di Francesca Vercesi
Nel primo trimestre 2016 i deflussi registrati dagli hedge fund si aggirano intorno ai 15 miliardi di dollari. Costano troppo, non rendono più come un tempo, non sembrano più capaci di dare vere alternative di investimento su mercati appiattiti dalla liquidità delle banche centrali e dal crescere di volatilità e correlazioni. Alla ricerca di performance e diversificazione, invece, l’Europa, per non perdere la chance di strategie più innovative (e, se ben gestite, più remunerative e a rischio controllato), ha sdoganato i cosiddetti fondi alternativi liquidi (in formato Ucits, ovvero conformi alle direttive europee), definiti sul mercato liquid alternative.
Questi comparti adottano strategie non tradizionali tipiche dei gestori hedge, ma con l’obiettivo di garantire la trasparenza del portafoglio e un livello elevato di liquidità: rispettando la normativa Ucits, infatti, il valore della quota, e quindi la loro liquidabilità, è giornaliera. Dovrebbero, inoltre, avere minor sensibilità rispetto all’andamento delle asset class di riferimento e molto dipende dalla capacità del gestore di generare ritorni. L’entusiasmo non manca.
Dai dati Morningstar, questi comparti hanno registrato una raccolta netta di 3,6 miliardi di euro a marzo (battuti solo dai bond corporate con 4 miliardi), facendo salire a 7,7 miliardi il dato cumulativo per il primo trimestre 2016 (sulla base dell’universo di fondi disponibili per la vendita in Europa), in netta controtendenza rispetto ai comparti tradizionali. Spiega Philippe Ferreira, senior strategist di Lyxor (asset manager del gruppo Société Générale con oltre 115 miliardi di euro in gestione): «Il forte interesse per gli Ucits alternativi è in evidente contrasto con i deflussi subiti dalle asset class tradizionali: nel primo trimestre 2016 i fondi comuni azionari hanno registrato disinvestimenti per 20 miliardi, mentre per i fondi obbligazionari i deflussi sono stati pari a quasi 13 miliardi. Anche i fondi monetari e diversificati hanno evidenziato flussi in uscita. E le strategie che ricevono più consenso sono market neutral equity e multistrategy».
Le ragioni alla base di questo interesse sono molteplici. Continua Jeanne Asseraf-Bitton, responsabile globale di Cross asset research di Lyxor: «da un lato il contesto di mercato si è deteriorato negli ultimi 12 mesi. Le azioni europee hanno registrato ribassi a due cifre e una volatilità annualizzata superiore al 20% e anche il debito sovrano dell’area euro ha evidenziato una volatilità più elevata del solito. Dall’altro lato, le prospettive delle asset class tradizionali sono offuscate da molte incognite: le valutazioni sono generalmente elevate, le prospettive a livello di crescita economica e degli utili sono incerte e una percentuale rilevante degli asset privi di rischio nell’eurozona offre rendimenti inferiori allo zero. In questo contesto, gli investitori si sono rivolti alle strategie alternative che offrono rendimenti corretti per il rischio più interessanti in termini relativi».
La società, che è stata pioniera nel segmento degli alternativi liquidi con la piattaforma di managed account lanciata nel 1998, ha appena stretto un accordo di distribuzione con Intesa Sanpaolo private banking e oggi sette fondi alternativi Ucits della piattaforma di Lyxor e due multi asset sono disponibili agli investitori privati in Italia. La piattaforma degli alternativi Ucits di Lyxor, con 2 miliardi di dollari di asset, è una di quelle in maggior crescita, registrando un aumento di più del 30% rispetto al 2014. A questa strategia si stanno avvicinando anche i fondi pensione, strutturalmente conservativi e avversi al rischio. Secondo una ricerca di State Street quelli italiani nei prossimi tre anni aumenteranno l’allocazione a fondi di fondi hedge, all’immobiliare e al private equity rispettivamente del 67%, 52% e 52%.
«Nuove opportunità d’investimento, nate anche grazie al decreto 166 per i fondi pensione negoziali, come l’accesso a nuovi veicoli e classi di attivo spianano la strada a più flessibilità e a un miglioramento della gestione del rischio, che a loro volta alimentano la necessità di una robusta politica di investimento e di un maggiore utilizzo di strumenti, quali la gestione del rischio di ribasso e il controllo del rischio di cambio», precisa Federico Viola, responsabile asset owner solutions per il Sud Europa di State Street.
E conclude: «di fronte a crescenti pressioni sui costi e a persistenti rendimenti bassi e per lunghi periodi, i fondi pensione di tutto il mondo continuano a cercare asset che offrono rendimenti più elevati al fine di aiutarli a soddisfare gli impegni delle rispettive passività. Storicamente, gli alternativi sono spesso stati visti ricoprire questo ruolo. La tendenza verso questo tipo di investimenti emergerà nella misura in cui i fondi pensione si sentiranno più a loro agio con classi di attivo complesse come gli alternativi».
In effetti, al netto di controllo del rischio e diversificazione, sarebbe auspicabile studiarsi un po’ questa tipologia di fondi, spesso molto personalizzata, a cominciare dalla dicitura. Ecco che, per esempio, NN Investment Partners ha appena portato in Italia NN (L) Multi Asset Factor Opportunities, fondo a rendimento assoluto che utilizza una strategia cosiddetta factor investing. Semplificando, è un fondo alternativo liquido che combina vari fattori senza predilezione per posizioni long o short (ovvero posizioni in acquisto, buy, o in vendita allo scoperto, sell), offrendo più diversificazione rispetto alle asset class tradizionali, con liquidità giornaliera e conformità alla direttiva Ucits.
E ancora, Bmo Global Asset Management ha risposto alla domanda di strategie alternative con il lancio del Global Equity Market Neutral. Per sintetizzare, l’obiettivo è generare un rendimento lordo annuo superiore al 4,5% a quello della liquidità, con un obiettivo di volatilità del 6% attraverso cinque stili di investimento. C’è poi la strategia di Rothschild & Cie Gestion.
«Nell’ultimo anno abbiamo raddoppiato le masse in Italia arrivando a oltre 500 milioni. Ora sul mercato italiano vogliamo aumentare i prodotti Ucits alternative e risk-based che finora sono il 10% degli asset. Da inizio anno la maggior parte della raccolta è da imputare alla richiesta di questi», racconta in esclusiva a MF-Milano Finanza Marc Romano, ex ceo di Schroders NewFinance Capital e oggi ceo di Rothschild Hdf Investment Solutions e del Risk Based Investment Solutions (Rbis), ovvero dei business dedicati agli Ucits alternativi e alla gestione quantitativa (indici, Etf).
La società ha un approccio multi manager nel senso che lavora attraverso partnership. Per esempio, lo scorso anno Rothschild & Cie Gestion tramite Rothschild Hdf e con Capital Fund Management ha lanciato un comparto, il terzo, della sicav InRis (nata tre anni fa e che oggi ha masse per 3 miliardi) dedicata ai fondi alternativi. Continua: «quello degli Ucits alternativi è un nuovo approccio agli investimenti e non un’asset class. Abbiamo l’esperienza nella selezione dei migliori gestori di fondi hedge, siamo innovativi e la richiesta dei clienti, sia istituzionali sia delle reti che servono retail e private banking, è forte. In Italia abbiamo cominciato con i selezionatori di fondi e oggi abbiamo un mandato con un fondo pensione. Entro l’estate dovremmo essere pronti per lanciare un fondo global macro», conclude Romano. (riproduzione riservata)
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