Generali scende in campo con otto boutique, Arca fa gola ad Anima, Poste si riorganizza e Mediobanca punta su Kairos. Come cambia la mappa dell’asset management nella nuova stagione del m&a
di Roberta Castellarin e Paola Valentini

L’industria del risparmio gestito è a un bivio. E l’Italia non fa eccezione. Da una parte i gestori devono fare i conti con le pressioni sui margini e la concorrenza dei fondi passivi a basso costo, come ha sottolineato un report di Goldman Sachs sull’asset management europeo, oltre, situazione specifica per l’Italia, all’ingresso di nuovi player sul mercato che puntano a conquistare una fetta della ricchezza degli italiani, stimata in circa 10 mila miliardi di euro, grazie al loro noto elevato tasso di risparmio.
E dall’altra cresce il bisogno di consulenza finanziaria specializzata soprattutto per i grandi patrimoni alle prese con tassi bassi e mercati sempre più incerti che spingono a esplorare nuove aree cercando soluzioni di investimento alternative nei cosiddetti private market, ovvero al di fuori dei mercati pubblici delle azioni e dei bond quotati. Non a caso la raccolta del risparmio gestito ha avuto in questi primi mesi del 2019 una battuta d’arresto, anche in Italia. In questo contesto le strade per difendere le posizioni e crescere sono due: specializzarsi con boutique di asset management di nicchia, oppure puntare tutto sui volumi per competere con giganti esteri del calibro di Blackrock che in Italia ha raggiunto il sesto posto nella classifica dei maggiori gestori con 71 miliardi di masse e una forte spinta ottenuta grazie ai suoi Etf.

Gli stessi fondi passivi low cost sono gli strumenti che hanno reso anche Vanguard un colosso mondiale del settore. Il gruppo Usa, pur essendo sbarcato in Italia da pochi mesi, sta creando più di un problema a tutti i gestori attivi. Le dimensioni di queste due case di gestione sono la chiave del loro successo perché i grandi volumi, soprattutto dei fondi passivi e degli Etf, permettono di macinare commissioni in maniera più efficiente di quanto riescano a fare gli operatori di medio piccole dimensioni non specializzati su specifiche asset class. Senza dimenticare che, come rileva Morningstar, soltanto il 30% dei fondi azionari europei ha battuto il proprio benchmark a un anno, (dati a fine aprile 2019) meno di quanto lo hanno fatto a cinque anni (33%). «La crescente difficoltà a generare rendimenti da parte dei gestori attivi continuerà a sostenere il passaggio dei flussi verso gli investimenti passivi», rileva Goldman Sachs. E, secondo l’investment bank, l’imminente risiko dell’asset management, con una nuova stagione di fusioni e acquisizioni, serve proprio per difendere i margini e crescere. Quali le mosse dei big? Generali è oggi la prima nella classifica per patrimonio gestito in Italia con quasi 500 miliardi grazie alla parte assicurativa, ma il solo business dei fondi comuni aperti è ben poca cosa (84 miliardi) e per tale motivo gruppo è deciso a svilupparsi anche in questo segmento.

Data la sua anima di assicuratore e la lontananza dal mondo delle gestioni passive, la compagnia ha scelto di creare una piattaforma multi-boutique nel wealth management partendo dall’estero e poi applicando la stessa strategia in Italia. Dopo aver investito in società specializzate negli Usa e in Europa il gruppo guidato dal ceo Philippe Donnet ha annunciato ad aprile il lancio della sua prima boutique italiana di gestione del risparmio. ThreeSixty Investments sgr, questo il nome della start up che si specializzerà nel multi-asset, con un’offerta sia retail che istituzionale e ha alcuni partner di rilievo. Accanto alla compagnia triestina, nella nuova iniziativa figurano alcuni nomi noti nel panorama dell’asset management, a partire da Giordano Lombardo, ex ad di Pioneer Investments fino al passaggio di quest’ultima società da Unicredit a Amundi tre anni fa. Giordano è l’ad di ThreeSixty Investments. Per Lombardo «il futuro della gestione attiva passa da un nuovo approccio integrato, che vada oltre la distinzione tra asset class tradizionali ed alternative». La strategia di asset management di Generali ha l’obiettivo di costruire una delle prime cinque multi-boutique del mondo dal punto di vista dei ricavi. Da maggio 2017, quando il gruppo ha iniziato a sviluppare la sua politica di crescita nell’asset management prima in Europa e poi a livello globale, la sua piattaforma è arrivata oggi a comprendere otto boutique e cinque di loro (tra cui la stessa ThreeSixty Investments) sono coordinate da Generali Investment Partners (Ip) sgr, che vede come ceo Carlo Trabattoni. Questa sgr nei giorni scorsi si è rafforzata con alcune nomine di peso. Anna Maria Reforgiato Recupero, nel gruppo dal 2017 ed ex Morgan Stanley e Goldman Sachs, è stata promossa head of Strategic investors group (il team che rappresenta il punto di riferimento per tutte le società e le unità di asset management del gruppo Generali nella gestione dei rapporti con partner e clienti). Arriva invece proprio da Blackrock Guido Maistri entrato in Generali Investment Partners come senior sales con il compito di sviluppare i canali retail, private banking e di consulenza finanziaria sul mercato italiano.

