di Carlo Giuro
Il rilancio della previdenza complementare costituisce uno degli obiettivi che il Governo intende perseguire sia per favorirne la diffusione sia per incrementarne il concorso alla copertura del gap previdenziale, in considerazione di possibili progetti in tema di decontribuzione per rilanciare in maniera strutturale l’occupazione. Tra i diversi profili oggetto di attenzione (revisione plafond di deducibilità, riduzione aliquota di tassazione sui rendimenti, governance) meriterebbe attenzione il tema dei fondi pensione del pubblico impiego poco sviluppati rispetto a quanto necessario.
Attingendo ai dati riportati nella recente Relazione annuale della Covip i dipendenti pubblici aderenti a previdenza complementare sono circa 174 mila, di cui 171 mila ai fondi negoziali (Espero per i lavoratori del comparto della scuola e Perseo Sirio per i dipendenti della pubblica amministrazione e della sanità) e 3.200 ad alcuni fondi preesistenti su un totale di 3,3 milioni di dipendenti, pari a un tasso di adesione del 5,2%. Considerando che dal punto di vista del sistema obbligatorio i dipendenti pubblici sono equiparati ai dipendenti privati, essendo previsto il metodo di calcolo contributivo, questi soggetti sono esposti al medesimo rischio previdenziale ragion per cui diventa sempre più importante avviare un percorso di integrazione. Di fondo, così come con riferimento alle altre categorie di lavoratori, vi è sicuramente un tema di educazione previdenziale anche in considerazione della specificità del rapporto di lavoro con la presenza del Tfs (il Trattamento di fine servizio) da trasformarsi in Tfr (Trattamento di fine rapporto) in caso di adesione a previdenza complementare. In questa prospettiva va ricordato come nell’accordo condiviso il 15 gennaio scorso tra Aran e confederazioni sindacali e nel successivo Contratto Collettivo Nazionale Quadro sottoscritto definitivamente il 25 maggio 2016 in materia di trattamento di fine rapporto e di previdenza complementare per i dipendenti pubblici, si contempli anche l’utilità di adottare nuove iniziative per accrescere la cultura previdenziale. Va ancora considerata la non completa copertura della platea da parte dei fondi pensione contrattuali. Non sono per esempio destinatari di fondi collettivi il personale cosiddetto non contrattualizzato (magistrati, prefetti, diplomatici, avvocati dello Stato, professori universitari) e il personale militare. Tema delicato è la differente disciplina di riferimento dei fondi pensione del pubblico impiego rispetto a quanto avviene per i fondi pensione adeguati alla nuova normativa di cui al decreto 25/2005. La differenza si riflette sui meccanismi di funzionamento dello strumento previdenziale anche con impatti sulla semplicità di percezione da parte del potenziale aderente. Vi è infatti ancora la distinzione tra pensione di vecchiaia e di anzianità così come differente è il meccanismo delle anticipazioni. Ai dipendenti pubblici non si applica poi il meccanismo del silenzio assenso anche per effetto della virtualità del Tfr. Da sottolineare i profili fiscali. Un dipendente pubblico che aderisse in forma individuale a un fondo pensione aperto o un pip avrebbe i benefici previsti dalla nuova normativa (deducibilità fiscale fino a 5164,57 euro all’anno, tassazione dei rendimenti al 20%, imposta sostitutiva sulle prestazioni del 15% che si riduce dello 0,30 per ogni anno di durata superiore al quindicesimo fino a un minimo del 9%). Se invece aderisse a un fondo pensione di comparto del pubblico impiego come Espero e Perseo Sirio entrerebbe nel perimetro delle disposizioni precedenti. Il limite di deducibilità è allora pari al minore tra il 12%, 5.614,57 euro e il doppio del Tfr versato a fondo pensione. Con riferimento alle prestazioni, la rendita concorre parzialmente a formare il reddito complessivo del pensionato, in quanto non è tassata per la parte corrispondente ai contributi non dedotti e ai redditi già assoggettati a tassazione. Con riferimento poi alla quota capitale, se gli importi liquidati in capitale non superano un terzo del montante maturato dall’associato, l’imposta si applica sul maturato, al netto dei rendimenti già tassati e dei contributi eccedenti i limiti di deducibilità fiscale. Sarebbe il caso i omogeneizzare i trattamenti per non creare situazioni di iniquità e ulteriore complessità. (riproduzione riservata)
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