C’è una differenza rispetto alle informazioni sensibili
di Federico Unnia

Esiste una sostanziale distinzione tra il trattamento di dati personali comuni e quello di dati sensibili. In quest’ultimo caso, infatti, affinché il trattamento possa essere considerato legittimo, deve necessariamente sussistere il relativo consenso rilasciato in forma scritta, requisito che, invece, non risulta necessario al fine del trattamento di dati personali comuni, per i quali il consenso può essere anche espresso oralmente, purché sia possibile fornirne prova «documentale».

È quanto riaffermato dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 9982 del 16 maggio 2016 (pres. Di Palma, est. Giancola), con la quale ha messo la parola fine a un lungo procedimento avviatosi nel febbraio 2008 quando un avvocato, titolare di tre utenze di telefonia mobile aveva fatto ricorso, ai sensi dell’art. 152 e 7, comma 4, lett. b), del dlgs n. 196 del 2003, al tribunale di Milano chiedendo che fossero ordinati alla convenuta l’interruzione di ogni illegittimo trattamento ed uso per finalità promozionali dei suoi dati personali e che la medesima società fosse condannata al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali arrecati alla sua vita lavorativa e sociale dai continui messaggi di contenuto promozionale e pubblicitario. Il tribunale di Milano, nel contraddittorio delle parti, dichiarava cessata la materia del contendere sulla domanda inibitoria (intimare alla società convenuta l’immediata cessazione del trattamento dati personali per finalità promozionali, invio materiale pubblicitario e altro) mentre rigettava l’ulteriore domanda di risarcimento del danno proposta dal ricorrente e lo condannava al pagamento in favore del gestore convenuto delle spese del giudizio.

Ora, al termine del successivo gradi di appello, la Cassazione, sancendo che il gestore telefonico può provare il consenso del cliente alla ricezione di sms pubblicitari anche attraverso registrazioni e riproduzioni informatiche, ha chiarito che il Codice della privacy, laddove si riferisce alla categoria dei cosiddetti documenti, non contempli solamente gli atti pubblici e le scritture private, ma «fa riferimento a qualsiasi oggetto idoneo e destinato a fissare in qualsiasi forma, anche non grafica, la percezione di un fatto storico al fine di rappresentarlo in avvenire».

Secondo i supremi giudici, infatti, in tema di trattamento dei dati personali comuni per finalità promozionali e commerciali, valgono tre regole. In primo luogo la previsione introdotta dall’articolo 23, comma 3, del dlgs n. 196 del 2003 (Codice privacy), secondo cui il consenso al trattamento è validamente prestato, tra l’altro, se è documentato per iscritto, «attiene non alla forma di manifestazione del consenso in questione, come, invece, stabilito per il trattamento dei dati sensibili di cui al comma 4 dello stesso art. 23, ma al contenuto dell’onere probatorio gravante sul titolare dei dati personali». In secondo luogo «al titolare dei dati personali è imposto di dare documentazione per iscritto dell’assenso anche orale esplicitato dall’utente del servizio, al trattamento dei medesimi suoi dati per scopi pubblicitari e promozionali aggiuntivi rispetto al fornito servizio di telefonia mobile». Infine la documentazione per iscritto «può essere integrata anche da riproduzioni meccaniche o informatiche di cui all’articolo 2712 c.c., effettuate dal titolare del trattamento, salva l’eventuale, successiva verifica dell’idoneità, adeguatezza e sufficienza del contenuto dell’acquisita annotazione».

Al riguardo, giova anche ricordare che secondo i giudici in tema di efficacia probatoria delle riproduzioni meccaniche di cui all’art. 2712 c.c., il «disconoscimento» che fa perdere alle riproduzioni stesse la loro qualità di prova, e che va distinto dal «mancato riconoscimento», diretto o indiretto, il quale, invece, non esclude che il giudice possa liberamente apprezzare le riproduzioni legittimamente acquisite, pur non essendo soggetto ai limiti e alle modalità di cui all’art. 214 c.p.c., deve tuttavia essere chiaro, circostanziato ed esplicito, dovendo concretizzarsi nell’allegazione di elementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta (principio già recentemente affermato dalla Cass. n. 2117 del 2011; n. 33122 del 2015). Nella specie, il giudice di merito ha ritenuto che il ricorrente non avesse contestato il dato annotato ma infondatamente la validità di un consenso espresso in forma non scritta e trasposto nel sistema informatico interno al gestore convenuto.

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