Il Presidente della COVIP – Commissione di vigilanza sui fondi pensione – Mario Padula, ha presentato ieri l’annuale relazione sull’attività della Commissione, fornendo il quadro del settore dei fondi pensione e delle casse professionali e illustrato le iniziative dell’Autorità per rendere il sistema sempre più trasparente e flessibile, a tutela degli iscritti, avanzando alcune proposte.

“La previdenza complementare può rafforzare il proprio ruolo, svolgendo in modo ancora più significativo di oggi una funzione di supporto al sistema previdenziale di base. La RITA (rendita integrativa temporanea anticipata) già dimostra come sussistano margini per ripensare la tutela previdenziale in un’ottica ancora più integrata e sinergica.
Tra i bisogni delle società che invecchiano spiccano quelli di cura e assistenza: a una logica di sussidiarietà al primo pilastro risponde la sanità integrativa che, diversamente dalla previdenza complementare, non risulta adeguatamente regolata né efficacemente vigilata”, ha detto.

Alla fine del 2016, le forme pensionistiche complementari sono 452: 36 fondi negoziali, 43 aperti, 78 piani individuali pensionistici (PIP), 294 preesistenti e FONDINPS. Rispetto al 2015 il numero si è ridotto di 17 unità (10 fondi preesistenti e 7 fondi aperti).

I fondi pensione con più di 100.000 iscritti sono 15, oltre la metà ha meno di 1.000 iscritti; di questi, il 90% è costituito da fondi pensione preesistenti.

Permangono spazi per una ulteriore concentrazione del settore che consentirebbe assetti organizzativi più efficienti.

Alla fine del 2016, il totale degli iscritti alla previdenza complementare è pari a circa 7,8 milioni. Le adesioni sono cresciute del 7,6%.

Rispetto all’anno precedente, gli iscritti ai fondi negoziali sono aumentati del 7,4%. Anche al netto delle adesioni contrattuali, l’incremento risulta positivo per la prima volta dal 2008. Nei fondi pensione aperti l’aumento è stato del 9,5%, il più elevato degli ultimi anni, mentre i PIP “nuovi” hanno registrato una crescita del 10,3%; includendo anche i vecchi PIP, il segmento dei prodotti assicurativi raggiunge il 42% degli iscritti complessivi.

Gli iscritti ai PIP “nuovi” sono quasi 2,9 milioni, (a cui si aggiungono 430 mila dei “vecchi” PIP); ai fondi negoziali sono 2,6 milioni, 1,3 milioni quelli ai fondi aperti e 650.000 ai fondi preesistenti.

In riferimento alla condizione professionale, aderiscono alla previdenza complementare 5,8 milioni di lavoratori dipendenti, di cui 200 mila del settore pubblico, e 2 milioni di lavoratori autonomi.

Il tasso di adesione permane sensibilmente più basso tra le donne e i giovani, al Sud e nelle Isole.

Grazie al nuovo sistema delle segnalazioni elaborato dalla COVIP, per la prima volta è stato possibile quantificare puntualmente le duplicazioni delle posizioni, ovvero i soggetti che aderiscono contemporaneamente a più di una forma pensionistica. I casi di adesione multipla sono circa 620.000.

Ne consegue che, alla fine del 2016 gli iscritti effettivi al sistema della previdenza complementare sono stimabili in circa 7,2 milioni, vale a dire il 27,8% delle forze di lavoro.

A fine 2016, il patrimonio delle forme pensionistiche complementari ha superato i 151 miliardi di euro, in aumento del 7,8% rispetto al 2015. Rappresenta il 9% del PIL e il 3,6% delle attività finanziarie delle famiglie italiane.

I contributi raccolti nell’anno ammontano a 14,2 miliardi di euro, di cui il 75% confluisce nelle forme previdenziali di nuova istituzione. Il flusso dei contributi destinato ai fondi pensione aperti e ai PIP è cresciuto dell’11%. Minore è invece l’incremento nei fondi negoziali, pari al 3,4%.

Il flusso di TFR versato ai fondi pensione, pari a 5,7 miliardi di euro, costituisce il 40% circa dei flussi contributivi destinati alla previdenza complementare.

Rimane diffuso il fenomeno delle interruzioni contributive soprattutto fra i fondi aperti e i PIP. Nel 2016 ha interessato quasi 2 milioni di iscritti, prevalentemente lavoratori autonomi.

L’ammontare delle prestazioni nel corso del 2016 è stato pari a 6,9 miliardi di euro, sostanzialmente analogo all’anno precedente: 2 miliardi sono stati erogati in forma capitale e circa 700 milioni in rendita. Le altre voci di uscita della gestione previdenziale riguardano i riscatti per 1,6 miliardi di euro e le anticipazioni, che si sono attestate a 2 miliardi di euro, sostanzialmente come lo scorso anno.

A fronte di un andamento positivo dei titoli azionari e obbligazionari nei principali mercati mondiali, nel 2016 i risultati delle forme pensionistiche complementari sono stati positivi per tutte le tipologie di forma e di comparto.

I rendimenti medi, al netto dei costi di gestione e della fiscalità, si sono attestati al 2,7% nei fondi negoziali e al 2,2% nei fondi aperti; per i PIP “nuovi” di ramo III, il rendimento medio è stato del 3,6%; le gestioni separate di ramo I hanno reso il 2,1%. Nello stesso periodo il TFR si è rivalutato, al netto delle tasse, dell’1,5%.

Su un periodo di osservazione più ampio (2008-2016), comprensivo delle fasi di turbolenza dei mercati finanziari, il rendimento netto medio annuo dei fondi pensione negoziali è stato del 3,4%, quello dei fondi aperti del 2,9%; nei PIP è stato del 3% per le gestioni di ramo I e del 2,2% per le gestioni di ramo III. La rivalutazione del TFR è stata del 2,2%.

Rispetto ai costi, i PIP sono i prodotti più onerosi: su un orizzonte temporale di dieci anni l’ISC (indicatore sintetico dei costi) è in media del 2,2%; nei fondi pensione negoziali è dello 0,4% mentre nei fondi pensione aperti dell’1,3%.

L’allocazione degli investimenti

L’allocazione del patrimonio è rimasta sostanzialmente stabile rispetto allo scorso anno. Il 61% è investito in titoli di debito, per i tre quarti costituiti da titoli di Stato. Il 16,3% è costituito da titoli di capitale e il 13,5% da OICR. Gli investimenti immobiliari, in forma diretta e indiretta, rappresentano il 3,3% del patrimonio e riguardano quasi esclusivamente i fondi preesistenti.

Gli investimenti in attività domestiche ammontano a circa 35 miliardi di euro pari a poco meno del 30%.

Gli investimenti in titoli emessi da imprese italiane rimangono limitati: 3,4 miliardi di euro, circa il 3% delle attività, di cui 2,3 miliardi formati da obbligazioni e 1 miliardo da azioni. Rimane concentrata in Italia la quasi totalità degli investimenti immobiliari.

Nel confronto internazionale, i fondi pensione italiani mostrano una minore propensione a investire in titoli di emittenti domestici. Tra le cause figurano: benchmark di mercato in cui l’Italia ha un peso contenuto; difficoltà nella valorizzazione e nella liquidabilità di strumenti non quotati; basso livello di capitalizzazione del mercato azionario e limitato numero di imprese quotate.

Le recenti misure di agevolazione fiscale per gli investimenti a lungo termine previste per i fondi pensione e casse professionali possono rappresentare uno stimolo.