La forte spinta delle Generali nella gestione del risparmio è anche una risposta a big del calibro di Amundi, primo asset manager in Europa, che oggi in Italia è arrivata a detenere 190 miliardi, facendo un salto notevole dopo aver acquisito Pioneer da Unicredit che le ha portato oltre 140 miliardi solo nel mercato italiano. Peraltro, tre anni fa, nella short list per rilevare Pioneer c’era anche la stessa Generali , oltre che Poste. La zampata della sgr francese guidata in Italia dall’ad Cinzia Tagliabue ha innescato una reazione a catena tanto che Poste, oggi quarta con 177 miliardi, si sta rafforzando nell’asset management, sotto la guida dell’ad Matteo Del Fante. Il gruppo ha scelto di procedere tramite accordi di collaborazioni con gestori esterni, tra cui Eurizon e soprattutto Anima . L’alleanza con quest’ultima società, che gestisce alcuni fondi e polizze collocate dagli uffici postali, risale al 2015 e a fine 2017 Poste le ha affidato in delega anche i portafogli assicurativi di ramo I (gestioni separate) delle polizze di Poste Vita fino ad allora in capo alla sgr di gruppo, Banco Posta Fondi.
Il gruppo guidato dall’ad Marco Carreri ha così acquisito masse per oltre 70 miliardi arrivando a detenere asset per quasi 180 miliardi. La partnership tra Poste e Anima è stata estesa fino al 2033. Dal canto suo a inizio gennaio di quest’anno Poste è salita alla quinta posizione nell’industria (81 miliardi) perché ha realizzato una mega operazione infra-gruppo nel segmento delle gestioni di portafoglio istituzionali. Alla sgr Banco Posta Fondi è stato conferito un mandato per la gestione del patrimonio di Bancoposta e delle riserve di Poste Vita per un totale di circa 53 miliardi. Nuove mosse all’orizzonte anche per Anima visto che il gruppo nelle scorse settimane ha confermato che è pronto a esaminare operazioni di aggregazione sia in Europa, ma anche in Italia, a partire da Arca sulla quale sono in corso le grandi manovre. Bper , come ha scritto MF Milano Finanza, è pronta a valorizzare la sua partecipazione nella sgr del 57% e il cda del prossimo 13 giugno dovrà esaminare le varie opzioni: quotazione, apertura del capitale a nuovi soggetti o integrazione con un partner industriale per il quale si fa proprio il nome Anima . Che tra l’altro è quotata ed è di fatto una public company con il 75% di flottante (il gruppo Banco Bpm ha il 14,6% e Poste Italiane il 10,3%), come lo è diventata anche Fineco dato che Unicredit ha appena dimezzato la sua quota del 35% rendendo il gruppo guidato dall’ad Alessandro Foti indipendente. Le operazioni di consolidamento sono spinte anche dall’effetto Mifid II e dalla rivoluzione tecnologica che sta spingendo i gruppi a cercare economie di scala. Il mercato guarda con attenzione anche al dossier Kairos dopo l’uscita del fondatore Paolo Basilico. Il gruppo è controllato da Julius Baer e in corsa per l’acquisto ci sarebbero Mediobanca , che ha intrapreso un percorso di forte crescita nel wealth management, e il fondo di private equity Usa Ta Associates. Peraltro, accanto ad Arca, lo stesso Carreri ha anche aperto a un aggregazione con Mediobanca («non sarebbe una follia»).

