Nonostante in un mese abbia perso un quarto della capitalizzazione, la società tiene nel mirino Arca o un player Ue di pari taglia. Parla l’ad Carreri
di Andrea Cabrini

Un’importante operazione all’estero con un partner delle stesse dimensioni. E poi piani di m&a in Italia e nuove strategie per crescere nella distribuzione e nella capacità di gestione. Anima risponde a un maggio di passione in borsa rilanciando sulla crescita. La sgr, che ha 175 miliardi di masse in gestione e come principali azionisti Banco Bpm (15%), e Poste (10%), ha visto il titolo scendere in un mese da 3,55 a 2,71 euro, perdendo quasi un quarto del valore. L’amministratore delegato Marco Carreri spiega in questa intervista a ClassCnbc le risposte in cantiere e anticipa la sua decisione di investire nel titolo.
Domanda. Carreri, il bilancio per Anima da inizio anno è pesante. Come lo spiega?
Risposta. Innanzitutto gran parte del nostro flottante è nelle mani di investitori istituzionali esteri, che negli ultimi mesi hanno «tolto il piede» dal Paese Italia e in particolare dalle mid-cap come Anima . Ma dopo i dati della trimestrale il target price è stato confermato a circa 4,8 euro dalle 11 case di ricerca che ci seguono.
D. La situazione però non è migliorata.
R. C’è anche una percezione errata del nostro titolo. Veniamo correlati per oltre il 90% all’indice delle banche italiane, come se Anima fosse un proxy delle banche. Ma noi non abbiamo le complessità dei giganti del credito, né una struttura dei costi molto rigida né un tema di lending e di assorbimento di capitale.
D. In comune con le banche avete il problema della redditività. Sulle vostre masse i margini sono scesi da una media di 24 punti base nel 2018 ai 16 di oggi.
R. Credo che la società abbia anticipato un trend chiarissimo di compressione dei margini. L’abbiamo gestito aumentando i volumi, i quali, moltiplicati per i margini, ci rendono redditizi. Il primo trimestre si è chiuso in linea con lo scorso anno, con 80 milioni di commissioni nette e 20 di costi. I punti di margine che abbiamo perso li abbiamo recuperati con il risparmio sui costi. Il nostro costo di produzione è oggi intorno ai cinque punti base, il che ci pone ai vertici per efficienza in Europa
Inoltre il 75% dei ricavi continua a venire dai segmenti istituzionali, che sono stati e saranno per Anima il vero motore di crescita.
D. Intanto però da inizio anno la vostra raccolta è negativa. E si è spostata su prodotti di liquidità.
R. I dati di aprile sono stati negativi per tutta l’industria e ci attendiamo raccolta negativa anche a maggio. I deflussi, circa 360 milioni, sono in linea con la quota di mercato di Anima , pari al 9-9,5%. La clientela ha assunto un atteggiamento attendista per l’instabilità. Oggi la liquidità rappresenta circa un terzo della ricchezza finanziaria italiana. Sono soldi in cerca di collocazione. E ciò rappresenta uno straordinario motore di crescita dell’industria.
D. Far cambiare approccio ai risparmiatori non sarà facile.
R. Certamente, ma dipenderà anche dalle banche. La liquidità ha rappresentato per loro un bacino utile di raccolta nel primo trimestre in attesa di capire le nuove linee Bce. Ora che il nuovo Tltro è stato confermato le banche sono più serene. Per dare un’idea, nel primo trimestre sono stati collocati dall’industria bancaria 5,2 miliardi di Certificates contro gli 1,7 dell’anno scorso. Quindi quei 3,5 miliardi sono flussi in qualche modo dirottati verso prodotti alternativi al risparmio gestito
D. Lei parla da tempo di crescere con acquisizioni. Siete ancora convinti ?
R. Non siamo obbligati a fare operazioni straordinarie. Tutte quelle che abbiamo fatto negli ultimi dieci anni hanno avuto un obiettivo molto chiaro: ampliare il network distributivo e rafforzare le competenze gestionali. Vogliamo continuare su questa strada. Inoltre abbiamo una posizione finanziaria netta che ci permette di non dover ricorrere ad aumenti di capitale per portare avanti operazioni di questo genere.
D. Nel frattempo però la capitalizzazione è scesa. Non rischiate di diventare preda sul mercato ?
R. Quando sei public company, con il 75% di flottante, essere in qualche modo preda è nella natura delle cose. La capitalizzazione di oggi rende più ripida la strada per essere aggregatori, ma l’impegno del management è di proseguire in quella direzione.
D. Mi faccia un nome.
R. Un’operazione naturale, che sarebbe in totale continuità con il percorso che da 10 anni stiamo perseguendo, è quella di aggregarci con Arca. Siamo interessati a sederci al tavolo, ma chiaramente i matrimoni si fanno in due. Però non nascondo che guardiamo anche a possibili combinazioni con operatori europei di dimensioni similari a noi per un’aggregazione in cui ognuno porti il suo contributo: le nostre capacità nel retail e il nostro grande network distributivo da una parte, le eventuali capacità di gestione da parte di altri operatori dall’altra.
D. Sarà entro l’anno?
R. Non abbiamo fretta.
D. Poste e Banco Bpm condividono questa prospettiva internazionale di crescita?
R. Per adesso è un pensiero dell’amministratore delegato, va prima condiviso con il cda e poi eventualmente con gli azionisti. Però questo è un pensiero di chi prova a guardare delle soluzioni un po’ più di lungo termine. (riproduzione riservata)

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