteriore peggioramento della solvibilità rispetto a fine 2018. Già i numeri diffusi dalle imprese sul primo trimestre avevano fatto emergere il fenomeno. Nel caso di Cattolica assicurazioni , per esempio, il Solvency II è passato dal 172% di dicembre 2018 (178% ante dividendo) al 161% di fine marzo. Per il gruppo Generali la frenata è stata di dieci punti, dal 271% al 207% mentre per Unipol si è passati dal 163% di dicembre dello scorso anno al 155% di marzo. Una flessione legata a diversi fattori tra cui non solo la crescita dello spread sui titolo del debito pubblico italiano (asset d’investimento preferito dalle compagnie) che viaggia stabilmente intorno ai 250 punti.
A incidere è stata anche la discesa del tasso d’interesse free risk, che viene fissato da Eiopa che dipende dai tassi e in base la quale vengono calcolati i fondi propri delle compagnie di assicurazione ammissibili ai fini della soddisfazione del requisito patrimoniale di solvibilità. Più è basso il tasso free risk più scende il Solvency II, a parità di requisito di capitale. Da marzo (quando era intorno allo zero) il decennale tedesco è sceso ulteriormente per toccare il record negativo di -0,4 a fine maggio e risalire oggi intorno a 0,25%. Le compagnie si sono insomma ritrovate a vivere sulla loro pelle uno sfidante stress test sui tassi d’interesse e i numeri dei bilanci semestrali diranno quanto saranno state in grado di resistere all’esame. Un fattore che aveva pesato pure sui dati del 2018 come ha evidenziato l’analisi sulle prime 20 compagnie italiane elaborata dallo studio Carlino, Costanzo & Associati (tabella qui sopra).

La situazione per il settore, visto nella sua interezza, resta di tranquillità, con un Solvency II medio che a dicembre dello scorso anno era del 208%, pari cioè a più di due volte il minimo regolamentare richiesto dalle autorità di controllo. Ma in dodici mesi si è avuto un taglio medio di 35 punti base dell’indice. «A pesare è stato sia il calo del tasso risk free (che a settembre 2018 era pari a +0,6%, ndr) sia la risalita dello spread sui Btp, con i mezzi propri delle compagnie analizzate che sono scesi di circa l’8%», commenta Stefano Carlino, partner fondatore dello studio Carlino, Costanzo & Associati. Analizzando la tipologia di rischio quello che incide di si più sul requisito patrimoniale di solvibilità «è quello di mercato, che considera il tipo di investimenti effettuati dalle compagnie e che pesa per il 74,8%», continua Carlino, aggiungendo che, rispetto al 2017 «è anche salito il peso del rischio di sottoscrizione, dal 38 % al 40%, che rappresenta la probabilità di dover pagare un sinistro». Il panorama appare poi piuttosto variegato. La compagnia che ha subito il calo maggiore del Solvency II tra quelle analizzate da Carlino, Costanzo & Associati è stata Bipimme Vita che ha visto l’indice scendere di oltre 100 punti, dal 392 al 287%, rimanendo però tra i più alti del mercato, pari a oltre 2,8 volte il minimo richiesto. Forte è stata anche la frenata di Eurovita (-86 punti) che a fine dicembre 2018 aveva un indice Solvency II sceso al 114%, mentre Cattolica è passata dal 254% a 185%. E c’è chi dopo il taglio agli indici di solvibilità subìto alla fine dello scorso aveva raggiunto un valore molto vicino al minimo richiesto dal regolatore, come la francese Groupama (107%) oppure  Aviva Vita  (108%). Sulle compagnie italiane resta poi pendente la questione della difficoltà di utilizzare il volatility adjustment, un meccanismo di aggiustamento che ha l’obiettivo di ridurre gli effetti della volatilità sul Solvency II e che in Italia avrebbe dovuto avere la funzione di scudo contro la crescita dello spread.

Peccato che in questi primi anni di attività si sia rivelato uno strumento molto rigido, inadatto per mitigare i rischi. Un correttivo, anche se parziale, è stato introdotto in aprile, quando a capo della commissione Econ c’era Roberto Gualtieri che è riuscito ad ottenere un abbassamento della soglia di attivazione del volatility adjustment. La modifica normativa deve però essere ancora pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale Europea (la data prevista è settembre-ottobre) e poi dovrà essere recepito dal legislatore italiano, si spera prima di dicembre in modo da poter essere utilizzato per i bilanci 2019. Per ora l’unica novità già operativa sul volatility adjustement è stata negativa per l’Italia: l’Eiopa ha rivisto il portafoglio titoli da prendere a riferimento per calcolare il correttivo riducendo il peso dei Btp. Il risultato finale è stato che far scattare lo strumento lo spread deve essere un po’ più alto che in passato. (riproduzione riservata)

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