Può aiutare chi assiste i clienti a comprendere al meglio le loro esigenze, in particolare quelle dei millennials
I big data rendono Amazon, Facebook, Google potenziali concorrenti
di Sergio Governale

Il mondo del private banking sembra resistere ancora al fascino della digitalizzazione a tutto tondo, ma la velocità con cui si sta avvicinando all’intelligenza artificiale e ai big data lascia prevedere che in un tempo relativamente breve l’indissolubile relazione personale col cliente, punto di forza del comparto, potrebbe uscirne stravolta. Questo secondo numerosi studi accademici e di settore made in Usa, che da anni studiano il fenomeno. E le principali banche «private» italiane e internazionali, pur non ammettendolo definitivamente, guardano alle nuove tecnologie con attenzione crescente.
Il motivo è semplice. Dovranno piegarsi all’innovazione se vorranno restare competitive per le persone con un elevato patrimonio netto (Hnwi-High net worth individuals) o con un valore ultra alto (Uhnwi-Ultra high net worth individuals), in particolare per i millennials, sempre connessi e che vogliono essere più coinvolti e informati sulle opportunità di investimento e su come vengono generati i rendimenti rispetto alle generazioni precedenti.
I potenziali concorrenti degli istituti private si chiamano Amazon, Google e Facebook, ancora non attivi nei servizi finanziari, ma che stanno lanciando le monete elettroniche, come Libra nel caso del gruppo di Mark Zuckerberg. Questi colossi detengono una quantità sconfinata di dati relativi alle abitudini e alle preferenze di tutti noi e potrebbero utilizzare i big data per entrare nel settore. Anche i super ricchi eseguono infatti ricerche su Google, utilizzano Facebook e acquistano merci su Amazon. L’obiezione che viene mossa dai private banker tradizionali è che una cosa è comprare cose di largo consumo sul web e un’altra cosa è acquistare beni raffinati e durevoli, come pelletteria, orologi o gioielli. Nel qual caso gli Hnwi restano fedeli ai marchi storici del lusso come Gucci, Rolex o Cartier.
Oggi si è compreso, invece, che l’intelligenza artificiale è indispensabile per aiutare le banche a comprendere meglio i clienti, i loro desideri, i mercati e il panorama competitivo per fare le scelte giuste e costruire un’offerta sostenibile. La Mifid II introduce per esempio una nuova serie di regole per proteggere ulteriormente gli investitori e richiede alle banche di capire meglio i profili di investimento dei loro clienti e dei rischi. Ma gli istituti non sanno sempre cosa vogliono costoro, anche quelli abituati a fare da maggiordomo alle famiglie ultra facoltose, perché nessun questionario potrà profilare una persona meglio di un algoritmo che si basa sull’analisi comportamentale. Intelligenza artificiale, quindi, non solo applicata alla gestione dei portafogli, alle chatbot e ai roboadvisor. Per attrarre una nuova generazione di clienti e nuovi tipi di persone facoltose, banche e gestori patrimoniali devono dunque capire cosa cercano e di cosa hanno bisogno con strategie di marketing estremamente personalizzate. Come stanno cercando di fare i big del lusso. Perché alla fine anche gli istituti sono marchi e una banca Apple o Google attrarrà clienti semplicemente per il brand.
Se alla fine i private banker tradizionali obietteranno che ai super ricchi piacciono sempre di più gli investimenti diretti in società reali, l’ultimo baluardo che presuppone conoscenze personali e rapporti di fiducia, l’intelligenza artificiale risponderà loro coi fatti: solo la percezione veicolata sui social che le persone hanno di qualsiasi attività imprenditoriale può determinare il successo o meno di un investimento di private equity. (riproduzione riservata)

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