La Cassazione: banche responsabili, ma il danneggiato deve provare di essere immune da colpe

Pagine a cura di Luciano De Angelis e Christina Feriozzi
Può sussistere la responsabilità della banca che finanzi un’impresa insolvente e ne ritardi perciò il fallimento, nei confronti dei terzi i quali, in ragione dell’affidamento bancario, abbiano confidato nella sua solvibilità e quindi continuato a intrattenere rapporti contrattuali con essa. Perché ciò sussista, tuttavia, deve essere provato che i terzi non fossero a conoscenza dello stato di difficoltà dell’affidato e che tale mancanza di conoscenza non fosse imputabile a colpa.
È quanto ha recentemente affermato la Suprema corte di cassazione (Cass. 14-05-2018, n. 11695), che emana un principio in tema di abusivo ricorso al credito.
Il caso. Una società, controllata da altra società, viene sottoposta a procedura di amministrazione straordinaria. Il commissario straordinario, in rappresentanza della società quale creditore danneggiato, intenta un’azione di responsabilità nei confronti della banca finanziatrice della società controllante, rea a suo dire, di avere ritardato il fallimento della controllante a causa dei finanziamenti alla stessa accordati.
In virtù del ritardo nella dichiarazione di insolvenza (sempre secondo il commissario) la società controllata aveva continuato a intrattenere rapporti di affari con la controllante nei confronti della quale aveva maturato un ingente credito ammesso al passivo concorsuale, solo in via chirografaria.
Secondo i giudici di prime cure e la Corte d’appello, il presupposto dell’azione risarcitoria promossa dall’appellante risulta essere l’ignoranza incolpevole del creditore circa la situazione di insolvenza del debitore. Situazione questa inammissibile nel caso di specie, data la sostanziale identificazione dei soggetti che, di fatto, dirigevano le attività delle due società (controllata e controllante) e che avevano ingenerato nella banca false convinzioni in ordine alla solvibilità dell’impresa sovvenuta. Difficile credere, inoltre, che all’interno di un gruppo la holding ricorra al prestito bancario e la controllata, si lamenti di essere stata fuorviata dal comportamento condiscendente della banca, senza il quale avrebbe troncato i rapporti di affari con la società madre.
La posizione della Cassazione. Da un lato, si legge nella motivazione non vi è dubbio che la banca che continui a finanziare l’impresa insolvente anziché avviarla al fallimento «offre agli operatori di mercato una sensazione distorta, ingannandoli sulle reali situazioni dell’impresa finanziata e inducendoli a continuare a trattare con essa, come se fosse un’impresa sana, con la conseguenza che il suo fallimento viene artificiosamente ritardato con grave pregiudizio per la posizione di tutti i creditori: di quelli anteriori al fallimento tardivo, perché dovranno concorrere con altri creditori e riusciranno a recuperare una somma inferiore a quella che avrebbero riscosso, se il fallimento fosse stato dichiarato tempestivamente; dei creditori posteriori, perché essi a loro volta non avrebbero concesso credito, se il debitore fosse tempestivamente fallito».
Ma se è vero che in detti casi si potrebbe ipotizzare una responsabilità della banca sul fatto illecito fonte di pregiudizio, ciò vale ma solo se e in quanto l’affidamento che il danneggiato (imprenditore tratto in inganno) riponga nella condotta altrui sia immune da colpa, non potendo l’ordinamento tutelare le ragioni di chi per effetto della propria negligenza abbia abdicato al principio di auto responsabilità. In altri termini, può sicuramente affermarsi nell’illecito finanziamento a una società non meritevole, la responsabilità dell’istituto di credito affidatario, fonte di pregiudizio per il terzo, ma solo se la società danneggiata sia immune da colpa. Ciò sicuramente non è riscontrabile nel caso in commento poiché appare ben difficile ritenere che la società controllata, legata «a doppio filo» alla controllante e amministrata dalle stesse persone, fosse ignara dello stato di insolvenza di quest’ultima e abbia continuato i suoi rapporti con la controllante unicamente per la mancata conoscenza dello stato di decozione in cui verteva quest’ultima.
In virtù di quanto sopra, la Suprema corte respinge il ricorso del commissario straordinario della controllante ed enuncia il seguente principio di diritto: «In materia di concessione abusiva del credito, sussiste la responsabilità della banca che finanzi un’impresa insolvente e ne ritardi perciò il fallimento, nei confronti dei terzi, che in ragione di ciò abbiano confidato nella sua solvibilità e abbiano continuato a intrattenere rapporti contrattuali con essa allorché sia provato che i terzi non fossero a conoscenza dello stato di insolvenza e che tale mancanza di conoscenza non fosse imputabile a colpa».
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