di Pierre de Nolac

Solo il 36% delle aziende nel mondo è preparato a gestire la propria reputazione con strumenti, capacità e risorse adeguate. E solo il 15% imposta le proprie strategie di business alla luce delle evidenze sulla reputazione aziendale. I dati presentati ieri dal direttore del Reputation Institute, Fabio Ventoruzzo, la dicono lunga sul percorso ancora da fare su un terreno sempre più imprescindibile per la competizione sul mercato. Se ne è parlato nel corso del convegno, organizzato nel ciclo Hdrà Talk dall’agenzia di comunicazione Hdrà e da Ferpi, dal titolo «Dangerous Reputation, la reputazione aziendale nell’era digitale», che ha portato all’attenzione i casi paradigmatici di Ferrero, Ferrovie dello Stato e Tim.

Grande attenzione all’online, ma anche all’offline. «Gestire la reputazione nel tempo delle fake news e della connessione permanente», secondo il presidente di Hdrà, Mauro Luchetti, «non significa dover essere attivi solo sui social». Niente di più vero: Raoul Romoli Venturi, communication and public relation director della Ferrero, ha spiegato come è stato gestito il caso più spinoso degli ultimi anni: la presunta nocività dell’olio di palmta. «Quando si subiscono attacchi di contenuto rispondere sul digital non è ideale. Abbiamo ribaltato la situazione con una banalissima conferenza stampa, facendo leva su una reputazione costruita in settant’anni di storia. Abbiamo schierato tutti gli esperti, abbiamo chiamato tutta la stampa e il giorno dopo ne abbiamo raccolto i frutti». Sarebbe sbagliato, però, creare una cesura netta tra media digitali e media tradizionali. «La dicotomia offline-online è pane quotidiano, ma è anche un gioco di vasi comunicanti», spiega Elisabetta de Grimani, head of web strategy di Ferrovie dello Stato. «Ci siamo resi conto che se scegliamo in anticipo un ambiente o l’altro ne paghiamo le conseguenze. Stiamo costruendo un ecosistema digitale che sia specchio e contraltare di quello che c’è offline. La nostra narrazione vive sul momento, specie in contesti critici. E non potremmo farlo se non attraverso il digital».

La reputazione si costruisce attraverso condotte e rapporti che si consolidano negli anni, ma basta poco per intaccarla. In certi contesti va sviluppata costantemente. «Nel nostro caso», chiarisce Mariano Tredicini, head of digital communication di Tim, «la reputazione si misura con i fatti, giorno per giorno. Noi gestiamo le crisi ascoltando attentamente la rete e sfruttando le potenzialità di ascolto attraverso il digital. Esistono diverse dashboard e figure professionali alle quali ci affidiamo, come i data scientists e i data analysists, che permettono lo studio delle conversazioni e l’estrazione non del sentiment in quanto tale, positivo o negativo, ma delle opinioni realmente espresse». Grazie ad applicazioni specifiche e innovative, alcune delle quali illustrate da Ori Amir, head of online reputation del gruppo israeliano Dstech-Percepto, il punto di vista degli utenti e in generale delle persone si fa algoritmo e acquisisce un peso specifico. Da questo dato le imprese devono partire se vogliono gestire davvero la propria reputazione.
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