di Stefano Loconte e Luca Giancola

Per il Regno Unito un futuro da paradiso fiscale. All’indomani del voto che sancisce la definitiva uscita dalla scena europea del popolo d’oltremanica, si susseguono gli interrogativi circa la nuova identità del Regno Unito, anche sul fronte della fiscalità internazionale. Se si considera che molti governi europei (fra gli altri Olanda, Finlandia, Lussemburgo e Malta) competono per attrarre investimenti offrendo generosi sconti fiscali nonostante aderiscano all’Ue, è verosimile pensare che il Regno Unito, a seguito della uscita dall’Unione possa diventare un «nuovo paradiso fiscale». E infatti evidente che in assenza dei pregressi vincoli posti dalla Ue, la Gran Bretagna sarà certamente più libera di introdurre politiche fiscali più favorevoli rispetto ai precedenti partner europei.

Ciò premesso, non è detto che la fuoriuscita dall’Ue della Gran Bretagna debba necessariamente vanificare gli sforzi profusi dalla comunità internazionale per contrastare il diffuso fenomeno elusivo della cosiddetta «pianificazione fiscale aggressiva», da parte di aziende che abusano del diritto per conseguire un mero risparmio d’imposta. Il progetto di contrasto all’evasione fiscale internazionale meglio noto come Beps, rappresenta un piano d’azione di origine politica, autonomamente condiviso dai più importanti paesi a livello mondiale (è il caso di Regno Unito, Stati Uniti, Germania, Francia e Italia), reso necessario dalla consapevolezza che l’erosione della base fiscale e lo spostamento dei profitti, trovano la loro linfa vitale nelle asimmetrie impositive dei vari sistemi tributari, generando quei fenomeni di doppia non imposizione in relazione ai quali l’architettura della fiscalità internazionale non sembra, allo stato attuale, in grado di contrastare.

In quest’ottica, come anticipato, l’uscita dell’Inghilterra dall’Ue non comporterà necessariamente l’abbandono degli sforzi profusi anche da tale paese nel contrasto alle pratiche fiscali evasive ed elusive nell’ambito dell’Ocse.

Occorre tuttavia precisare, che mentre la Brexit non avrà rilevanti effetti su buona parte delle azioni promosse dal progetto Beps (i.e. maggior «trasparenza» delle attività delle multinazionali attraverso l’introduzione di una documentazione dettagliata paese per paese in modo da limitare il rischio di pratiche aggressive di transfer pricing, scambio di informazioni tra le amministrazioni finanziarie dei paesi interessati ecc.) potrebbe comportare un maggiore impatto sotto il profilo del cosiddetto «treaty shopping», ossia il tentativo dei contribuenti di sfruttare i vantaggi tributari consentiti dalle convenzioni contro le doppie imposizioni o dai trattati internazionali in un paese in cui non sono fiscalmente residenti.

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