Dalla scivolata alla sedia contesa, fioccano le condanne
di Giuseppe Mantica

Arrivano, sempre più numerosi in Cassazione, i giudizi di responsabilità in ambito scolastico dai quali emerge l’orientamento di censurare le situazioni prive di misure preventive idonee ad evitare l’evento dannoso.

Di recente la Suprema Corte è stata chiamata a giudicare su svariati casi tra i quali la caduta di uno studente nel pavimento bagnato, l’incidente di un alunno in attività extracurriculari, la palla calciata da un ragazzo che ha colpito in faccia un docente.

Le tre situazioni avevano provocato seri danni alle vittime che per ottenere risarcimento hanno spinto le loro ragioni fino al Giudice di legittimità.

Il primo caso è stato deciso con la sentenza n. 3695 del 25 febbraio 2016 che ha ravvisato l’addebito della scuola in punto di prevedibilità di un evento (seppur non voluto) e nella carenza di adeguata prevenzione.

Era accaduto in una scuola friulana che un’alunna si fosse provocata delle lesioni scivolando nel pavimento bagnato pressi i servizi.

Il ministero si era difeso riferendo che l’acqua sul pavimento non aveva origine da operazione di pulizia e facendo intendere che essa era presente per uno scorretto uso di rubinetti e lavandini, tuttavia restava provato che le condizioni del pavimento erano tali prima dell’ingresso dell’alunna caduta, tanto faceva dedurre che l’ingresso dell’alunna poteva e doveva essere evitato (da parte del personale scolastico; ad esempio ponendo il segnale bifacciale giallo di pericolo).

La Corte ha ammonito che la scuola ha l’obbligo di vigilare sulla sicurezza e l’incolumità dei ragazzi nel tempo in cui essi fruiscono delle prestazioni, dovendosi comprendere anche la cura dell’idoneità dei luoghi.

Il danneggiato ha solo l’onere di provare che l’evento cagionante si è verificato durante il momento scolastico, tanto a prescindere che sia invocata la responsabilità contrattuale (il cosiddetto “contatto sociale”) che quella extracontrattuale. La considerazione, poi, che l’allagamento del pavimento del bagno e degli spogliatoi comuni sia cosa frequente ne esclude l’eccezionalità e l’imprevedibilità quali esimenti di responsabilità per la scuola.

Anche per un’altra situazione la Cassazione con la sentenza n. 23202/15 ha accolto il ricorso dei genitori rinviando al giudice di appello affinché rivaluti il fatto (un alunno era caduto nell’atto di sedersi perché si contendeva la sedia con una compagna) secondo il principio che, in tema di responsabilità civile dei maestri e dei precettori, per superare la presunzione di responsabilità che grava sull’insegnante, è necessario dimostrare che sono state adottate, in via preventiva, tutte le misure disciplinari o organizzative idonee ad evitare il sorgere di una situazione di pericolo causativa dell’evento e che, nonostante l’adempimento di tale dovere, il fatto dannoso, solo per la sua repentinità e imprevedibilità ha impedito un tempestivo ed efficace intervento.

Diverso esito ha avuto invece il caso di una professoressa di educazione fisica colpita al volto da una pallonata durante la lezione: la Cassazione ha respinto il suo ricorso (sentenza n. 1322 del 26 gennaio 2016) confermando i dinieghi dei giudici di merito.

Un alunno mentre disputava una partita di pallavolo, alla guida di un docente, calciava impropriamente il pallone che finiva per colpire al volto la docente (impegnata a lato con un’altra classe) provocandole gravi danni. Il caso va a collocarsi nelle possibili figure dell’art. 2048 cc della responsabilità extracontrattuale, perché trattandosi di un docente non è applicabile il principio del contatto sociale (art. 1218 cc): pertanto il fatto costitutivo deve esser provato dal danneggiato, mentre il fatto impeditivo (ossia, il non aver potuto evitare l’evento) va provato dalla scuola. Nel caso, l’azione si era consumata nel corso di una gara sportiva, sicché la Corte ha ritenuto di far rinvio al criterio che distingue un comportamento lecito da quello punibile nel collegamento funzionale tra gioco ed evento lesivo, escludendolo se l’atto è compiuto allo scopo di ledere oppure con una violenza incompatibile con le caratteristiche del gioco. Scartata la volontà di colpire l’insegnante, restava da valutare la funzionalità di un calcio al pallone con le regole del volley che ad avviso della Cassazione trova sussistenza. La decisione suscita perplessità tanto evidenti (la docente non è stata risarcita, e nel frattempo è pure venuta a mancare) che la stessa sentenza nella parte conclusiva tenta di sedare annotando che l’asserita violenza (che avrebbe determinato l’illecito e quindi la risarcibilità) con cui il pallone sarebbe stato calciato era stata esclusa dalla Corte d’Appello e trattandosi di una valutazione tipicamente di merito restava preclusa ogni modifica e censura presso il giudice di legittimità.

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