Intanto sempre a proposito di operazioni straordinarie il mercato si chiede quali saranno le prossime mosse di Generali sulla controllata Banca Generali , perché venerdì 24 maggio, nel corso dell’investor day a Londra, il direttore generale del Leone, Frédéric de Courtois, ha detto di essere molto soddisfatto della sua performance, aggiungendo però che «una quota del 51% è insolita» per la storia della compagnia. Parole che hanno aperto ragionamenti sui possibili scenari per il futuro della banca guidata dall’ad Gian Maria Mossa. «Ricordiamo che fino ad ora, Generali ha tipicamente mostrato la preferenza a detenere una quota del 100% per le controllate strategiche più significative», hanno osservato gli analisti di Equita Sim.
Secondo Banca Imi il top manager sta lasciando aperte diverse opzioni sul tavolo, compreso il fatto di scendere sotto la soglia attuale. Banca Akros, invece, fa un ragionamento opposto: il gruppo di Trieste con 1,3 miliardi di euro può rilevare le quote di minoranza di Banca Generali , salendo quindi al 100%. Intanto l’istituto negli ultimi mesi ha fatto due acquisizioni, anche se di piccola taglia, rilevando la boutique italiana Nextam e quella svizzera Valeur arrivando a gestire 63 miliardi. Una taglia poco maggiore di quella della storica concorrente Azimut (oltre 55 miliardi di masse) che per ora si è tenuta fuori dal risiko italiano dell’asset management e ha ribadito la volontà di focalizzarsi sulla crescita internazionale portata avanti in modo sistematico negli ultimi anni, tanto che oggi all’estero Azimut detiene quasi il 30% delle masse gestite. E queste ultime nel 2018 hanno raggiunto120 milioni di ricavi (+27% rispetto al 2017) su un totale di gruppo di 748 milioni.
La società presieduta da Pietro Giuliani ha fatto diverse acquisizioni di società di asset management di piccola taglia, ma con potenziale di crescita, soprattutto nel sud est asiatico e in Australia. «Azimut , che da sempre, grazie alla sua indipendenza e alla sua capacità di innovazione, è stata first mover nel mercato, oggi si vede rafforzata dalle scelte fatte per diversificare rispetto al maturo mercato italiano: Paesi emergenti e investimenti alternativi. Due pilastri del nuovo piano industriale che presto presenteremo al mercato», ha spiegato Giuliani nel corso dell’Investor Day del 4 giugno a Londra. Proprio l’espansione nei mercati emergenti è una delle carte da giocare per avere un ulteriore sviluppo dato che in questi mercati l’aumento della ricchezza è maggiore. Come emerge dal nuovo report annuale sul wealth management di Oliver Wyman e Deutsche Bank . Lo studio, intitolato Out of the pit stop-into the fast lane, descrive le sfide che dovrà affrontare il wealth management nel 2019, dopo un 2018 che si è rivelato difficile sotto diversi fronti.
Secondo questa analisi, nel 2018 la crescita globale della ricchezza del segmento high net worth (ovvero dei clienti con maggiori disponibilità) ha rallentato ed è scesa al 4%. Un minor incremento delle masse, mercati più sfidanti e una continua compressione delle commissioni ha portato a un declino del valore del settore del wealth management. La pressione sui margini osservata nell’ultimo trimestre del 2018 ha evidenziato poi la vulnerabilità dei modelli operativi in fasi di stress. Il rimbalzo visto nel primo trimestre del 2019 ha portato sollievo, ma ulteriori pressioni saranno inevitabili con l’avvicinarsi della fine del ciclo.
«Per ottenere una crescita superiore alla media, servire i mercati sviluppati non sarà sufficiente. Con l’aumento delle pressioni sui margini e sui costi in questi mercati, la crescita sarà trainata dai mercati emergenti», ha sottolineato Kai Upadek, resposnabile del wealth management di Oliver Wyman. E in questo contesto sarà favorito chi avrà puntato sull’Asia. «Il principale fattore di differenziazione sarà la capacità di far leva sullo sviluppo dell’Asia», commenta Kinner Lakhani, head of european equity research & european banks strategist di Deutsche Bank . Tra i big italiani nel risparmio gestito c’è soltanto Eurizon che ha una presenza in quest’area.Oltre all’espansione all’estero, che richiede dimensioni adeguate e importanti investimenti, l’altra strada da percorrere per contrastare la contrazione dei margini è quella di puntare su un contenimento dei costi e uno spostamento dell’offerta verso prodotti più sofisticati che giustifichino maggiori commissioni.
Nelle asset class tradizionali il ruolo di fondi passivi e indicizzati è destinato a crescere ulteriormente. Qui quindi la pressione sulle fee continuerà e solo chi avrà grandi masse potrà stare sul mercato. Nella gestione attiva saranno tre le principali aree di sviluppo, ossia quelle delle strategie che puntano sulle asset class illiquide, l’offerta di gestioni costruite su misura per chi dispone di grandi patrimoni e, infine, le strategie che si propongono di offrire obiettivi di rendimento assoluto. Nel primo caso, quello dei prodotti che investono in attivi non quotati, rientrano i fondi di private equity, private debt, specializzati nelle infrastrutture o nell’immobiliare. Si tratta di strategie che permettono di contare su rendimenti attesi più elevati, ma richiedono un orizzonte di medio lungo periodo e l’impegno a non liquidare la posizione prima della scadenza del prodotto. E sono quindi di una tipologia di prodotti adatta alla clientela con patrimoni elevati. Possono rientrare in questo gruppo, per esempio, gli Eltif (European Long Term Investment Funds). In prima fila nell’offerta di questi prodotti c’è Eurizon. La società di gestione guidata dall’ad Tommaso Corcos ha lanciato da pochi mesi il fondo Eltif Eurizon Italian Fund. (riproduzione riservata)
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