di Paola Valentini
Si fanno più chiari i contorni dell’operazione Ape, l’anticipo pensionistico studiato dal governo per permettere ai lavoratori di ritirarsi con qualche anno di anticipo rispetto ai normali requisiti. Con una novità: non ci sarà più la decurtazione dell’assegno anticipato. La platea di riferimento, almeno in prima battuta, resta quella delle persone nate tra il 1951 e il 1953, ovvero i penalizzati dalla riforma Monti-Fornero del 2012 che ha costretto molti lavoratori, allora vicini al traguardo della pensione, a restare in attività anche per cinque-sei anni. Interessati sia i dipendenti privati, sia probabilmente anche i lavoratori pubblici. Confermato anche il coinvolgimento degli intermediari finanziari nell’anticipo della pensione. Nei piani del premier Matteo Renzi ci sarebbe poi la previsione di prorogare di anno in anno l’Ape che via via coinvolgerebbe i successivi trienni di nascita, con disposizioni ad hoc varate di volta in volta per evitare che Bruxelles, che tiene sotto stretto controllo i conti dell’Italia, si metta di traverso.

Erogare la pensione a migliaia di lavoratori prima della maturazione dei requisiti significa per lo Stato un’uscita di cassa che, con un debito pubblico elevato, è oggi insostenibile. Non a caso il ministro del Lavoro Giuliano Poletti nei giorni scorsi ha rassicurato le autorità europee, sottolineando che l’Ape avrà «un impatto minimo» sul debito pubblico, stimabile in circa 500-600 milioni, perché l’esborso dello Stato sarà limitato ai disoccupati con pensioni basse. Per gli altri prepensionati l’anticipo sarà erogato sotto forma di finanziamento dalle banche. Mentre in caso di esodi decisi dalle aziende, queste si dovranno far carico del costo dell’assegno anticipato. «Trattandosi di una anticipazione finanziaria attraverso il sistema bancario, la finanza pubblica non c’entra», ha detto Poletti. Nella legge di Stabilità per il 2017 dovrebbe quindi essere prevista la manovra che permetterà, a partire dal prossimo anno, ai nati compresi tra il 1951 e il 1953, di accedere al pensionamento anticipato fino a circa tre anni rispetto all’età di 66 anni e 7 mesi richiesta per la pensione di vecchiaia. Secondo il piano delineato da Tommaso Nannicini, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, l’assegno sarà erogato direttamente dall’Inps, che si farà dare le risorse dalle banche. Una volta maturati i requisiti per la pensione, chi ha chiesto l’anticipo dovrà poi iniziare a restituire alla banca, sempre attraverso l’Inps, l’importo ottenuto con rate mensili (comprensive di interessi) per un periodo fisso di 20 anni.
La rata è quindi il prezzo che il pensionato deve pagare per essersi ritirato in anticipo perché decurta la pensione piena. Nannicini ha sottolineato infatti che non ci sarebbe «nessuna penalizzazione sulla pensione anticipata, c’è solo la rata che è una penalizzazione in sé, ma nient’altro. Si tratta di uno schema flessibile, modulato. Non c’è il 4-5% per tutti, la rata non è regressiva, ma progressiva».
La decurtazione potrebbe essere quindi compresa tra il 3 e il 5% per chi ha redditi bassi, mentre salirebbe all’aumentare del reddito. A questo proposito è infatti previsto un meccanismo di detrazioni più accentuate per chi guadagna meno che permetterà di ridurre la somma da rimborsare, ovvero il taglio dell’assegno. Le detrazioni potrebbero anche servire per attutire il mancato versamento di contributi dovuto all’anticipo. La questione è ora quindi proprio quella di cercare di capire a quanto ammonterà la pensione al netto delle rate da restituire. Secondo i calcoli della Uil, chi deciderà di andare in pensione con tre anni di anticipo rispetto all’età di vecchiaia potrebbe avere un taglio netto dell’assegno fino a circa il 20%. Il dato della Uil si basa su un tasso di interesse fisso al 3%. Con una pensione di 2.500 euro netti e un tasso di interesse al 3% la rata sarebbe di 499 euro al mese, in pratica il 20% dell’assegno originario (il prestito infatti ammonterebbe a 97.500 euro). Se si guarda alla pensione lorda, spiegano al sindacato, il taglio per l’anticipo di tre anni dovrebbe essere intorno al 15%. Restano comunque criticità e punti da chiarire. Per far luce sul tema Mf-Milano Finanza ha chiesto alla società di consulenza finanziaria indipendente Progetica una simulazione su due fasce di reddito (1.500 euro e 3 mila netti al mese), perché i risultati sono proporzionali.
Le situazioni simulate sono l’età di pensionamento e la pensione netta mensile senza l’anticipazione e l’ammontare dell’assegno ricevuto in forma di prestito, pari alla pensione derivante dall’anticipo che varia tra 12 e 40 mesi in funzione dell’età. E’ stata calcolata anche la riduzione dovuta al minor numero di anni di contribuzione e ai minori coefficienti di trasformazione in rendita: questo taglio oscillerebbe tra il 2,5 e il 10,3%. Sulla base di questi dati Progetica è arrivata quindi a stimare l’ammontare della pensione dopo il prestito, al netto della rata di restituzione di quest’ultimo. «Per la stima della rata è stato considerato un tasso di interesse dell’1,5% con rata costante e piano di ammortamento alla francese», afferma Andrea Carbone di Progetica. I risultati? «La pensione percepita per i 20 anni di restituzione del prestito sarebbe ridotta di una percentuale compresa tra il 7,6% ed il 26%», prosegue Carbone.
L’analisi si è concentrata anche sull’elaborazione della ricchezza a vita media, un indicatore di sintesi che considera sia la minor pensione, sia i tre anni nei quali si percepisce il prestito. «In questo caso il costo dell’anticipo di tre anni, per via dei meccanismi del sistema contributivo e degli interessi, sarebbe compreso tra il 3 e l’11,8% per i casi simulati», sottolinea Carbone.
L’analisi di Progetica non considera il costo dell’assicurazione che garantisce la restituzione del prestito qualora il pensionato decedesse prima dei 20 anni. La speranza di vita media è di 19 anni per un pensionato di 66 anni e 11 mesi. Tale copertura potrebbe essere a carico dello Stato oppure del pensionato, ma ancora la faccenda non è chiara. «Quanto simulato si riferisce a un lavoratore che potesse scegliere se continuare a lavorare o anticipare il momento della pensione. Diversa sarebbe la condizione di chi si trovasse a scegliere tra continuare a non percepire un reddito, in quanto inoccupato, o ricevere subito un assegno pensionistico, anche se ridotto», conclude Carbone. (riproduzione riservata)
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