di Stefania Peveraro
Condurre un’inchiesta sulle donne ceo più pagate di Piazza Affari, così come ha fatto nei giorni scorsi il Wall Street Journal per analizzare l’analoga situazione americana, è improponibile. Semplicemente perché le donne alla guida di società quotate in Italia quasi non ci sono. Unica eccezione: Monica Mondardini, ceo del gruppo L’Espresso e di Cir . In Italia, prima ancora di chiederci se le donne con ruoli di amministratore delegato o comunque di capo azienda operativi sono più o meno pagate degli uomini, bisogna trovarle, queste donne. MF-Milano Finanza ci ha provato e il risultato è nella tabella qui accanto. Una cinquantina di profili distribuiti tra donne a capo delle divisioni italiane di gruppi internazionali corporate o finanziari, donne a capo di aziende di famiglia, donne che si sono fatte strada in aziende industriali italiane. Un puzzle colorato di esperienze diverse che hanno portato a posizioni di comando passando per storie e background differenti, molto diverse da quelle che portano di norma ai vertici gli uomini.

Lo ha spiegato molto bene a MF-Milano Finanza Alessandra Perrazzelli, country manager di Barclays in Italia, probabilmente l’unica donna in posizione di vertice operativo in una banca nel Paese. «Ci sono dei canali privilegiati molto ben definiti che tradizionalmente portano i talenti maschili a posizioni di vertice in azienda nel mondo e anche in Italia. Parlo delle grandi multinazionali della consulenza o di università e business school eccellenti», dice Perrazzelli, sottolineando che «se è vero che anche le donne hanno accesso alle medesime scuole e alle medesime case di consulenza, nella pratica poi non vengono coinvolte nel network di relazioni che in quei luoghi si forma su base strettamente maschile. Sarà forse anche perché gli uomini sono abituati da più tempo a riunirsi in club, a fare gruppo. Per questo le donne che emergono non lo fanno quasi mai grazie al fatto di aver sfruttato una rete di relazioni nata da un background di formazione comune».

Ma ci sono delle caratteristiche simili alle donne che in Italia sono riuscite a occupare posizioni apicali in azienda? Prosegue Perrazzelli: «Sì, direi che si potrebbero individuare tre fattori. Da un lato sicuramente un grande impegno. A una donna è richiesto di essere molto più competente di un uomo per raggiungere la medesima posizione in azienda. E questo vale in Italia come all’estero. E poi in certi settori la difficoltà è moltiplicata. Mi riferisco alla finanza, perché dove c’è il denaro c’è il potere e lì le donne al vertice sono davvero pochissime. Non sto parlando soltanto dell’Italia. È un fatto che riguarda tutto il mondo, anche quello anglosassone».

In effetti in Italia è molto più facile vedere donne in posizioni di controllo nel mondo della finanza, ma quasi mai di capo azienda. Perrazzelli è appunto un’eccezione. Così come lo sono Marina Mantelli, ceo di Credit Agricole Assicurazioni; o Alessandra Gritti, ad della holding di investimento quotata a Piazza Affari, Tamburi Investment Partners; oppure Antonella Pagano, country manager di Lindorff, uno dei principali gestori e investitori nel settore dei non performing loan in Europa ed ex responsabile del settore npl di PwC in Italia.
Ci sono invece parecchie donne in ruoli di garanzia, spesso consiglieri indipendenti nei cda di banche e sgr. Oppure ci sono donne che hanno fondato una loro attività nel settore, come Roberta Benaglia, ad di Style capital sgr, nuovo nome di Dgpa sgr, la società di gestione di fondi di private equity di cui Benaglia era già in parte socia e che ha acquisito del tutto. Altri esempi di donne imprenditrici della finanza sono Giovanna Dossena, fondatrice del veicolo di investimento Avm e associati; oppure Antonella Negri-Clementi, fondatrice di Global strategy, boutique di consulenza strategica aziendale.
Qualche altra eccezione comunque c’è anche agli alti livelli di controllate italiane di colossi finanziari internazionali. Per esempio Claudia Parzani, country manager Western Europe per lo studio legale internazionale Linklaters, è stata nominata di recente presidente di Allianz Italia. Ma appunto qui veniamo anche al secondo fattore per avere successo come manager. Perrazzelli sottolinea che «avere alle spalle un’esperienza importante a livello internazionale è un vantaggio cruciale per salire di posizione». Infine «c’è la propensione all’innovazione. Le donne hanno spesso successo in azienda laddove la tecnologia avanza e modifica i business. Le donne riescono a raggiungere posizioni apicali spesso laddove devono fare da apripista a nuovi modelli».
In effetti su questo ultimo fronte, va segnalato il fatto che Barbara Cominelli, direttore commercial operations & digital di Vodafone Italia, è stata l’unica rappresentante dall’Italia nella top 50 per il 2016 delle donne più influenti d’Europa nel settore tecnologia compilata da Inspiring Fifty. Per Cominelli si è trattato di un bis in quella classifica. Mentre un’altra italiana, Paola Bonomo, oggi business angel e consigliere indipendente in varie aziende, è stata sino all’anno scorso a capo del global marketing per il Sud Europa di Facebook.

