di Paolo Bonolis*
Gli effetti, ormai ineluttabili, della Brexit sono destinati a mutare in modo radicale il mercato europeo dei servizi di investimento, bancari e finanziari.
Banche e intermediari costituiti nel Regno Unito, molti dei quali appartenenti a gruppi extracomunitari (soprattutto nordamericani e asiatici) che avevano scelto Londra quale porta d’ingresso per l’Unione Europea, non potranno più dare un passaporto per i Paesi Ue ai propri servizi, in base alla disciplina semplificata dettata dalle direttive comunitarie, e saranno quindi costretti a ottenere una specifica autorizzazione secondo le regole dei singoli Paesi.

Non è infatti attualmente prevista una disciplina autorizzativa armonizzata all’interno dell’Unione Europea per lo svolgimento di tali servizi da parte di operatori extra-Ue, e ogni Paese membro è libero di regolamentare i criteri di accesso al proprio mercato interno. La normativa italiana per esempio richiede un’autorizzazione da parte della Banca d’Italia o della Consob, a seconda della natura del soggetto extra-comunitario richiedente, perché lo stesso possa operare in Italia. L’autorizzazione è necessaria a prescindere dalla classificazione, quali investitori professionali o retail, dei soggetti cui il servizio è destinato.

A differenza di altri Paesi Ue, in Italia è possibile ottenere l’autorizzazione ad operare anche in via transfrontaliera e quindi non è obbligatorio costituire una succursale per prestare servizi bancari e di investimento nel nostro territorio. Vi sono maggiori limitazioni, invece, per lo svolgimento di servizi finanziari da parte di soggetti non bancari.

La normativa tedesca prevede alcune esenzioni a tali obblighi per gli operatori extra-Ue, specialmente se i destinatari dei servizi sono clienti non retail. La Francia impone la costituzione di una succursale e l’ottenimento di una specifica autorizzazione a prescindere dalla natura dei destinatari dei servizi.
La Brexit comporterà quindi sostanziali modifiche nel modello organizzativo degli intermediari britannici e dei grandi gruppi extraeuropei che hanno costituito il proprio quartier generale a Londra, i quali non solo dovranno ridisegnare le proprie strategie di approccio alla clientela europea, ma dovranno anche gestire i rapporti già instaurati con tale clientela, facendoli migrare dalle società nel Regno Unito a entità costituite nel Paese prescelto.

Tale processo di migrazione può avvenire attraverso la trasformazione in società di una (o più) delle succursali costituite nei Paesi europei o il trasferimento a società comunitarie del gruppo, in essere o di nuova costituzione, dei rapporti con i clienti esistenti, mediante conferimenti e/o cessioni di azienda o di rapporti giuridici in blocco, come per esempio previsto in Italia dall’art. 58 del Tub. Inoltre, a partire dal gennaio 2018, ossia dall’entrata in vigore della Mifid II, gli operatori aventi sede in Gran Bretagna potranno optare per la costituzione di succursali in uno o più Paesi europei per «passaportare» i propri servizi di investimento nell’Ue, piuttosto che costituire nuove banche o intermediari.

Qualora gli operatori britannici abbiano già succursali in Paesi dell’Ue, potranno quindi trasformarle da comunitarie in extracomunitarie, tramite procedure autorizzative semplificate, in modo da poter prestare i propri servizi in tutta l’Unione Europea da tali succursali. È da notare che la nuova disciplina introdotta dalla Mifid II troverà applicazione solo nell’ambito dei prodotti e servizi di investimento, mentre per gli altri servizi bancari, finanziari e assicurativi (tranne alcune eccezioni) l’operatività di banche e intermediari britannici sarà soggetta alla disciplina autorizzativa attualmente esistente per gli operatori extracomunitari. È tuttavia possibile che, nell’ottica di salvaguardare la continuità operativa delle molte entità finanziarie britanniche già stabilite ed operanti nel territorio europeo, vengano adottate misure agevolate per minimizzare l’impatto della Brexit.

In tale contesto, molti gruppi bancari e finanziari stanno valutando quale sia la più valida alternativa a Londra post Brexit, e allo stesso tempo la Commissione Ue, i governi e le autorità dei Paesi Ue più accreditati per subentrare alla capitale britannica come hub finanziario per operare nell’Unione Europea, hanno allo studio procedure autorizzative semplificate e rapide per agevolare tale processo di migrazione. Al contempo alcuni Paesi, tra cui l’Italia, hanno implementato misure soprattutto di natura fiscale volte ad attrarre i manager di tali gruppi, poco propensi a trasferirsi in città che non hanno lo stesso appeal di Londra. (riproduzione riservata)
*partner, studio legale
e tributario Cms
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