Ma il punto è che in Italia va fatta cultura all’interno delle aziende per studiare dei processi che facilitino la carriera delle donne. Proprio con questo scopo Perrazzelli nel 2009, quando ancora era head of international regulatory & antitrust affairs di Intesa Sanpaolo e amministratore unico di Intesa Sanpaolo Eurodesk, si è fatta promotrice, insieme ad altre manager, della fondazione di Valore D, la prima associazione di imprese che promuove la diversità, il talento e la leadership femminile per la crescita delle aziende, di cui Perrazzelli è stata il primo presidente dal 2010 al 2013. «Siamo partite in un momento favorevole, perché era anche il momento del dibattito che ha poi portato alla legge sul’introduzione delle quote di genere nei cda e devo dire che da allora le cose sono cambiate in Italia».
E non solo nelle grandi aziende: «Rispetto a qualche anno fa è molto più comunque che le redini delle aziende di famiglia vengano prese dalle figlie femmine invece che dai maschi, come accadeva in precedenza», osserva ancora la country manager di Barclays.

Così nell’elenco delle donne in posizioni apicali in azienda troviamo, per esempio, oltre alle classiche Marina Berlusconi, Emma Marcegaglia e Azzurra Caltagirone , anche nomi come quello di Michela Cattaruzza, triestina, che dal 2014 è amministratore delegato del gruppo armatoriale Ocean Team, fondato 52 anni fa dal padre, il comandante Luigi.
Più facile trovare donne capo azienda nelle controllate italiane di multinazionali. È questo il caso per esempio di Marianna Vintiadis, country manager di Kroll Italia, Grecia, Spagna e Portogallo; di Luisa Arienti, ad di Sap Italia ed ex country manager di Siebel Italia; di Valeria De Fiore, general manager di Kao Italy, controllata del gruppo cosmetico multinazionale giapponese Kao ed ex general manager di la Prairie Italia; di Laura Donnini, ad di Harper Collins Italia ed ex amministratore delegato di Rcs Libri; di Giovanna Manzi, ad di Best Western Italia.
Anche L’Oréal Italia fino a inizio aprile aveva un presidente e amministratore delegato donna, Cristina Scocchia, che peraltro negli ultimi mesi era stata indicata da Andrea Bonomi come la manager alla quale avrebbe affidato la guida della catena internazionale di profumerie The Body Shop, attualmente controllata di L’Oréal, nel caso in cui Investindustrial avesse vinto l’asta per aggiudicarsene il controllo. È di venerdì 9 giugno, però, la notizia che in trattative riservate con la multinazionale cosmetica francese è entrato ora il gruppo brasiliano Natura Cosmeticos, che avrebbe valutato il business un miliardo di euro.
Per completare l’elenco non bisogna dimenticare le donne italiane a capo di aziende all’estero. L’esempio classico è Ornella Barra, che insieme al marito Stefano Pessina guida il colosso delle farmacie Walgreens Boots Alliance.
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